COSTUME E SOCIETÀ

Gioca che ti passa

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COSTUME E SOCIETÀ – Che sia uno sparatutto, un gioco di strategia o uno di ruolo, la sostanza non cambia: davanti a una console abbiamo obiettivi da raggiungere e ricompense da riscuotere. Per farlo, siamo disposti a passare delle ore davanti a uno schermo, completamente catturati da quel mondo virtuale. Proprio questo coinvolgimento profondo ha fatto pensare che si potessero applicare alcuni principi utilizzati nel videogiochi anche nella vita reale.

La parola non esisteva nemmeno prima del 2010, mentre da quell’anno in poi si è diffusa rapidamente prima negli ambienti geek e poi anche nelle aziende. La gamification è infatti quel processo di coinvolgimento tipico dei videogiochi che spinge le persone a raggiungere obiettivi divertendosi, proprio come se fossero davanti a una console. Magari invece sono all’interno di un negozio, oppure stanno interagendo con una piattaforma di un’azienda. Già, perché la gamification è sempre più utilizzata dai privati per promuovere i loro brand, aumentare la fedeltà dei propri clienti e motivare i dipendenti.
Secondo Gartner, una società di consulenza e analisi nell’information technology, entro il 2015 oltre la metà delle aziende che producono innovazione useranno la gamification.
All’Internet Festival di Pisa abbiamo incontrato Fabio Viola, docente a Tor Vergata nel primo master italiano sulla gamification (un altro sta per partire allo Ied di Milano) e con un’esperienza decennale nell’industria dei videogiochi come game designer.

Ecco alcune sue riflessioni su come il mondo dei videogiochi può influenzare positivamente la nostra vita di tutti i giorni, soprattutto quella lavorativa:

Alcune aziende si sono accorte delle potenzialità della gamification e hanno iniziato a sperimentarla. Tra queste c’è l’azienda automobilistica tedesca Volkswagen che ha introdotto il concetto di Fun Theory, teoria del divertimento. In una serie di video la multinazionale ha creato situazioni che spingessero le persone a divertirsi compiendo comportamenti virtuosi. Qui per esempio i gradini di una scala sono diventati i tasti di un pianoforte e la gente è incentivata a salire a piedi invece di prendere le scale mobili. Nella durata dell’esperimento le persone che hanno scelto la soluzione musicale sono state il 66 per cento in più rispetto alla condizione normale.
In quest’altro filmato invece è stato istallato un dispositivo sonoro in un cestino per la spazzatura. Ogni volta che viene buttato un rifiuto, il bidone emette un suono che ricorda una lunga caduta. Le persone, incuriosite dalla situazione, hanno buttato ben 41 kg in più di rifiuto, mantenendo dunque più pulito il parco circostante.
Quando ci divertiamo a svolgere un compito, abbiamo voglia di ripeterlo. Marco Tonetti, game designer e co-founder di Onionsquire, ci spiega perché, a partire proprio dall’esperienza dei videogiochi:

Ciascuno strumento messo in campo dalla gamification deve essere motivante e puntare a fare emergere le abilità di ciascuno, non a farlo sentire un perdente, altrimenti si ottiene l’effetto opposto. È interessante notare come i contesti gamificati si possano creare anche offline e senza coinvolgere minimamente la tecnologia. Un esempio è stato attuato da Sap, una multinazionale tedesca che produce software. La soluzione trovata per aumentare la produttività dei dipendenti, però, ha davvero poco a che fare con l’informatica, come racconta Emanuela Corazziari di Sap Italia, che ha tra le sue attività quella di gamification trainer:

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Buster Benson, Flickr

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Michela Perrone
Appassionata di montagna e di tecnologia, scrivo soprattutto di medicina e salute. Curiosa dalla nascita, giornalista dal 2010, amo raccontare la realtà che mi circonda con articoli, video e foto. Freelance dentro e fuori, ho una laurea in Comunicazione e un master in Comunicazione della Scienza.