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Dentro e fuori il Sole: indizi per prevedere un brillamento solare

C’è una relazione tra brillamenti solari, sunquakes ed increspature sulla fotosfera ma la sorgente del sisma solare non è così superficiale come ci si potrebbe aspettare. Ulteriori approfondimenti su questi eventi potrebbero aiutare a migliorare i modelli previsionali della meteorologia spaziale.

I brillamenti solari (flare, in inglese) e le espulsioni della massa coronale (CME, Coronal Mass Ejection) sono le più grandi esplosioni di materia che pervadono il nostro Sistema Solare.
I primi sono eruzioni stellari che, sprigionate dalla fotosfera della stella, rilasciano una grande quantità di energia sotto forma di onde elettromagnetiche e particelle energetiche. A volte, queste esplosioni sono rivolte verso la Terra dove, fortunatamente, siamo protetti dall’atmosfera e dalla magnetosfera ma rimangono un rischio per gli astronauti e la tecnologia coinvolta nelle attività spaziali.

I CME sono, invece, giganteschi getti di plasma che vengono espulsi dalla corona solare, ossia la parte più esterna dell’atmosfera del Sole, spesso in concomitanza dei brillamenti. Quando raggiungono la Terra, accendono il cielo alle alte latitudini con spettacolari aurore. Oppure, innescano vere e proprie tempeste geomagnetiche che possono provocare danni ai satelliti in orbita o abbattersi sulle reti elettriche al suolo, a seconda dell’intensità. Il blackout che oscurò l’intera provincia canadese del Quebec nel 1989 è uno degli esempi più famosi.

Anche se alcuni grandi eventi furono osservati nel corso della storia, è nel XX secolo che la meteorologia spaziale è diventa scienza. Questa materia studia e monitora il “tempo” nel Sistema Solare e i relativi effetti dell’attività solare sulla magnetosfera, ionosfera, termosfera ed esosfera terrestre. Oggi abbiamo molti occhi elettronici di telescopi, satelliti e sonde puntati sul Sole eppure prevedere quando e come ci sarà un brillamento è ancora impossibile.

Gli scienziati, che sono sempre alla ricerca di un modo per migliorare i modelli previsionali, hanno scoperto che il Sole ha un’attività sismica e alcune scosse insorgono in relazione alle regioni attive. Questo legame non è ancora chiaro ma recenti scoperte suggeriscono che i transitori acustici legati ai sismi solari e le increspature che essi generano sulla superficie della nostra stella, potrebbero fornire importanti indizi sulla dimensione e la potenza dei flare.

Lo studio

Le prime evidenze di una relazione tra i terremoti solari, le vistose ondulazioni sulla superficie del Sole e i brillamenti furono messe in evidenza da due scienziati, Valentina Zharkova e Alexander Kosovichev, che studiarono un evento registrato dalla sonda Solar and Heliospheric Observatory (SOHO) il 9 luglio del 1996. Da allora, una serie di indagini approfondite hanno arricchito quello che ora è un sostanzioso database di eventi. Tra questi, gli autori di uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, si sono concentrati sul flare del 30 luglio 2011, scaturito dalla macchia solare denominata AR 11261. Il brillamento fu di classe M9.3, quindi non tra i peggiori, ma rilasciò un notevole transiente acustico.

Grazie all’applicazione dell’olografia eliosismica computazionale, il team di scienziati, provenienti da Stati Uniti, Colombia ed Australia, ha scoperto che parte dell’energia acustica rilasciata dal brillamento proveniva da circa 1.000 chilometri sotto la fotosfera (la superficie del Sole), quindi molto al di sotto del brillamento solare che ha innescato il sisma.

«Non possiamo vedere direttamente l’interno del Sole», ha detto Juan Camilo Buitrago-Casas della Università della California, Berkeley, autore della ricerca. Ma «possiamo sapere cosa succede al suo interno tramite le onde sismiche che producono increspature sulla superficie solare, simili a quelle causate dai terremoti sul nostro pianeta. Una grande esplosione, come un’eruzione, può iniettare un potente impulso acustico nel Sole, la cui firma ci permette di mappare la sua origine in dettaglio. Quello che questo documento mette in evidenza è che la fonte di almeno una parte di questo rumore è profondamente sommersa».

