Emergency e il medico in cura a Roma
Le condizioni del paziente sono costantemente monitorate e per il momento non ci sono emorragie. Tenace il commento di Cecilia Strada, "troppe persone se ne fregano e stanno a casa loro. Ma noi non siamo fatti così"
“Se stavamo a casa nostra, potevamo stare sereni, tranquilli in poltrona davanti alla televisione, magari commentando con grande sicurezza quel che di brutto succede nel mondo. Che succede anche perché troppe persone se ne fregano e ‘stanno a casa loro’. Ma noi non siamo fatti così”.
CRONACA – Sono le parole conclusive di uno status di Facebook di Cecilia Strada, presidente di Emergency, in risposta all’ondata di commenti violenti che li ha colpiti alla decisione di riportare in Italia il medico risultato positivo all’ebola a Lakka, in Sierra Leone. Dove l’ong ha dispiegato dall’inizio dell’epidemia tutte le forze a disposizione, allestendo anche un centro di isolamento e cura vicino alla capitale Freetown, con l’ausilio di operatori internazionali da svariati paesi (Serbia, Spagna, Uganda e Italia).
Come sta il medico, che il 25 novembre è stato ricoverato all’Istituto Spallanzani di Roma? Un’intera task force di personale esperto è stata assegnata alla sua assistenza, per garantire non solo la sicurezza nella gestione ma anche la tranquillità degli operatori stessi: il paziente ha la febbre a 38,5° e le sue condizioni per ora sono stabili salvo un aumento della temperatura riscontrato ieri sera e un peggioramento dei parametri ematologici (riduzione dei globuli bianchi e delle piastrine).
Il paziente è vigile e collaborante, interagisce con il personale sanitario e la pressione è normale; non vi è per ora nessun altro sintomo caratteristico dell’ebola, in particolare nessun segno di emorragie. Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’istituto, ha sottolineato anche che il personale medico-sanitario che lo cura non rappresenta un “rischio maggiore per la comunità” in quanto si attiene a procedure di sicurezza estremamente rigide.
La terapia antivirale in uso si basa su un farmaco sperimentale, ottenuto dallo Spallanzani con l’approvazione dell’AIFA tramite una procedura speciale per l’importazione di farmaci non registrati, che non hanno concluso l’iter dei trial clinici. Fino a completamento del ciclo di cura, riporta l’Istituto, l’approvvigionamento del farmaco è garantito grazie anche all’assistenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Insieme al medico -sullo stesso aereo di Emergency- è arrivato il plasma dei pazienti sopravvissuti all’ebola, che grazie all’azione degli anticorpi è considerato al momento una delle vie terapeutiche più promettenti. Sono stati in molti a donarlo, ha spiegato Gino Strada in un’intervista al Corriere, come anche in molti a chiedere notizie del medico, che sul campo aveva finora svolto un ottimo lavoro.
La possibilità di curarlo in Sierra Leone, sottolinea Strada, non è stata esclusa a priori ma valutata attentamente (lo stesso Strada tempo fa aveva detto che sarebbe rimasto a Lakka in caso di contagio). Poi “lui ha chiesto di essere evacuato allo Spallanzani”, con il quale Emergency ha una collaborazione continua da svariati mesi. Un loro team sta per arrivare nei laboratori in Sierra Leone, in appoggio al personale sanitario già in loco.
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