Astronomia? Non sul mio Monte Sacro
Un telescopio da record che dovrebbe vedere la luce entro il 2018. Ma gli hawaiiani protestano: non si costruisce su un luogo sacro
APPROFONDIMENTO – Dovrebbe vedere la luce entro il 2018, potrà battere tutti i record raggiunti finora dagli osservatori astronomici, superando di un fattore 10 le performance di risoluzione del telescopio spaziale Hubble, per dirne una: è TMT, Thirty Meter Telescope, ovvero il telescopio voluto dai leader del settore di cinque paesi (Stati Uniti, Cina, Giappone, Canada, India, con un budget di circa 1.5 miliardi di dollari), un gigante con un occhio sul cosmo in grado di aprirsi fino a 30 metri, appunto, in costruzione sulle Big Island delle Hawaii a quota 4050 metri, sul monte Mauna Kea.
Gli scienziati della TMT Corporation non hanno avuto dubbi, la location ha caratteristiche del tutto eccezionali: tassi di umidità trascurabile, basso inquinamento atmosferico, bassissimo inquinamento luminoso, la vetta si trova vicino l’equatore e subito oltre le nubi atmosferiche – Mauna Kea significa “montagna bianca”. L’ideale in astronomia, insomma.
Il progetto però non piace per niente ai nativi hawaiani, che negli ultimi giorni hanno infuocato la protesta contro la costruzione di TMT, bloccando momentaneamente il cantiere. Mauna Kea, infatti, non solo fa gola agli astronomi della comunità internazionale, ma la posizione straordinaria ha sancito per secoli la sua sacralità come luogo di culto, associato alla storia della creazione, e quindi la sua inviolabilità.
Una lunga battaglia
La protesta inizia già a metà anni ’90, all’avvio del progetto. Questo territorio è stato in realtà al centro di dispute con i locali ancora prima, durante la costruzione del Mauna Kea Observatory, il complesso di 13 telescopi realizzato grazie all’approvazione del Historical Preservation Act, la legge del 1966 che protegge i siti di interesse archeologico e culturale e regola le attività al loro interno. Ora però è la volta del vulcano spento, la cima intoccabile, e non c’è legge che possa placare i nativi.
L’opposizione si era rifatta rumorosa già lo scorso autunno e nelle ultime settimane si è ingrossata grazie alle solite pratiche, ormai consolidate: #ProtectMaunakea è l’hashtag ufficiale su Twitter e Facebook, c’è una petizione online e un endorsment di celebrità che appoggiano la richiesta di rilasciare i 31 attivisti arrestati agli inizi di aprile, fermare la costruzione e aspettare 30 giorni per discutere e rivedere il progetto alla luce delle violazioni ambientali e culturali.
Nessuna violazione, ribatte la TMT. Il luogo esatto è stato scelto con cura su una spianata subito sotto la vetta, non ci sono reperti archeologici né sepolture, nessuna specie biologica o animale è a rischio estinzione, non ci sono pericoli di inquinamento delle acque e di impatto generale sull’assetto idrogeologico della montagna e, soprattutto, spiegano i delegati, non disturba la visuale da altri punti sacri e non ci sono pratiche religiose che vengono ancora esercitate in quel punto.
Il telescopio, viceversa – si legge sul sito del progetto – porterà un contributo enorme al progresso scientifico. Lavorando nel vicino e medio infrarosso si potranno infatti, per esempio, raccogliere ancora più dati per l’individuazione e l’osservazione di esopianeti e per ricostruire le prime fasi di vita dell’universo. E i vantaggi immediati sarebbero tutti per le isole Hawaii, che grazie agli osservatori godono di un indotto economico pari a 170 milioni di dollari, stando alle stime della University of Hawaii Economic Research Organization.
Posizioni entrambe chiare, che trovano già reciproci appoggi all’interno delle due comunità in contesa. E’ difficile credere che il progetto TMT possa fermarsi, sarà infatti solo il primo della una nuova generazione di telescopi ELT (Extremely Large Telescope), a cui farà seguito un progetto europeo, l’E-ELT.
Nel frattempo però è tornato a galla un dibattito non inedito, a ben vedere: scienza, tradizioni e culture diverse possono coabitare?
Una storia già vista
Oltre a ricordare nei modi altri movimenti ambientalisti di protesta stile #NotInMyBackYard, Protect Mauna Kea è una vicenda del tutto simile a una storia che ha coinvolto anche strutture italiane, compresa la Santa Sede: la nascita dell’osservatorio del Monte Graham, in Arizona.
Il Monte Graham è tra le cime più alte della zona, e anche, guarda caso, un luogo sacro per gli Apache, i pellerossa dell’Arizona. La montagna è considerata la dimora di Ga’an, il messaggero spirituale, e ospita un ecosistema vitale per lo scoiattolo rosso, una specie protetta. Dopo l’approvazione, nel 1988, del progetto “Columbus” per la costruzione di tre grossi telescopi sotto l’egida dell’Università dell’Arizona, dell’Osservatorio Astronomico di Acetri e della Specola Vaticana, anche i nativi Apache protestarono su due fronti per impedirne la costruzione, uno ecologico e uno culturale-religioso, costituendo l’Apache Survival Coalition e la Mount Graham Coalition.
Molti partner americani abbandonarono quindi il progetto, guardando agli altri siti possibili, quello cileno e quello hawaiiano, vale a dire Mauna Kea, e dopo la costruzione del primo telescopio per mano del Max Plank Institute, toccò ai portavoce della Specola Vaticana dialogare con chi non ne voleva sapere di far nascere il VATT (Vatican Advanced Technoloy Telescope; il terzo telescopio sarà LBT – Large Binocular Telescope). Nonostante la fiducia dei nativi e la speranza di essere compresi dalla più grossa istituzione religiosa al mondo, gli emissari del vaticano – è la fine degli anni ’90 – riuscirono ad offrire come calumet solo la possibilità di pregare nella zona del telescopio.
Niente di nuovo quindi sotto il cielo di Mauna Kea?
Qualche osservatore della stampa internazionale fa notare come la protesta, anche in questo caso, può essere interpretata come puramente simbolica, ultimo baluardo per difendere i diritti e la tradizione di un popolo che rischia l’estinzione.
Per parlarsi e trovare un accordo c’è tempo fino al 20 aprile, data di ripartenza dei lavori stabilita dal governo delle Hawaii. Staremo a vedere, ma TMT continua a ribadire di aver già coinvolto e interpellato per sette anni tutte le parti interessate.
Intanto, i sostenitori della causa di Mauna Kea possono però contare sull’appoggio di un’opinione pubblica sicuramente più pressante, vigile e organizzata rispetto a qualche anno fa, contrastata nelle ultime ore da una contro-campagna, #WeSupportTMT, a dire il vero un po’ pallida a confronto della macchina super collaudata dei nativi e decisamente tardiva in termini di strategia mediatica.
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Crediti immagini: @pridefgypsies, jeneeisenhower.com, mountgraham.com