Un fenomeno che scalda il sole
Scoperto un meccanismo per spiegare il surriscaldamento della corona solare
SCOPERTE – La nostra esperienza comune ci suggerisce che l’aria intorno a un corpo incandescente, per quanto possa riscaldarsi, non raggiungerà mai temperature superiori all’oggetto rovente, ma nel caso del sole le cose non funzionano in questo modo. La Corona, la parte più esterna dell’atmosfera solare, è più calda non solo degli strati sottostanti di amosfera ma addirittura della superficie solare. La Corona infatti può raggiungere temperature fino a 600 volte superiori alla superficie, cioè fino a 1-3 milioni di gradi.
Uno studio apparso su Science il 17 ottobre scorso, sembra spiegare il motivo di tale differenza di temperatura, grazie alle osservazioni raccolte con l’Interface Region Imaging Spectrograph (IRIS), lanciato dalla NASA l’anno scorso per studiare proprio l’atmosfera solare. Paola Testa dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics e primo autore dello studio, ha trovato prove per spiegare il surriscaldamento della Corona tramite i nanoflares o nanobrillamenti, la cui esistenza fu ipotizzata esattamente 50 anni fa. Proprio lo sfarfallio di questi brillamenti, che si accendono e si spengono rapidamente potrebbe innalzare la temperatura della Corona esterna.
Come suggerisce il nome, i nanoflares potrebbero essere presentati come il fratello minore di un fenomeno già noto che si verifica sulla superficie solare. I flares infatti sono noti come dei lampi di luce brillante che comprendono tutte le lunghezze d’onda, e che si verificano sulla superficie solare in seguito al surruscaldamento del plasma del nostro astro per decine di milioni di gradi. Il fenomeno è accompagnato dell’emissione di elettroni e protoni che viaggiano quasi alla velocità della luce e che arrivano fino alla terra.
I nanoflares si manifestano in modo analogo, ma con un’energia di miliardi di volte inferiore. Tuttavia malgrado siano fenomeni meno intensi, finora non era mai stato possibile osservarli e nemmeno IRIS in realtà l’ha fatto direttamente.
I ricercatori si sono resi conto che potevano in un qualche modo osservare i nanoflares puntando IRIS verso la base degli anelli coronali, i flussi magnetici fissati ad entrambe le estremità con la base ancorata al corpo solare, perché lì la temperatura del plasma è inferiore (10.000 – 100.000 gradi) e si verifica l’emissione luminosa nello spettro dei raggi X e ultravioletti.
IRIS registrando una rapida (20-60 secondi) variazione di intensità e velocità alla base degli anelli coronali, di fatto è riuscito a risalire alle tracce dei nanoflares. IRIS ha permesso di raccogliere immagini ad alta risoluzione nell’ultravioletto, e poi di costruire un modello matematico capace di simulare bene quanto osservato.
Secondo il modello, sarebbe un fascio di elettroni a bassa energia, generati da impulsi inferiori ai 30 secondi e che viaggerebbero a una velocità pari al 20% della velocità della luce, a portare con sè un’energia che potrebbe essere in parte responsabile del riscaldamento della Corona solare.
La prima immagine dei nanoflares però non basta, i ricercatori sono già curiosi di conoscere i processi fisici che si verificano al loro interno e cosa accade nelle aree del sole non sottoposte a tali fenomeni.
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Crediti immagine: NASA, Wikimedia Commons