ATTUALITÀ

Un processo e un libro

20121016172823_IMG_0849_laquilaATTUALITÀ – Il fatto non sussiste. È questa la conclusione della fase di Appello del processo dell’Aquila con la conseguente assoluzione di sei dei sette imputati precedentemente condannati a sei anni per omicidio colposo, perché con il loro comportamento avrebbero rassicurato gli abitanti della città inducendoli a restare nelle loro abitazioni, per poi rimanervi intrappolati (per la storia si veda qui, qui  e anche il blog). Non dimentichiamo le vittime di questo e di altri terremoti passati, né il dolore irrimediabile di queste morti. Pensiamo che questa sentenza segni un passo importante e dica che è possibile costruire un vivere insieme, basato sulla responsabilità e la dedizione, tra scienza e società. Il processo non è chiuso così come non è chiusa, e non lo sarà mai, la storia sismica d’Italia.

Secondo i dati riportati da Maria Grazia Ciaccio e Giovanna Cultrera nel libro appena pubblicato Terremoto e rischio sismico (Ediesse editore), in cento anni, dal terremoto del 1905 in Calabria fino al terremoto dell’Aquila del 2009, le vittime dei terremoti sono state più di 110.000, e nel solo intervallo 1968-2003 sono stati spesi circa 140 miliardi di euro per la ricostruzione. A questa cifra si devono aggiungere le conseguenze sul patrimonio artistico e storico il cui valore è difficilmente traducibile in euro. In termini annuali, si calcola che l’Italia spenda circa 3,7 miliardi di euro per i danni provocati dai terremoti.

“L’impatto economico e sociale di un forte evento sismico può essere infatti devastante e causa di grandi trasformazioni economiche e sociali, — commenta Giovanna Cultrera, una delle autrici e sismologa dell’INGV. — Se da una parte non è possibile prevedere i terremoti, sapere cioè dove e quando avverranno con l’accuratezza necessaria alle azioni di protezione civile, l’unica difesa dall’impatto distruttivo di questo fenomeno naturale è la prevenzione: la riduzione del rischio sismico passa inderogabilmente per la conoscenza del territorio e per gli interventi sugli edifici al fine diminuirne la vulnerabilità.”

All’apertura dell’ultima udienza del processo, Giulio Selvaggi si rivolge alla Presidente e ai Consiglieri della Corte d’Appello; tra le altre cose, dice “Consapevole del ruolo sociale che riveste la ricerca sui terremoti, la comunità scientifica sismologica ha concentrato forze sull’unico prodotto realmente utile per difendersi dai terremoti ovvero la Mappa di pericolosità sismica che rappresenta la sintesi del lavoro di molti e racchiude sia i risulati positivi che quelli negativi, e, fra questi ultimi, primo fra tutti in ordine di importanza l’impossibilità di fare previsioni a breve termine.” Oltre ad avere un valore normativo, perché è stata recepita dalla legge italiana (Ordinanza PCM del 28 aprile 2006 n. 3519), la Mappa “è lo strumento che la scienza ha dato alla società civile per difendersi dai terremoti e alla quale mi onoro di avere collaborato.” Questo è anche quanto è stato sostenuto dagli scienziati l 31 marzo 2009.

La Mappa di pericolosità sismica da sola, ovviamente, non basta. Ma è lo strumento fondamentale da cui partire per un’opera di prevenzione efficace. Risposte immediate e certe ai terremoti e ad altre manifestazioni estreme della natura (uragani, alluvioni, ecc.) non esistono. Non bastano poche ore o pochi giorni per rimediare a carenze di decenni: conoscenza della pericolosità del territorio, consapevolezza della vulnerabilità e dell’esposizione al rischio e azioni coordinate e condivise di scienziati, istituzioni, autorità nazionali e locali, operatori dei media e società civile sono gli elementi essenziali per avviarci verso la gestione e la mitigazione del rischio sismico.

Alessandro Amato, sismologo dell’INGV e per anni direttore del Centro Nazionale Terremoti, ha seguito il processo udienza per udienza e ci racconta che cosa significa questa sentenza.

“Va chiarito anzitutto che, secondo la sentenza di appello, il fatto non sussiste per gli esperti scientifici mentre rimane per il responsabile della Protezione Civile, limitatamente a una parte delle vittime. Naturalmente bisogna aspettare le motivazioni della sentenza di secondo grado per capire quali siano gli argomenti per l’assoluzione e per la condanna. Per ora possiamo dire che è stata riconosciuta l’estraneità dei ricercatori nella cosiddetta rassicurazione (solo per questi il fatto non sussiste), mentre viene attribuita al vice-capo della Protezione Civile un’errata comunicazione che ha avuto esiti disastrosi, almeno per 13 vittime del terremoto. Al di là di una naturale soddisfazione per il riconoscimento da parte della Corte d’Appello della non sussistenza del fatto per i nostri colleghi, è chiaro che nessuna sentenza potrà mai ripagare i familiari delle 309 vittime del terremoto. Non abbiamo mai creduto che l’individuazione di uno o più colpevoli potesse lenire quelle tremende ferite, come sembrano ora affermare alcuni di fronte all’assoluzione di sei dei sette condannati in primo grado. Non scordiamoci che ci sono dei processi in corso per la reale causa dei crolli e delle vittime del terremoto: edifici mal costruiti, non controllati, in qualche caso forse indeboliti dal tempo, dall’incuria o da interventi peggiorativi. Come abbiamo spesso ricordato, la riduzione del rischio va fatta negli anni, con scelte politiche lungimiranti e interventi sugli edifici, nuovi e vecchi, pubblici e privati.

La sentenza d’appello sembra sgombrare il campo da un equivoco di fondo che pesava come un macigno sul nostro lavoro di ricercatori e sul nostro modo di rapportarci con la società. L’equivoco deriva dalla nostra scarsa capacità previsionale (limitata al lungo termine), dalla nostra scienza non esatta, dal nostro linguaggio con poche certezze e grandi dubbi. Non poter prevedere il terremoto è stato confuso con escludere che potesse avvenire. Tutte le frasi estratte dalle dichiarazioni dei sismologi, non solo quelli che erano imputati, riflettevano questa indeterminatezza (un forte terremoto è poco probabile ma non si può escludere). Affermazione corretta e tuttavia interpretata in senso rassicurante, per distrazione o per la scelta di dare enfasi solo alla prima parte.

La lezione del terremoto dell’Aquila deve portarci a una riflessione collettiva che comprenda tutti, dai cittadini ai ricercatori, dai politici ai media, perché non solo non si ripeta una situazione come quella giudiziaria, ma si spinga tutti nella stessa direzione, quella di mettere in atto serie politiche di riduzione del rischio sismico: interventi legislativi, risorse economiche, incentivazione degli interventi dei cittadini, aumento della conoscenza e della consapevolezza. Consapevolezza dei rischi del territorio ma anche dei propri diritti di cittadini a conoscerli e gestirli, d’intesa con le amministrazioni locali che sono le prime responsabili della sicurezza e della protezione civile.”

Tutto ciò si può dire in inglese, con una bella parola molto espressiva: empowering. Che significa rendere le persone più forti e consapevoli, specialmente nel controllo delle loro vite e nell’esercitare i loro diritti.

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Crediti immagine: Lisa Zillio

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