RICERCA – Siamo da sempre interessati a capire cosa stia alla base delle differenze fra uomini e donne e da anni le stiamo cercando anche nel DNA. Ora uno studio pubblicato sulla rivista “PLoS Biology” ha trovato qualche risposta: una piccola modifica in un gene “master” che è in grado di regolare l’attività di altri geni e che è all’origine della differenziazione tra i sessi in moltissimi organismi.
La riproduzione sessuata permette di aumentare le possibilità di sopravvivenza nell’ambiente, grazie al rimescolamento dei genotipi tra due individui “genitori” che permette di generare una prole con genotipi tutti sufficientemente diversi. Perché ciò avvenga è necessario che venga impedito, o almeno ostacolato, l’accoppiamento tra individui con lo stesso genotipo.
Deve esistere quindi un “marcatore” per ogni organismo che impedisca tale accoppiamento, assicurando un minimo di diversità. Questa è stata l’intuizione dei ricercatori, un team di biologi del Donald Danforth Plant Science Center di St. Louis (Missouri) e del Salk Institute di La Jolla (California). Dunque, affinché questo avvenga in organismi che si riproducono in modo sessuato, i “marcatori” necessari per impedire l’accoppiamento tra individui con lo stesso genoma devono essere almeno due e corrispondere alla differenza di genere.
Per capire questo meccanismo i ricercatori hanno studiato due alghe imparentate tra loro, seppur molto diverse (Chlamydomonas reinhardtii e Volvox carteri). Queste due specie si sono separate evolutivamente 200 milioni di anni fa: la prima è un’alga unicellulare che si riproduce sessualmente, la seconda è un’alga coloniale costituita da migliaia di cellule somatiche, ma anche cellule specializzate come i gameti, e dunque con colonie maschili e femminili distinguibili. Per prima cosa i genomi delle due specie sono stati mappati e confrontati, facendo individuare in Volvox carteri un gene (VcMID) che è risultato essere l’omologo di un altro gene presente in Chlamydomonas reinhardtii (CrMID), che è coinvolto nella distinzione di genere delle singole alghe unicellulari (+ e -).
Gli scienziati hanno quindi modificato il gene VcMID di V. carteri, riuscendo a creare delle alghe “transgender”. Come colonie femminili dall’aspetto maschile, che producono gameti femminili, ma in grado di fecondare altre colonie femminili. Da una serie di incroci fra colonie maschili, femminili e “trasngender”, i ricercatori hanno dimostrato che il gene VcMID era in grado di controllare il sesso della colonia di V. carteri. Non solo: il gene era anche responsabile del cosiddetto dimorfismo sessuale, fenomeno per cui alcune particolari cellule con funzione riproduttiva sono specializzate e hanno caratteristiche morfologiche riconoscibili e diverse a seconda del genere. Dunque l’isogamia, ovvero la riproduzione sessuale dove i gameti sono diversi (+ o -) ma fisicamente uguali, potrebbe essere il punto di partenza proprio del dimorfismo sessuale, attraverso adattamenti del gene stesso. Un interruttore che, secondo gli autori, potrebbe agire rimodulando la propria attività e quella di altri geni con funzioni più specifiche.
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