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Cancro al pancreas: quando un enzima lo segnala prima

4689783831_295d283005_bSALUTE – Fra i diversi tipi di cancro, la diagnosi del tumore al pancreas è oggi senza dubbio la più difficile e infruttuosa. Alla difficoltà della diagnosi si aggiunge il triste primato di essere il tipo di tumore con la più bassa percentuale di sopravvivenza a 5 anni: soltanto il 5% circa dei malati. Molte sono le strade che negli ultimi anni gruppi di ricercatori in tutto il mondo stanno tentando di percorrere, l’ultima delle quali, mai seguita prima in questo tumore, è quella basata sul concetto di immunoterapia, ovvero sul riuscire a scatenare le difese immunitarie del paziente per combattere le cellule cancerose. I primi risultati sull’uso dell’immunoterapia per la diagnosi del cancro al pancreas sono stati pubblicati nel 2013 su Gastroenterology da un team guidato dall’immunologo Francesco Novelli, professore nel Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienza della salute dell’Università di Torino e sono stati recentemente discussi e confermati in occasione del recente congresso dell’American Society of Clinical Oncology a Chicago.

“Qui non si sta parlando di guarire il cancro al pancreas, ma di aumentare sensibilmente la sopravvivenza dei pazienti a 5 anni”, precisa Giampaolo Tortora, Ordinario di Oncologia Medica e Direttore dell’Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona, che partecipa insieme ad Aldo Scarpa, anatomopatologo presso la stessa università, a un progetto internazionale per l’identificazione del genoma del cancro.

“Il problema principale nel caso del cancro al pancreas è che i cosiddetti ‘farmaci intelligenti’ usati fino a oggi, quelli cioè che agiscono in modo mirato sul tumore e che funzionano nel caso di altri organi, non danno risultati soddisfacenti nel caso del pancreas”, prosegue Tortora. Le modalità attraverso cui le cellule tumorali del pancreas crescono e si diffondono per formare le metastasi, infatti, si differenziano rispetto alle cellule tumorali di altri organi.

L’approccio totalmente innovativo del professor Novelli invece ha dato finora buoni risultati negli esperimenti sui topi ingegnerizzati. Mentre studiava la possibilità di identificare un biomarcatore per la diagnosi precoce del tumore al pancreas, che è la linea di ricerca perseguita negli ultimi anni, il gruppo ha notato la presenza di un enzima, alfa-enolasi, nei pazienti che si trovano a uno stadio iniziale della malattia. La presenza di questo enzima, inoltre, scatenava nei pazienti una potente risposta immunitaria. Da qui l’idea dei ricercatori: forse questi anticorpi, oltre a rappresentare un segnale della presenza della malattia a uno stadio precoce, potrebbero essere utilizzati anche a scopo terapeutico. I pazienti potrebbero essere “vaccinati” con l’enzima contro cui si formeranno poi gli anticorpi che aiuteranno a rigettare la malattia. L’enzima è infatti presente in uno stadio iniziale della malattia, provocando una risposta immunitaria da parte dell’organismo.

Questi primi esperimenti sono stati condotti su topi ingegnerizzati, cioè modificati in modo da essere predisposti alla malattia. La sperimentazione è quindi ancora tutta da approfondire nel caso degli esseri umani. Gli scienziati hanno iniettato ai topi l’enzima usato come antigene, notando che ciò aumentava di alcune settimane la vita di questi animali. In particolare, nei topi a cui è stato somministrato il vaccino, si è registrato un aumento dell’aspettativa di vita media di oltre il 30%.

Partendo dunque dalla ricerca di un biomarcatore si è arrivati a identificare un enzima che produce una risposta immunitaria in grado di “avvertire” precocemente i medici che la malattia è in atto e che, a sua volta, può essere sfruttata a scopo terapeutico come vaccino.

Da qui alla sperimentazione sull’uomo e a una possibile futura messa a punto di un metodo diagnostico vero e proprio la strada è però ancora molto lunga. “Il fatto che la nostra idea di iniettare l’antigene, come un vaccino, funzioni su topi ingegnerizzati non significa automaticamente che funzionerà senza dubbio sugli esseri umani”, conclude Tortora. “Bisognerà accertare prima di tutto se questa procedura può essere adottata in piena sicurezza negli esseri umani e in un secondo momento capire se può funzionare anche nei pazienti come terapia per il tumore al pancreas”. L’interesse di uno studio come questo è dunque il fatto che apre una strada mai pensata prima per questo tumore. “Ad oggi non si guarisce dal cancro al pancreas metastatico perché è difficile diagnosticarlo se non in una fase già inoperabile e la sopravvivenza a 5 anni è comunque bassissima. Trovare il modo di diagnosticarla in tempo è già per la medicina un risultato molto significativo. Poter utilizzare lo stesso concetto anche per curarlo sarebbe un risultato straordinario”.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Crediti immagine: Hanif Omar, Flickr

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.