GRAVIDANZA E DINTORNIIN EVIDENZA

Fertilità in freezer

Tutto quello che avreste voluto sapere sul congelamento degli ovociti

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GRAVIDANZA E DINTORNI – La notizia è di poche settimane fa. Facebook e Apple offrono un benefit in più alle proprie dipendenti: la copertura finanziaria per il congelamento degli ovociti. Un bonus di 20.000 dollari per mettere in sicurezza – nel congelatore – le cellule della riproduzione, in attesa del momento buono di usarle per provare a fare un figlio. All’improvviso, è stato tutto un parlare di social egg freezing, il congelamento di ovociti al di fuori di condizioni mediche. Dunque non per mettere al riparo la preziosissima riserva ovarica dalle conseguenze di qualche malattia, ma perché “è la società che lo chiede”. Perché tra precarietà sentimentale e lavorativa o, viceversa, una dedizione full time alla carriera, sono sempre di più le donne che diventano (o tentano di diventare) mamme per la prima volta dopo i 35-38 anni. Proprio l’età in cui gli ovociti cominciano da un lato a scarseggiare e dall’altro a mostrare i segni del tempo, un accumulo di alterazioni nella struttura di geni e cromosomi che di certo non giova al “programma maternità”. Da qui l’idea di metterne da parte un po’ quando si è ancora giovani, per tirarli fuori al momento (o al partner) giusto, beffando l’orologio biologico e il suo inarrestabile tic-tac. Dell’argomento si è occupata anche una recente review pubblicata sulla rivista Lancet, che di fatto ha sdoganato la crioconservazione degli ovociti come misura per contrastare il progressivo declino della fertilità femminile causato dall’innalzamento dell’età in cui si cerca la prima gravidanza. Un’opportunità in più, ma da prendere con le dovute cautele – dicono in molti – perché tra implicazioni etiche, sociali, economiche e di salute, la faccenda è più complicata di quanto potrebbe sembrare.

Salvare l’ovulo in caso di malattia
La crioconservazione degli ovociti non è una novità. Si pratica già da una ventina d’anni, per ragazze o donne che corrono il rischio di veder svanire la propria fertilità a causa di malattie o di terapie per curarle. Succede a chi soffre di menopausa precoce o di gravi forme di endometriosi oppure è colpita da un tumore: se da un lato salvano la vita, dall’altro chemioterapia e radioterapia possono distruggere la riserva ovarica. Per evitare che la possibilità di avere un figlio proprio vada persa per sempre, allora, si prelevano gli ovociti (o, in alcuni casi, il tessuto ovarico) e li si mette da parte, al freddo. Fatta la terapia, sconfitto il cancro o raggiunta l’età giusta per la maternità, li si va a prendere e si tenta di avere un bambino con la fecondazione assistita. «Per arrivare a questo punto ci è voluta tanta tecnica, perché congelare un’ovocita non è semplice» spiega Alberto Revelli, responsabile della struttura di fisiopatologia della riproduzione e PMA dell’Ospedale Sant’Anna di Torino e tra gli operatori del Centro Livet per la fecondazione assistita. «Il primo metodo messo a punto è stato il congelamento lento, che prevede l’utilizzo di un’apparecchiatura che abbassa la temperatura in maniera controllata e graduale. Da qualche anno, però, si sta facendo strada una seconda tecnica, la vitrificazione, che prevede un congelamento più veloce, abbinato all’utilizzo di sostanze per preservare la cellula da possibili danni. La vitrificazione sembra dare risultati migliori in termini di sopravvivenza degli ovociti dopo scongelamento, e sembra addirittura paragonabile all’impiego di ovociti freschi per quanto riguarda il tasso di fecondazione e quello di impianto degli embrioni derivati».

Il grande salto
E allora, se il contesto sociale lo chiede e la tecnica c’è, perché non promuovere la preservazione della fertilità per tutte le donne che vogliano provare a fermare il tempo? Come scrive Megan Garber su The Atlantic, negli Stati Uniti iniziative come quella di Facebook e Apple sono un sintomo: come tutti i benefit, rappresenterebbero un indicatore sociale che rivela ciò a cui diamo valore, un segno che la crioconservazione ha raggiunto uno status di normalità culturale. E in effetti nelle grandi città oltreoceano sembra si stia già diffondendo la moda degli egg party, in cui donne più o meno giovani si ritrovano a parlare del futuro delle proprie ovaie, naturalmente in compagnia dei rappresentanti di company che offrono il servizio di congelamento, come EggBanxx o Extend Fertility. Il messaggio che passa in questi incontri, o sui siti delle aziende, è diretto: non hai ancora trovato “Mr Right” o vuoi più tempo per concentrarti sugli studi o la carriera? Nessun problema, metti in freezer i tuoi ovociti e del concepimento ti preoccuperai più avanti. Ma è davvero così semplice? Vediamo.

