SeedScience, in Africa un progetto per “seminare” conoscenza
Michele Raggio, fondatore di SeedScience ed Explorer per la National Geographic, racconta il suo lavoro con gli insegnanti in Africa
Ci sono semi che viaggiano molte miglia prima di posarsi. Navigano le correnti del cielo, sperando in un terreno fertile in cui attecchire, trasformarsi in nuovi fiori, dare vita ad altre generazioni di acheni pronti a diffondersi. Michele Raggio, chimico di formazione, oggi Explorer per il National Geographic, è uno di questi semi. Il Ghana è la terra in cui ha messo radici. Tra i fondatori del progetto SeedScience, dal 2018 non pianta alberi, ma conoscenza.
Lavora con gli insegnanti, formandoli a una didattica pratica della scienza, perché possano trasmettere ciò che imparano ai loro colleghi e agli studenti. Seminare per diffondere. Col suo team di volontari e docenti locali, ha fatto sì che SeedScience attecchisse in altre tre nazioni: Uganda, Kenya e Tanzania.
«All’inizio era solo un’idea pazza. Durante il mio dottorato ero stato in alcune scuole africane come volontario. Mi ero trovato bene, perciò speravo di poter tornare con un progetto interamente dedicato all’insegnamento pratico delle scienze. Si trattava di un’idea abbozzata, ma ho incontrato chi ha saputo incoraggiarmi. Se uno fa qualcosa, però, deve farla bene. Così ho preso contatti con diverse ONG e con esperti di educazione scientifica, rendendomi conto che da semplice avventura poteva trasformarsi in un lavoro. Per la precisione: quello che avrei voluto fare nella vita».
Seminare scienza
Le attività di SeedScience seguono uno schema semplice, ma efficace. Alcuni insegnanti vengono selezionati per partecipare a un primo ciclo di formazione, della durata di tre mesi. Al termine, applicano ciò che hanno appreso nelle loro classi, lo mostrano ad altri insegnanti, e continuano ad aggiornarsi e confrontarsi tra loro tramite incontri mensili e su Whatsapp anche con gli insegnanti degli altri Paesi africani. A un anno di distanza, iniziano un secondo blocco formativo, che questa volta li vede impegnati anche in qualità di docenti. Così diventano indipendenti, e il progetto può ricominciare in un’altra città, in un altro stato.
«Da poco, in Ghana, è iniziato il secondo ciclo di formazione. Tre degli insegnanti che l’anno scorso avevano seguito il blocco iniziale sono ora accanto a me, come formatori e, in un paio di settimane, prenderanno la direzione delle attività. In questo modo il progetto diventa autonomo a livello locale».
L’importanza degli insegnanti
Perché un seme possa dare frutto è necessario un suolo fertile. Il terreno, in questo caso, sono gli insegnanti. «La selezione iniziale è il momento decisivo: è quella che fa la differenza tra la riuscita o meno del progetto». Non bastano le conoscenze acquisite, ma la passione per il proprio lavoro, il tempo che si è disposti a investire nelle attività e la capacità di lavorare in gruppo. «È fondamentale trovare persone che non vogliano soltanto mettere in pratica quanto appreso nelle proprie classi, ma che siano disposte a disseminare, a trasmettere ad altri insegnanti quanto imparano».
Gli studenti al centro
«Da questo punto di vista, il terreno fertile c’è, ma bisogna lavorarlo. Quella che noi proponiamo, infatti, è un tipo di didattica che sta prendendo piede, ma ancora è considerata innovativa».
A far apparire inusuale il lavoro di SeedScience sono tre elementi. Il primo è la praticità delle lezioni: la scienza diventa una questione di mani, non solo di testa. «Noi scegliamo un argomento e cerchiamo un modo pratico di raccontarlo, fatto di esperimenti. Contrariamente a quanto ci si aspetta, il più delle volte questo modo pratico esiste».
Il secondo elemento è la semplicità dei materiali. «L’altra credenza piuttosto radicata è che l’insegnamento pratico delle scienze sia possibile soltanto in laboratorio, con un’attrezzatura specifica. Non è così. E infatti noi lavoriamo con materiali a basso costo, riciclati o rimediabili nell’ambiente circostante. Così facciamo scienza in modo economico, e la connettiamo alla quotidianità, al mondo in cui gli insegnanti e i ragazzi vivono».
Il terzo aspetto innovativo è la prospettiva. Nella concezione classica dell’insegnamento, al centro troviamo il professore. È lui che dalla cattedra parla e fornisce spiegazioni, mentre gli studenti si limitano ad ascoltare, in silenzio. Quella che propone SeedScience è una rivoluzione copernicana e, in alcuni casi, viene vissuta proprio come tale. Lo studente ritorna al centro, mette le mani in pasta, assiste il docente negli esperimenti, invece di limitarsi ad uno studio teorico, dal banco.
«Almeno all’inizio, chi non è abituato al nostro punto di vista rimane interdetto, specialmente se si tratta di dirigenti scolastici che operano nel settore da venti-trent’anni, e hanno sempre lavorato in un certo modo. Quando, però, grazie all’impegno dei docenti locali, vedono che il nostro metodo funziona, che i ragazzi imparano a ragionare in maniera critica, che si divertono, ecco che anche i più scettici si fanno avanti per chiederci di collaborare».
