GRAVIDANZA E DINTORNI

Primi 1000 giorni: anche i papà (e l’ambiente) contano

Alcune malattie hanno origine in utero o nei primi due anni di vita, ma non è tutta colpa delle mamme

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GRAVIDANZA E DINTORNI – L’autismo? Se oggi, sbagliando, c’è chi dà la colpa ai vaccini, non molto tempo fa era stata la comunità scientifica a prendere un abbaglio proponendo l’ipotesi, in voga fino alla fine degli anni settanta, delle madri frigorifero: mamme talmente incapaci di empatia e calore emotivo da provocare la malattia nei figli. È solo uno dei tanti esempi di colpevolizzazione delle madri per lo stato di salute dei figli, ricordato da un gruppo di storici, medici e antropologi in un editoriale (“Non prendetevela con le mamme“) pubblicato su Nature alcuni mesi fa. A preoccupare gli autori sono le possibili derive di un nuovo settore di ricerca, quello dedicato alle origini fetali e perinatali delle malattie. Perché se è vero che le condizioni di vita in utero e appena al di fuori gettano un’ombra lunga sugli anni a venire, è altrettanto vero che non tutto dipende dalla mamma, come invece alcune campagne informative e alcuni titoli di giornale potrebbero far pensare. OggiScienza ne ha parlato con il pediatra Umberto Simeoni, responsabile del CHUV, Centro ospedaliero universitario di Losanna, in Svizzera, tra i massimi esperti mondiali del settore.

Nei giorni scorsi Simeoni ha aperto il congresso nazionale della Società italiana di medicina perinatale con un intervento centrato proprio sull’importanza dei primi 1000 giorni, dal concepimento ai due anni d’età, per la salute di tutta la vita. Già vent’anni fa era stato l’epidemiologo inglese David Barker a mostrare un’associazione significativa tra basso peso alla nascita e rischio di sviluppare malattie del cuore e dei vasi sanguigni in età adulta. Ora i dati a disposizione sono ancora più solidi e confermano: nascere leggeri – per prematurità o per scarsa crescita in utero – aumenta per esempio il rischio di ipertensione. «In generale – ha sottolineato Simeoni – oggi sappiamo che alcuni effetti perinatali possono durare per tutta la vita e influenzare il rischio di varie malattie, come diabete, obesità, malattie cardiovascolari (le principali malattie croniche non trasmissibili, tra le prime cause di morte al mondo), ma anche cancro e infertilità».

Il fenomeno biologico alla base di questi effetti è l’epigenetica, che rappresenta l’insieme dei meccanismi in grado di regolare l’espressione dei geni – cioè di stabilire quali e per quanto tempo devono essere accesi o spenti – senza modificare la sequenza del DNA. Meccanismi che agiscono sul cosiddetto developmental programming, il programma biologico che, nelle primissime fasi della vita, modula lo sviluppo di tessuti e organi, facendo sì che particolari condizioni – come la presenza di inquinanti nell’ambiente oppure la carenza di micronutrienti – si traducano in effetti diretti sul feto e sulla sua vita futura. Per questo si parla di origini perinatali delle malattie e si consiglia ai futuri genitori di programmare le gravidanze, in modo da avere tutto il tempo di prepararsi per bene, adottando un sano stile di vita (niente fumo, possibilmente niente alcol, dieta mediterranea, un po’ di attività fisica) e assumendo, se serve, integratori specifici, per esempio di acido folico. Oppure si consiglia alle neomamme l’allattamento al seno, che protegge il bambino dall’obesità.

Dai buoni consigli al dito puntato contro le mamme, però, il passo è breve, come ricorda l’editoriale su Nature. Senza arrivare ai casi tipicamente americani di donne arrestate nell’ipotesi che il loro comportamento possa nuocere al bambino che hanno in pancia – una recente review ne ha documentati più di 400 – basta pensare allo sguardo di riprovazione collettivo che cala su una donna incinta se anche solo si azzarda, una volta ogni tanto, ad assaggiare il vino dal bicchiere del compagno. Mentre è sempre più frequente leggere titoli come La dieta della mamma in gravidanza modifica il DNA del bambino oppure Le esperienze di nonna lasciano un segno nei tuoi geni.

Eppure, prendersela solo con le mamme non ha senso, come ci ha confermato Simeoni a margine del convegno Simp. «Certo, è importante far sapere che le condizioni di vita in utero contano e che ci si può prepare al meglio per una gravidanza, ma questo non deve diventare la scusa per cercare capri espitori. Anzitutto perché il fenomeno di developmental programming è così complesso che nessuno può pretendere di controllarlo completamente, nel bene e nel male. Gli effetti sul feto e sul bambino non dipendono da singoli stimoli isolati, ma da un insieme di stimoli, molti dei quali non sono neppure controllabili. Pensiamo a una donna incinta che sta attraversando una strada: basta un’auto che piomba veloce e frena di colpo a un passo dalla donna a provocarle una scarica di adrenalina, che di sicuro viene registrata dal bambino e “letta” come situazione di stress».

E non è tutto. «La donna non è mai isolata, ma inserita in un contesto ambientale e sociale che ha un grosso peso» precisa il pediatra. Se l’ambiente è ricco di interferenti endocrini, come i pesticidi, che possono influenzare negativamente lo sviluppo fetale, non è certo colpa della futura mamma, anche se i meccanismi epigenetici che agiscono sul feta passano attraverso di lei. E infine, è ora di cominciare a riconoscere il grosso ruolo giocato anche dal papà. «A livello preconcezionale, ci sono alcuni studi che dimostrano, in vari modelli animali, come una dieta ricca di grassi saturi lasci sugli spermatozoi dei “marchi” epigenetici associati ad alterazioni nella produzione di insulina e dunque a un rischio di malattie metaboliche, come il diabete» sottolinea Simeoni. «Senza contare che il padre contribuisce in modo significativo a plasmare lo stile di vita della famiglia, che il bambino comincia a percepire già in utero e nel quale sarà poi immerso dopo la nascita. Anche papà partecipa alle scelte alimentari e sull’attività fisica, al sostegno o meno all’allattamento, all’educazione. Tutti aspetti che influiscono direttamente sulla vita del bambino e sul suo stato di salute».

Così, alla fine, il messaggio si allarga dai primi 1000 giorni fino ad abbracciare tutta l’esistenza. Perché se è vero che già in partenza ci giochiamo un po’ come staremo “da grandi”, è altrettanto vero che della salute nostra e dei nostri cari dobbiamo prenderci cura ogni giorno. Per tutta la vita.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: atomicpuppy68, Flickr

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Valentina Murelli
Giornalista scientifica, science writer, editor freelance