Non proprio una passeggiata
Per congelare degli ovociti bisogna raccoglierli, cioè prelevarli dall’ovaio. Che di solito ne fa maturare uno solo alla volta. Per questo è necessario stimolarlo, per convincerlo a far maturare più ovociti contemporaneamente: lo stesso percorso da seguire per una fecondazione assistita. «La stimolazione dura 15-20 giorni e consiste nell’iniezione quotidiana di ormoni, gonadotropine, per via sottocutanea o intramuscolare» spiega Eleonora Porcu, responsabile del centro di infertilità e PMA del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna e coordinatrice del Tavolo della fertilità, insediato di recente dal Ministero della salute. Il processo va seguito da vicino e per vedere se e come crescono i follicoli che racchiudono gli ovociti servono ecografie abbinate a prelievi di sangue: una ogni 2/3 giorni, il che significa altrettanti viaggi nello studio del medico. Sperando che vada tutto bene e che non si verifichi – succede nell’1% circa dei casi – un’iperstimolazione ovarica, complicanza che provoca gonfiore e dolore addominale. «Quando sono maturi, i follicoli devono essere prelevati, il che avviene con un piccolo intervento in anestesia generale. Sotto guida ecografica, si passa con una sorta di ago attraverso la vagina, per andare a bucare le ovaie». Un’operazione di routine eseguita in day hospital, certo, e senza rischi particolari oltre a quelli soliti dell’anestesia (i rischi di infezione e sanguinamento sono molto rari). Ma è chiaro che tutto il percorso non è esattamente una passeggiata.

Il numero conta
Tra l’altro, non è detto che un singolo ciclo di stimolazione basti. «Ogni donna fa storia a sé, ma in media si ottengono 6-7 ovociti per ciclo» chiarisce Porcu. Sulla carta potrebbero essere un buon numero, ma tutto dipende dalla qualità: «Se sono immaturi o troppo vecchi non servono». E visto che la garanzia del successo non c’è mai, negli Usa si consigliano almeno due/tre cicli di stimolazione per mettere in cassaforte quanti più ovociti possibile. «È chiaro che con 15 ovociti in freezer, le probabilità di portare a termine una gravidanza aumentano, rispetto ad averne congelati solo 5» afferma Andrea Borini, presidente della Società italiana di fertilità e sterilità e responsabile clinico del centro di fecondazione assistita Tecnobios di Bologna. Il punto critico, però, è esattamente questo: uovo congelato non significa bambino assicurato. Anzi, dal congelamento in poi, è tutto un percorso a ostacoli. «Bisogna che l’ovocita resti vivo dopo lo scongelamento, che venga fecondato, che si sviluppi un embrione e che – dopo il trasferimento in utero – questo attecchisca e parta la gravidanza» spiega Porcu. Al momento non è ancora chiaro quali siano le percentuali di successo per le donne che fanno ricorso a tecniche di PMA con i propri ovociti conservati: i dati a disposizione sono pochi perché in molti casi le cellule non sono ancora state utilizzate. Lo studio più accurato disponibile, una meta analisi pubblicata nel 2013 su Fertility and Sterility si riferisce ai tassi di successo dell’egg freezing per donne infertili. La probabilità di arrivare a stringere un neonato varia a seconda del metodo di congelamento (è maggiore con la vitrificazione) e dell’età alla quale sono stati prelevati gli ovociti, ma il risultato migliore, per donne che avevano congelato a 25 anni e avevano avuto l’impianto contemporaneo di tre embrioni, non supera il 32%. Per spiegare il concetto Borini ricorre a una metafora socioeconomica: «Siamo tutti d’accordo che avere 80 euro al mese in più in busta paga è meglio che non averli. Ma che quegli 80 euro servano davvero a “curare” la nostra economia e ad assicurarci tranquillità di spesa è un altro paio di maniche».