Ma non sono solo gli adulti a stupirsi. Anche per i ragazzi il metodo proposto da SeedSciencerisulta piuttosto insolito, perché diverte. «Di recente mi è capitato di parlare in una classe di ragazzi di circa dieci anni. Ho chiesto loro cosa vorrebbero dalla scuola e mi hanno risposto: ‘più tempo per andare a giocare e divertirci’. Al che, ridendo, ho domandato cosa venivano a fare lì, e loro: ‘per imparare, perché è importante per il nostro futuro’. Allora faccio: ‘va bene, ma non pensate che imparando ci si possa anche divertire?’. E mi hanno guardato con due occhi così, perché per loro questa è un’idea completamente nuova».
Radicarsi
Ci si radica in un contesto non soltanto coinvolgendo i docenti del posto, ma anche scegliendo i temi da trattare. I programmi scolastici sono un punto di riferimento; l’altra è la rilevanza locale. «Cerchiamo sempre di fare in modo che ci sia una forte connessione tra quello che facciamo e ciò che i ragazzi incontrano ogni giorno. Vogliamo che imparino ad affrontare, in maniera critica e creativa, i temi che li riguardano direttamente, come cittadini».
Acqua e rifiuti sono gli argomenti che vanno per la maggiore. «In Ghana, soprattutto, la gestione dei rifiuti è uno dei problemi più sentiti. Ma anche i cambiamenti climatici, l’igiene, la nutrizione. Sono tutte questioni di cui si incomincia a parlare, di cui si avverte l’importanza, e perciò arrivano nei testi di scuola».
Piccoli cambiamenti quotidiani
Alla quotidianità appartengono anche i primi frutti, misurabili sia in termini di competenze sia in termini di entusiasmo dei ragazzi e trasformazione delle loro abitudini.
«Tra le molte attività che facciamo ce ne sono alcune che riguardano l’igiene. Dopo averle fatte, abbiamo visto alcuni ragazzi, prima abituati a lavarsi le mani solo con l’acqua, andare a domandare il sapone ai loro insegnanti, perché era finito ma ne avevano bisogno per togliersi i germi. Oppure abbiamo visto delle scuole cambiare il modo in cui smaltiscono i rifiuti, fare la raccolta differenziata, in alcuni casi riciclare la carta da sé o aprire collaborazione coi paesi vicini perché qualcuno venga a prendere la plastica e la porti al più vicino centro di riciclo, magari dietro compenso».
I cambiamenti visibili non appartengono soltanto alla sfera pratica. In Ghana, per esempio, è piuttosto diffusa la convinzione che lo studio della scienza sia un ambito prettamente maschile, poiché troppo complicato per le ragazze. Questo fa sì che siano poche le giovani che proseguono gli studi, e ancora meno quelle che diventano docenti.
«Noi cerchiamo di compensare questo pregiudizio, tenendo quanto più amplia possibile la selezione iniziale degli insegnanti. In questo modo aumenta il bacino di scelta, consentendoci di ragionare anche secondo la parità di genere. Non sempre vi si riesce. Quest’anno, per esempio, solo un terzo dei nostri insegnanti sono ragazze. In situazioni simili, facciamo in modo che le donne svolgano compiti importanti all’interno del progetto. La cosa interessante è che, poi, le docenti più sensibili alla questione, quando ritornano nelle loro classi, colgono l’occasione di insegnare in modo pratico e semplice la scienza, anche per trasmettere un messaggio di parità».
Esiste infatti – ed è fondamentale – una dimensione civile dell’educazione scientifica, che riguarda i valori trasmessi e le scelte compiute sulla base delle nozioni acquisite.
«Prendiamo i diciassette obiettivi individuati dall’ONU per uno sviluppo sostenibile. Tutti passano dal quarto, che è l’accesso libero a un’istruzione di qualità. È attraverso l’apprendimento che possiamo portare un contributo alla società. Durante il mio percorso scolastico non me ne sono mai veramente reso conto. Ho iniziato a farlo poi, lavorando coi ragazzi, qui in Africa. E il frutto è stato che mi è tornata una gran voglia di studiare. Forse studio più ora, da adulto, rispetto a quanto facevo da giovane».
I semi del domani
Ma la vera sfida è dare continuità ai propri progetti. La volontà è condizione necessaria, ma non del tutto sufficiente. Servono, per esempio, anche risorse economiche adeguate. Per SeedScience ciò significa avere i fondi necessari a garantire uno stipendio al personale impegnato a tempo pieno nelle attività. Da questo punto di vista, il contributo versato dai principali finanziatori del progetto – National Geographic Society, Otto per Mille della Tavola Valdese, Università di Roma Tor Vergata e Ministero degli Affari Esteri – è fondamentale, ma necessita di essere ampliato.
«Quello a cui vogliamo puntare, ora, è trovare un modo per aumentare l’impatto di SeedScience. Il requisito è avere persone che vi si possano dedicare interamente, e soldi per retribuirle. È questo il nostro obiettivo».Un obiettivo a lungo termine che terrà impegnati Michele Raggio e il suo team almeno fino al 2023.
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Immagini: Benedetta Di Ruggiero, Roberta Baria