Cosa vuol dire avere la fibrosi cistica oggi
Un bambino malato ogni 2500 nati. Ed entro i 30 anni circa un paziente su cinque avrà necessità di un trapianto polmonare
APPROFONDIMENTO – Statisticamente, quando saliamo in treno almeno una persona nella nostra carrozza potrebbe essere un portatore sano del gene per la fibrosi cistica, e molto probabilmente non lo sa. I dati parlano infatti di un portatore sano ogni 20-25 persone, e di un bambino malato ogni 2500 nati. In Europa oggi i pazienti sono circa 19 000, 6000 di questi in Italia. Se ne è parlato di recente a un incontro tenutosi a Roma e organizzato dall’Osservatorio Malattie Rare.
La fibrosi cistica è una malattia genetica rara che colpisce diversi organi e che è dovuta alla mutazione del gene CFTR. Il gene mutato produce una proteina difettosa, che fa sì che le secrezioni di queste persone siano disidratate e quindi dense e difficili da drenare. Una malattia dalla quale oggi non si guarisce, si può al massimo imparare a conviverci. Una patologia che se non è troppo aggravata da un lato permette una vita semi normale – puoi andare a scuola e al lavoro – dall’altro ti costringe a una dipendenza costante da antibiotici e fisioterapia. Una vita costantemente sotto controllo, una vita non libera, né per il bambino né per la sua famiglia.
«Sono i genitori, sostanzialmente la madre, che si occupa di gestire la malattia dei figli, e questo significa imparare in breve tempo a fare fisioterapia, a somministrare farmaci, a drenare manualmente le vie respiratorie del bambino, anche neonato, con il rischio costante di episodi di insufficienza respiratoria anche molto gravi» racconta Vincenzo Carnovale, del centro di riferimento regionale per la fibrosi cistica della Regione Campania.
Questa patologia non colpisce solo le vie respiratore, ma anche l’apparato digerente, in particolare pancreas e intestino. Il pancreas in questi pazienti è ostruito a causa della densità dei succhi; di conseguenza gli enzimi non riescono a espletare la loro funzione di scomporre i cibi, che vengono invece eliminati con le feci. Per questa ragione molti bambini faticano a crescere come invece dovrebbero. Inoltre, circa 10 bambini su 100 colpiti da fibrosi cistica nascono con l’intestino ostruito dal muco, situazioni che richiedono un interventi chirurgico immediato.
«Morirà presto il bambino, la cui fronte sa di sale» recita un antico proverbio tedesco del XVII secolo. Nel Nord Europa infatti, durante cerimonie di purificazione si era soliti leccare la fronte dei neonati e un sapore eccessivamente salato veniva interpretato come segno infausto che il bambino era destinato a morte precoce. Superstizioni a parte, oggi sappiamo che un fondo di verità in tutto questo c’è. Una caratteristica della malattia è il sudore, che è appunto molto più salato di quello delle persone sane, tanto che il test diagnostico più conosciuto oggigiorno è proprio il cosiddetto “test del sudore”.
Non ti puoi dimenticare neanche per una giornata di avere la fibrosi cistica. Non ci sono mattine in cui puoi alzarti tardi e fare colazione a letto, ogni mattina il tuo corpo ti costringe a svegliarti molto presto perché fatichi a respirare, perché senti il bisogno di ripulire i tuoi polmoni dal muco che ti soffoca. Poi ti svegli, ti dreni e prendi l’antibiotico, se sei fortunato tramite areosol, altrimenti te lo devi fare in vena. Poi andavo a scuola e una volta ritornata a casa dovevo ripetere tutto un’altra volta. Nel periodo precedente al trapianto facevo fatica anche a fare le scale di casa senza il sostegno di mia madre. E poi ancora la sera, prima di andare a dormire. Camminavo, andavo a scuola, frequentavo degli amici ma non ci sono mai state per me le gite fuori casa o i tipici viaggi on the road che ogni ragazzo si merita di poter fare. Solo 26 anni, quando questo mostro, lo chiamo così, mi aveva rubato tutti gli anni più spensierati, ho deciso di farmi mettere in lista per un trapianto bipolmonare. Mi ricordo i medici che mi spiegarono quali fossero i rischi e i tempi per il trapianto, e che mi dicevano che già la sopravvivenza a cinque anni sarebbe stato un traguardo. Non preoccupatevi, ho risposto. Trapiantatemi e poi ai miei nuovi polmoni ci penso io.
Questa è l’esperienza di Anna (nome di fantasia) che oggi ha più di 40 anni e a quasi 20 dal trapianto sta bene, ed è mamma. Una donna che giorno dopo giorno continua a combattere contro questa malattia; la sua arma è la bicicletta, chilometri ogni giorno, per mantenere i suoi polmoni e il suo cuore nel miglior stato possibile. «Perché subire un trapianto d’organo, superare il rigetto e sopravvivere al follow up non significa essere guariti, significa solo avere una possibilità in più, cosa che anche le istituzioni statali devono recepire al meglio per evitare casi come quelli di malati che si sono visti revocare la disabilità solo perché trapiantati», precisa Carnovale.
Oggi grazie soprattutto all’informazione sull’argomento portata avanti per esempio dalla LIFC (Lega Italiana Fibrosi Cistica) e alla diagnosi pre-impianto nascono meno bambini affetti da questa malattia, e al tempo stesso grazie alle terapie sempre più innovative i malati raggiungono nella maggior parte dei casi l’età adulta. Inoltre la diagnosi oggi in Italia viene fatta molto presto grazie all’obbligo introdotto nel 1993 dello screening neonatale, anche se al momento non tutte le regioni hanno ancora implementato questa pratica. Non lo hanno fatto l’Abruzzo, la Puglia, la Sardegna e il Molise. Il risultato è che questa, che è sempre stata considerata una patologia pediatrica, lo è oggi sempre meno: secondo recenti dati il 50% dei pazienti ha meno di 18 anni.
Centri in europa
Pazienti adulti nel centro di napoli
«Inoltre – racconta Baroukh Maurice Assael, direttore del centro Fibrosi Cistica dell’Azienda Ospedaliera di Verona – 15-20 pazienti su 100 avranno necessità di un trapianto polmonare entro i 30 anni». A Verona per esempio, nel 2014 sono stati eseguiti 10 trapianti, una media sostanzialmente in linea con quella degli ultimi 15 anni.
Negli ultimi anni però vi è anche un’altra possibilità: quella de cosiddetto “ricondizionamento ex-vivo”, una serie di procedure per ripulire il polmone da trapiantare nel paziente in modo di offrirlo in condizioni ottimali, una tecnica che permette di incrementare la disponibilità di organi del 20%.
Una percentuale che per molte persone come Anna può fare la differenza tra la vita e la morte.
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