L’importanza dell’età
Senza contare che tutto poi è legato alla fatidica questione dell’età. Intanto, perché il congelamento ha tanto più senso quanto prima viene effettuato: l’ideale sarebbe tra i 20-25 anni, quando fisiologicamente c’è il picco della fertilità e gli ovociti sono tanti e in buona salute. E comunque sotto i 35-36 anni. «Invece spesso succede esattamente il contrario» spiega Borini. A vent’anni si è più preoccupate di non rimanere incinte che di assicurarsi una discendenza e il problema si pone quando si intravedono i 40 anni, e magari non c’è un partner o gli impegni di lavoro sembrano difficilmente conciliabili con una maternità. «Certo, se la voglia di un figlio comunque c’è, meglio mettere via ovociti a 37 anni che tentare di usarli “freschi” a 43» sostiene Alberto Revelli. Ma la situazione comunque non è ottimale. Anche perché la gravidanza non è solo una faccenda di utero e ovociti. «Tanti altri organi sono coinvolti indirettamente: il cuore, i reni, il fegato, l’apparato circolatorio» spiega Eleonora Porcu. «Può darsi che a 40 o 45 anni siano ancora tutti perfettamente funzionanti, ma può anche darsi che ci sia qualche problema cardiaco o renale in più che a 20 anni. Problemi che possono tradursi in complicanze ostetriche, in particolare un maggior rischio di preeclampsia, una condizione potenzialmente pericolosa sia per la madre sia per il feto». Tutte condizioni che una buona pratica ostetrica riesce a tenere sotto controllo, ma è giusto sapere a cosa si va incontro.
In effetti non è un caso che l’American Society for Reproductive Medicine, che pure considera una pratica come la vitrificazione non più sperimentale, ma di routine, sia sempre stata bene attenta a non promuovere la crioconservazione come procedura d’elezione per la preservazione della fertilità. Perché mancano ancora dati completi su sicurezza, efficacia e rischi anche emotivi e perché potrebbe dare false speranze, incoraggiando le donne a ritardare la maternità.

Per alcune, ma non per tutte
Senza contare che c’è un ultimo punto da prendere in considerazione, quello dei costi. Già, perché non stiamo parlando di una pratica esattamente a buon mercato. Senza raggiungere i 10.000 dollari per ciclo necessari negli Stati Uniti, anche in Italia per mettere in freezer gli ovociti occorre sborsare una discreta somma: circa 800 euro per i farmaci per la stimolazione, più 2500-3000 euro per consulenza, monitoraggio e prelievo degli ovociti e 100-500 euro l’anno per la conservazione. Parliamo di centri privati, naturalmente, perché in ambito pubblico la crioconservazione in assenza di indicazioni mediche non è contemplata. «È una forma di assicurazione» dichiara Revelli. «Come ci si assicura contro gli infortuni, così si può decidere di tutelare la propria fertilità». Salvo il fatto che, come abbiamo visto, garanzie a lungo termine non ce ne sono e che il fenomeno potrebbe alimentare un business di centri pronti a offrire il servizio di prelievo e congelamento, magari senza adeguate garanzie di sicurezza e accuratezza. Una deriva che fa pensare al business delle banche private per le staminali del cordone ombelicale, ma che al momento è scongiurata, nel nostro paese, dal basso numero di richieste. «Non ci sono dati ufficiali sul social egg freezing in Italia, ma dal confronto con i colleghi credo non ci siano stati che poche centinaia di casi» afferma Borini. Anzi, gli operatori notano come la richiesta sia poco diffusa anche da parte di coloro che più ne avrebbero bisogno, e cioé le pazienti oncologiche o con altre malattie che compromettono la fertilità. «È un’opportunità ancora poco conosciuta e la diffusione di conoscenza è proprio uno dei temi che ci poniamo come Tavolo ministeriale della fertilità» dichiara Eleonora Porcu, che sottolinea anche l’impegno per una discussione sul tema della copertura della pratica da parte del Servizio sanitario nazionale, ovviamente in caso di malattia. «Non è chiaramente inserita nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, e dunque la situazione varia da regione a regione e spesso da centro a centro».

Opportunità o violenza?
Al di là di tutti gli aspetti medico-scientifici, quello che è certo è che l’annuncio di Facebook e Apple ha fatto molto discutere. Per Revelli, è un’opportunità in più in un mondo che di sicuro non è ideale, ma che è difficile immaginare diverso. «Tanto vale, allora, cercare di organizzarsi al meglio». Per Porcu, invece, l’idea di congelare gli ovociti per ritardare la gravidanza è una forma di violenza. «Da un lato, le donne dovrebbero essere ben consapevoli che, volenti o nolenti, esiste una finestra per la riproduzione e che a un certo punto questa finestra si chiude. Dall’altro, la maternità non dovrebbe essere un momento vissuto con fastidio dalla società, ma dovrebbe essere premiante. Le donne incinte vengono automaticamente etichettate come poco efficienti sul lavoro, come se fosse l’unica cosa che conta, al punto che ancora oggi molte nascondono la gravidanza fino a quando è possibile. Ma questo è un prezzo che non dobbiamo più pagare: bisogna ridare prestigio sociale alla maternità».

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Crediti immagine: 360around/Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance