Fare tesoro delle piazze No Green Pass
Le manifestazioni contro il green pass sono state numerose e partecipate. Osservarle con occhio critico può dare indicazioni importanti per comunicare efficacemente la scienza e la medicina in momenti critici come questo.
La sera del 22 luglio la centralissima piazza castello era gremita di gente. Chi frequenta Torino sa che quello è il luogo d’elezione di ogni manifestazione politica. Indipendentemente dal colore, è il punto di arrivo dei cortei e il concentramento di ogni presidio che ambisca ad essere visibile. È una piazza ampia, che non si riempie con poche centinaia di persone.
Secondo i No green pass, gli organizzatori di questo presidio, in piazza erano presenti 5 mila persone. Per la questura 2 mila, ma la sostanza cambia poco: questi numeri sono un indizio di come queste manifestazioni siano uscite dall’alveo NoVax, coinvolgendo persone fino ad oggi estranee a questi movimenti. L’evento è stato bissato sabato 24 luglio in oltre una ventina di città italiane, anche in questo caso con numeri non trascurabili. Questa data è stata anche l’occasione per vedere più da vicino e parlare con i partecipanti, per farsi un’idea più chiara di chi sia il popolo dei No green pass e riflettere sulla comunicazione di scienza e medicina in questo periodo pandemico.
Piazze composite
A oltre 500 chilometri da Torino, a Udine, gli oppositori al green pass si sono dati appuntamento in piazza della libertà. Certamente più piccola della piazza torinese ma lo stesso molto partecipata. In mezzo ai manifestanti persone di ogni età, tanti cartelli inneggianti la libertà di scelta e contro la “dittatura sanitaria”. Scambiando qualche parola con i partecipanti emerge una generale associazione tra opposizione al green pass e diffidenza verso i vaccini anti-covid. Allo stesso modo, però, molti degli intervistati non sono ostili ai vaccini tout court. “Non ho avuto alcun problema a vaccinare i miei figli con i vaccini obbligatori, è di questi nuovi che non mi fido perché sono in giro da troppo poco tempo”, a dirlo è una donna sulla quarantina presente in piazza. A cui fa eco chi, tra i presenti, non si fida delle tecnologie a RNA o non vuole farsi iniettare adenovirus di scimmia.
Se dubbi come questi sono così diffusi nella popolazione c’è chiaramente una falla in come queste tecnologie sono state comunicate. “Sono il sintomo di una comunicazione istituzionale assente o mal posta”, sostiene Giancarlo Sturloni, giornalista scientifico esperto di comunicazione del rischio , “basti considerare che nel piano vaccinale gli aspetti comunicativi non vengono minimamente considerati. Un errore gravissimo”, prosegue Sturloni, “dal momento che col vaccino si chiede di intraprendere un trattamento sanitario a delle persone sane”.
Una comunicazione troppo rassicurante
Un punto di vista simile a quanto espresso anche da Daniela Ovadia, giornalista scientifica e ricercatrice, secondo cui “la comunicazione in questo periodo è stata centrata tanto e troppo sul rassicurare la cittadinanza. Si sono presentati i vaccini come sicuri (e lo sono) senza però che fosse data anche una definizione precisa di sicurezza, e gli strumenti per capire cosa significhi numericamente. Non si è parlato dei rischi e si è diffusa l’idea che vaccinandosi il virus sarebbe scomparso”. In questo contesto bastano quindi pochi eventi avversi a fare notizia e minare la credibilità di questi protocolli. Di fatti, tra le argomentazioni portate in piazza a sostegno dei propri dubbi, i manifestanti citavano proprio i casi nefasti verificatisi dopo le vaccinazioni o la ripresa delle infezioni nel Regno Unito. Segno che, almeno tra i presenti, non c’è stata una comunicazione efficace su funzionamento, efficacia e anche sui rischi reali della vaccinazione.
D’altro canto, un altro errore sarebbe quello di pretendere da tutti e tutte un ragionamento razionale e probabilistico, o sminuire le paure di chi teme che quel caso su un milione di evento avverso possa capitare proprio alla propria persona. Anzi, in questi contesti è percepibile come un atteggiamento simile accentui la polarizzazione. Non è un caso che tra i più citati in piazza ci fossero Draghi e Burioni. Il primo per aver definito “scelta di morte” il non vaccinarsi, il secondo per aver dato dei sorci gli antivaccinisti. Frasi che in un’economia del dialogo, non tanto coi novax più convinti ma con la platea di esitanti vaccinali, rischiano di essere più che controproducenti.
Oltre il dibattito scientifico
Ci sono poi gli aspetti più politici legati all’opposizione al green pass. Come osserva Ovadia si assiste a “uno schieramento trasversale che va da posizioni di estrema destra a ideologie più libertarie. Uno scenario inedito”. E, fa notare Sturloni, “quando il dibattito si sposta su un piano politico il consenso scientifico ha un valore limitato. È anche per questo, secondo me, che molti medici aderiscono a queste iniziative”. D’altro canto, queste piazze sono molto sensibili alle ambiguità e alle stranezze contenute nella normativa. Una barista, ad esempio, fa notare il paradosso di richiedere il pass per sedersi ai tavoli ma non per consumare al bancone. “Sono le conseguenza di una norma di compromesso”, commenta Ovadia, “che non possono che creare sfiducia nelle persone”. Quanto alla retorica, molto presente, di una legge discriminatoria verso chi non ancora vaccinato, secondo Sturloni “bisognerebbe rendere gratuiti i tamponi per ottenere il green pass”.
Rischi e prospettive per la campagna vaccinale
Intanto la campagna vaccinale prosegue, fino ad ora con buoni numeri nonostante le proteste. “Non credo che le opposizioni che si vedono in questi giorni possano minare l’esito della campagna”, è l’opinione tranquilla di Sturloni. Ovadia mostra qualche dubbio in più: “le opposizioni sono in parte fisiologiche, ma in questa momento particolare serve un’altissima adesione al piano vaccinale. Il timore che queste manifestazioni possano influenza il pubblico di esitanti vaccinali c’è. Esitanti che è importantissimo intercettare e con cui serve comunicare”, prosegue Ovadia, “un buon esempio in tal senso viene dall’Asl 1 di Napoli”.
Il riferimento è al lavoro capillare svolto dall Asl 1 di Napoli, telefonando direttamente alle persone che si sono registrate alla campagna vaccinale senza poi presentarsi all’appuntamento. Mettendosi in contatto direttamente con loro hanno potuto ascoltare i dubbi e fugarli. Il primo tentativo ha convinto 750 persone a presentarsi all’appuntamento per il vaccino. Un esempio di quanto sia importante in questi casi agire a livello locale, e più che confliggere conti instaurare relazioni con le persone.
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