L’olografia eliosismica

Questa tecnica fu introdotta alla fine del 1900 dalla scienziata francese Françoise Roddier e ampiamente sviluppata dagli statunitensi Charles Lindsey e Douglas Braun, della NorthWest Research Associates (NWRA) nel Colorado, autori anche del nuovo documento. Consente di usare le onde acustiche innescate dai flare per sondarne le sorgenti, proprio come le onde sismiche dei terremoti sulla Terra consentono ai sismologi di localizzare i rispettivi epicentri. L’olografia eliosismica viene utilizzata per la rilevazione di fonti di emissione o assorbimento di onde acustiche sul Sole, come l’interno delle macchie solari o le emissioni ad alta frequenza che circondano regioni attive complesse. Ed è anche stata utilizzata anche per “vedere” la superficie lontana del Sole, cioè quella non visibile dalla Terra durante la rotazione della stella.

«Usando un’analogia con la medicina, quello che noi (fisici solari) facevamo prima era usare i raggi X [come nelle radiografie] per osservare un’istantanea dell’interno del Sole. Ora stiamo cercando di fare una TAC, per vedere l’interno solare in tre dimensioni», ha spiegato Juan Carlos Martínez Oliveros, autore del documento e ricercatore di fisica solare presso il laboratorio di scienze spaziali della UC Berkeley.

Dai sismi solari alle increspature sulla superficie del Sole

Finora è stato ampiamente supposto che i transienti acustici che provocano i sismi solari (sunquakes) durante alcuni brillamenti, irradiano onde acustiche in tutte le direzioni ma principalmente verso il basso. In questo caso, le onde viaggiano verso il centro della stella, muovendosi attraverso regioni con temperature sempre più elevate. I loro percorsi vengono piegati dalla rifrazione e, alla fine, tornano in superficie. Qui, nell’arco di circa 20 minuti, si creano increspature simili a quelle che si formano lanciando un sassolino in uno stagno. Ma la recente ricerca ha evidenziato una «forte indicazione che parte della sorgente è molto al di sotto della fotosfera», ha detto Martínez. «Sembra che i flare siano il precursore, o l’innesco, del transiente acustico rilasciato. [Ma] c’è qualcos’altro che sta accadendo all’interno del Sole e sta generando almeno una parte delle onde sismiche.

«Conosciamo le onde acustiche generate dai brillamenti da poco più di 20 anni e da allora abbiamo individuato le loro sorgenti orizzontalmente [cioè, solo in superficie]. Solo di recente abbiamo scoperto che alcune di esse sono sommerse sotto la fotosfera», ha detto Lindsey. «Questo può aiutare a spiegare un grande mistero e cioè perché alcune onde acustiche sono emesse da luoghi privi di disturbi locali sulla superficie. Ci siamo chiesti per molto tempo come ciò potesse accadere».

L’attività sismica nel Sole

Da più di 50 anni gli astronomi sanno che il Sole emette un costante ronzio legato all’attività sismica che si manifesta all’interno della stella, proprio come accade sulla Terra. Ma quali sono le principali analogie e differenze con i terremoti nostrani? Il Dr. Buitrago-Casas lo ha spiegato via mail ad OggiScienza.

«I terremoti ed i sismi solari sono simili in quanto c’è un’immensa quantità di energia rilasciata in entrambe i fenomeni, che poi si propaga come onde acustiche nelle vicinanze della sorgente. Tuttavia, ci sono molte differenze significative da evidenziare. La principale è l’energia. Mentre un terremoto, come quello verificatosi a San Francisco nel 1906, può rilasciare circa dieci quadrilioni di Joule, un sisma solare normalmente richiede centomila volte più energia. Un’altra importante differenza è il mezzo di propagazione. L’interno della Terra è per lo più solido, mentre l’atmosfera solare è costituita da un gas ionizzato, un plasma. Inoltre, la velocità e il percorso dell’onda acustica frontale dipendono dai parametri fisici del mezzo di propagazione: ad esempio densità, temperatura, tipo di materiale e se è presente o no un forte campo magnetico. Questi valori fisici cambiano con l’altezza nell’atmosfera solare, rifrangendo le onde frontali e portando a percorsi acustici come quelli mostrati nell’immagine allegata».

