Quando riusciremo a eradicare la polio?
Solo 416 i nuovi casi registrati nel 2014 e il risultato è a portata di mano, ma la sorveglianza deve essere aumentata. Anche in assenza di contagi
SALUTE – Nel 2015 sono solo tre i paesi al mondo in cui la poliomielite è dichiarata “endemica” (Pakistan, Afghanistan e Nigeria) e la conta dei casi è di poco superiore ai 400 casi all’anno. Siamo vicini a sconfiggere la malattia, ma questo potrebbe essere proprio un passaggio delicato. Secondo quanto afferma uno studio pubblicato da PLoS Biology da gruppo di ricercatori dell’università del Michigan (USA), infatti, quando non si presenteranno più nuovi casi, sarà uno dei momenti in cui la sorveglianza ambientale dovrà essere massima.
Quando nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato definitivamente eradicato il vaiolo, il direttore generale di allora, Halfdan Mahler, ha usato giustamente toni trionfalistici. È una vittoria dell’organizzazione sanitaria e degli sforzi internazionali contro una malattia che ha segnato secoli di storia umana. Appena otto anni più tardi, nel 1988, è cominciato il programma per l’eradicazione della poliomielite, con risultati rapidi: non si è raggiunto l’obiettivo entro il 2000, ma i casi sono diminuiti del 99%. Legittimo, quindi, immaginare che il risultato sia a portata di mano.
Usando modelli che simulano la trasmissione della malattia, Micaela Martinez-Bakker e due colleghi hanno dimostrato che “si possono verificare trasmissioni silenziose nella popolazione per oltre tre anni, senza che nessun nuovo caso di polio venga registrato”. Una volta che “avremo eradicato la polio, o pensato di averla eradicata, sarà il momento in cui bisognerà intensificare la sorveglianza, per essere sicuri che il virus non sia invece in agguato”, spiega la Martinez-Bakker, che aggiunge: “eradicare la polio significa eradicare il virus, non semplicemente liberarci della malattia”.
Per raggiungere questi risultati, il team americano ha sfruttato l’enorme banca dati sulla polio rappresentata dai casi americani nell’era pre-vaccino, introdotto negli anni Cinquanta del secolo scorso. In questo modo hanno potuto studiare l’ecologia del virus in una sostanziale assenza di intervento umano. Su questo fronte, il risultato principale è aver dimostrato l’infondatezza dell’Hygiene hypothesis, la teoria secondo la quale la mancanza di esposizione dei bambini agli agenti patogeni li renderebbe più proni ad ammalarsi. Durante il periodo preso in considerazione, si è assistito a un aumento dell’igiene delle famiglie americane e a un contemporaneo aumento dei casi di polio. Ma secondo lo studio della Martinez-Bakker e dei suoi colleghi, il punto è un altro: se hai più alberi da bruciare, l’incendio può espandersi. Ovvero, la crescita della natalità di quel periodo avrebbe offerto al virus più potenziali ospiti da infettare.
“Raggiungere l’eradicazione e prevenire un eventuale ritorno della polio richiede un profonda conoscenza del comportamento del virus, e di come si mantenga” all’interno della popolazione. Martinez-Bakker conclude le sue dichiarazioni alla stampa sottolineando come le “epidemie storiche precedenti all’introduzione del vaccino siano utili per comprendere l’epidemiologia della patologia e ci permettono di identificare un punto di partenza per studiare il sistema in assenza di un intervento”.
Leggi anche: Spagna, primo caso di difterite in 30 anni
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: John Megahan