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Migliorare la salute? Progettiamo meglio le città

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ATTUALITÀ – Secondo le Nazioni Unite, nel 2008 l’umanità ha varcato una soglia invisibile ma decisiva. Per la prima volta la popolazione urbana mondiale ha superato quella che vive nelle aree rurali. Nel tono un po’ enfatico di questo tipo di pubblicazioni, il rapporto sulla popolazione delle Nazioni Unite definiva quello da poco cominciato come il “millennio urbano“, sottolineando come questa tendenza non sia che destinata ad aumentare: dai 220 milioni di cittadini di inizio Novecento, le previsioni puntano a 5 miliardi nel 2030. Una situazione che acuisce i problemi dei paesi meno ricchi. Un articolo di Forbes del 2011 che si interrogava sulle opportunità economiche di megalopoli come Mumbai in India, San Paolo in Brasile e Lagos in Nigeria le ha definite in maniera brusca ma efficace: “un tragico ripetersi dei peggiori aspetti della urbanizzazione di massa che si sono già visti in Occidente”.

Non si tratta solo del problema degli slum, le baraccopoli, che rimane una questione di primaria importanza, ma una vera e propria mancanza di design dell’impianto urbano. Ne è convinto Howard Frumkin, preside della scuola di salute pubblica della Washington University a Seattle, che alla quinta edizione di EcoHealth (Montreal, 11 – 15 agosto) ha collegato direttamente aspetti della salute umana a come sono fatte le città in cui viviamo. Le aree residenziali delle città occidentali possono essere un buon esempio di quello che intende per un “habitat umano” che pone delle minacce alle salute. Nei quartieri-dormitorio non ci sono negozi, non ci sono spazi aggregativi (come per esempio caffè o sale pubbliche), i servizi sono concentrati in altre zone della città. “Tutto questo ci spinge a usare l’auto”, ha spiegato, perché tutto è lontano e fuori mano rispetto a dove abitiamo. E l’epidemia di obesità che è in atto ne è una delle conseguenze più evidenti.

Ancora: “ci sono molti studi che mostrano l’importanza delle aree verdi per l’attività fisica: meno ce ne sono e meno la popolazione locale sarà spinta a muoversi”. E abbiamo toccato solamente l’aspetto legato alla sedentarietà. Ma “per essere in salute”, ha concluso Frumkin, “la gente ha bisogno di molto altro: aria e acqua pulite, luce naturale, accesso a cibo sano, livelli accettabili di rumore e molto altro”. Si tratta di fattori che sono almeno in parte influenzati anche dal design delle città e devono essere studiati tutti insieme, “come un ecosistema”, per capire quali sono le condizioni migliori per la vita dell’uomo.

L’approccio ecosistemico alle città diventa un po’ più complicato quando ci si concentra sulle città dei paesi meno ricchi, ma le questioni di fondo non cambiano di molto. Ce lo ha spiegato Guéladio Cisse, ricercatore africano che all’Istituto Svizzero per la salute pubblica e le malattie tropicali si occupa di ingegneria dell’igiene, ovvero studia come sono si dovrebbero costruire gli impianti di distribuzione delle acque potabili e le fognature. In uno studio che sta conducendo ad Abidjan, la capitale della Costa d’Avorio oggi nota anche per via dell’epidemia di ebola, uno dei problemi fondamentali era capire dove andavano a finire le acque di scolo delle case: “nessuno ne aveva idea”.

Seguendo fisicamente i corsi dei canali naturali e artificiali che legano il centro urbano con la zona lagunare, Cisse e il suo team hanno potuto finalmente capire che i livelli di inquinamento riscontrati vicino alla costa erano provocati dalla concentrazione in quell’area del bacino idrico degli scarichi cittadini. È la dimostrazione che “non ci si può limitare ad avere un buon impianto di smaltimento, ma bisogna anche prendere in considerazione dove i residui vanno a finire”. Un approccio più ampio, che ha legato la salute dei pescatori lagunari alla progettazione delle fogne della città più all’interno.

“Oltre alle grandi città”, le megalopoli, “in Africa si sta verificando un fenomeno di urbanizzazione importante in città secondarie e più piccole”, racconta Cisse, dove si stanno mostrando gli stessi problemi già conclamati in quelle più grandi. “Io sono un ingegnere di formazione e progetto impianti”, dice sorridendo, “ma so che non posso immaginarli perfetti tecnicamente senza considerare anche tutto quello che ci sta intorno”. Insomma, il monito è a pensare alla città come all’habitat oramai preponderante scelto da questa strana specie, l’Homo sapiens, e trattarlo di conseguenza. A partire dalla progettazione dei suoi spazi.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Abdul Rahman, Flickr

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Marco Boscolo
Science writer, datajournalist, music lover e divoratore di libri e fumetti datajournalism.it