I brillamenti solari innescano onde acustiche (terremoti) che viaggiano verso il basso ma, a causa dell’aumento delle temperature, vengono piegate o rifratte verso la superficie, dove producono increspature che possono essere viste dai telescopi in orbita attorno alla Terra.

Inoltre, c’è una differenza nei metodi di rilevamento, ha sottolineato il Dr. Buitrago-Casas. «I terremoti sono facili da rilevare. Abbiamo tutti familiarità con la vasta rete di sismografi strategicamente posizionati vicino alle zone sismicamente attive del pianeta. [Ma] ovviamente non abbiamo inviato alcun sismografo sul Sole perché verrebbe rapidamente tostato. In alternativa, utilizziamo il remote sensing [telerilevamento] per rilevare i terremoti. Usiamo le immagini del Sole nella luce visibile, centrate sulla linea spettrale di 617,3 nanometri corrispondente all’emissione del ferro neutro (Fe-I). Esaminiamo le mappe solari degli spostamenti Doppler per identificare quelle fasce concentriche che caratterizzano i terremoti. Lo facciamo in prossimità delle regioni attive, poche decine di minuti dopo che si è verificata un’eruzione solare in quel punto».

Si ritiene che l’attività sismica solare sia guidata da tempeste convettive che formano un mosaico di granuli sulla superficie del Sole e rimbombano continuamente. In mezzo a questo rumore di fondo, le regioni di riconnessione magnetica possono innescare violente esplosioni, rilasciando onde acustiche che creano spettacolari increspature superficiali, nell’ora successiva al brillamento. Tuttavia, nonostante il numero di osservazioni sia esponenzialmente aumentato negli ultimi anni, ci sono ancora molte domande senza risposta. Quali brillamenti producono o non producono terremoti? Perché i tremori solari provengono principalmente dai bordi delle macchie solari o dalla penombra? Anche i flare più deboli producono dei terremoti? Qual è il limite inferiore?

Finora, non ci sono state molte occasioni per studiare le eruzioni solari, sia perché fortunatamente non sono così frequenti e sia perché l’attenzione si è sempre concentrata sui brillamenti più forti, quelli di classe X (che si verificano in genere solo nei periodi di massima attività del Sole). Ma Buitrago-Casas e Lindsey hanno deciso di concentrarsi anche sui flare relativamente deboli, arricchendo notevolmente l’archivio.

Così, hanno scoperto che dei 75 brillamenti catturati tra il 2010 e il 2015 dal satellite della NASA RHESSI, 18 hanno prodotto sismi solari. Uno di questi, quello del 30 luglio 2011, ha mostrato dei componenti spettrali che hanno fornito ai ricercatori una risoluzione spaziale senza precedenti per l’individuazione della sorgente. Grazie ai dati raffinati del satellite Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA, il team è stato in grado di individuare la fonte dell’esplosione che ha generato le onde sismiche, a 1.000 chilometri sotto la fotosfera. Una profondità di poco conto rispetto al raggio del Sole che misura quasi 700.000 chilometri ma la maggiore individuata finora associata ad una fonte acustica.

«Il bagliore sopra scuote qualcosa sotto la superficie e, quindi, un’unità molto compatta di energia sommersa viene rilasciata come transiente acustico», ha detto Lindsey. «Non c’è dubbio che sia coinvolto il flare ma l’esistenza di questa sorgente profonda e compatta suggerisce la possibilità di una fonte di energia separata, distintiva e sommersa che guida l’emissione».

Dopo questa scoperta, il team ha trovato altre sorgenti profonde associate a brillamenti ancora più deboli. Ma i sismi solari possono avvenire anche in assenza di un flare? Una sorgente sommersa sotto la fotosfera del Sole, con la propria morfologia e nessun disturbo evidente nell’atmosfera esterna sovrastante, indicherebbe che il meccanismo che guida il transiente acustico è anche esso sommerso.

«Se i sismi solari possono essere generati spontaneamente dal Sole, potremmo avere uno strumento di previsione quando il transitorio provenire da un flusso magnetico che deve ancora rompere la fotosfera», ha detto Martínez. «Potremmo quindi anticipare l’inevitabile successiva comparsa di quel flusso magnetico. Potremmo persino prevedere alcuni dettagli su quanto grande sarà la regione attiva che sta per apparire e quale tipo di flare potrebbe produrre. Questa è una strada ancora lunga ma vale la pena esaminarla».

Previsioni di un brillamento

Finora, alcuni metodi previsionali si sono basati su modelli numerici, altri solo sull’osservazione dei dettagli della superficie del Sole senza esplorare il suo interno. Il Dr. Buitrago-Casas ha commentato:

«La previsione dei flare è una sorta di Sacro Graal per la fisica solare e la meteorologia spaziale. In determinate circostanze specifiche, un brillamento solare potrebbe avere implicazioni catastrofiche per la nostra tecnologia satellitare. La previsione di questi fenomeni esplosivi è fondamentale per i governi e per un’ampia gamma di industrie tecnologiche in tutto il pianeta. Ma la comunità dei fisici solari non è ancora in grado di prevedere i brillamenti con sufficiente sicurezza. Ci sono diversi gruppi in tutto il mondo che affrontano questo problema con molti i tipi di approcci promettenti. Alcuni utilizzano l’osservazione continua delle caratteristiche solari, come le strutture magnetiche e questi dati vengono dati in pasto a programmi di apprendimento automatico. Altri stanno cercando di inquadrare il problema in modelli fisici, come il documento pubblicato di recente su Science di Kusano et al. Approcci migliorati nel prossimo futuro includeranno modelli fisici e metodi di apprendimento automatico ad alte prestazioni.

Il nostro lavoro apre una finestra in più sull’osservazione di un brillamento prima che questo accada. La nostra tecnica ci consente di rilevare gli strati più profondi dell’atmosfera solare, la sub-fotosfera. Possiamo ora studiare la dinamica acustica e la morfologia della sub-fotosfera prima, durante e dopo un flare. Molte strutture laggiù potrebbero darci indizi su quando accadrà una considerevole eruzione magnetica.

Tuttavia, dobbiamo lavorare ulteriormente per ottenere dati utilizzabili nello sforzo mondiale di previsione dei brillamenti solari. Attualmente, i dati di altissima qualità che utilizziamo per lo studio dei terremoti provengono Helioseismic and Magnetic Imager (HMI) a bordo del Solar Dynamic Observatory (SDO). Questi sono disponibili alla comunità scientifica nell’arco di poche ore da quando vengono rilevati. [Ma] i dati HMI non sono concepiti come uno strumento di previsione. Quindi, se in futuro le indagini solari acustiche si rivelassero fenomeni critici per prevedere i brillamenti, sarebbe necessario prendere in considerazione nuovi osservatori solari spaziali e terrestri».


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Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: Juan Camilo Buitrago-Casas

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Elisabetta Bonora
Romana, ligure di adozione. Nella vita professionale mi occupo di web, marketing & comunicazione a 360 gradi. Nel tempo libero sono una incontenibile space enthusiast, science blogger ed images processor, appassionata di astronomia, spazio, fisica e tecnologia, affascinata fin da bambina dal passato e dal futuro. Dal 2012 gestisco il sito web aliveuniverse.today, dal 2014 collaboro con diverse riviste del settore e nel 2019 è uscito il mio primo libro "Con la Cassini-Huygens nel sistema di Saturno". Amo le missioni robotiche.... per esplorare nuovi mondi, alla ricerca di altre forme di vita e di civiltà, fino ad arrivare laddove nessun uomo è mai giunto prima! Ovviamente, sono una fan di Star Trek!