Fibre tessili dagli scarti della macellazione
La richiesta di prodotti environmentally friendly, a partire dalla loro lavorazione, continua ad aumentare. Cosa può fare l'industria tessile al riguardo?
SCOPERTE – Circa 70 milioni di tonnellate di fibre tessili vengono prodotte e commerciate ogni anno nel mondo; di quelle artificiali, quasi i due terzi provengono dalla lavorazione di derivati del petrolio e di gas naturale, mentre le fibre naturali come cotone e lana perdono terreno a favore del sintetico. Qual è il vero prodotto di nicchia verso il quale iniziare a dare un’occhiata? Le fibre fatte di biopolimeri di origine sia vegetale che animale dice Philipp Stössel, studente di PhD al Functional Materials Laboratory (FML), in Germania.
Nel 1894, racconta Stössel, già era stata brevettata la produzione di tessuti a partire dalla gelatina. Nonostante si trattasse di una produzione ecosostenibile, anche questa è stata accantonata in favore delle fibre sintetiche, che hanno iniziato la loro “scalata verso il successo” subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, è notevolmente aumentata la richiesta di prodotti environmental friendly, creati grazie a fonti rinnovabili. E il mercato tessile ne è stato toccato quanto gli altri. Perché allora non riprendere l’idea dei biopolimeri, suggerisce il ricercatore sulla rivista scientifica Biomacromolecules?
Mentre qualche anno fa un giovane imprenditore tedesco ha iniziato a produrre fibre tessili a partire dalla caseina, Stössel ha scelto di puntare nuovamente sulla gelatina in collaborazione con l’Advanced Fibers Laboratory di Empa St. Gallen, ma con un metodo tutto nuovo che permette di tessere le fibre in un filo che poi può essere lavorato.
La gelatina è fatta soprattutto di collagene, spiega lo scienziato, una componente primaria di pelle, ossa, tendini, e che ovviamente abbonda come materiale di scarto nei macelli. Aggiungendo un solvente organico (l’isopropile) a una soluzione di gelatina riscaldata, le proteine precipitano sul fondo: rimuovendole con una pipetta, durante il suo esperimento, Stössel è riuscito a ricavarne un filo elastico. E da questa prima “coincidenza” è partita la sua idea per una nuova fibra.
Lo step successivo ha visto sostituire la pipetta con una serie di siringhe pressurizzate parallele tra loro, che estraevano i filamenti guidandoli sopra due rotoli rivestiti di Teflon, e mantenuti costantemente umidi in un bagno di etanolo (per evitare che i filamenti si incollassero tra loro). In questo modo Stössel ha prodotto qualcosa come 200 metri di filamento al minuto, ne ha lavorati 1000 in un unico filo e ne ha ricavato….un guanto!
Il diametro della sua nuova fibra lavorata con il metodo “definitivo” è di 25 micrometri. Più o meno metà dello spessore di un capello umano. L’aspetto più interessante è il suo potere isolante, quello ancora da risolvere (per quanto riguarda la gelatina) è che si scioglie in acqua. Prima di poter creare il filo, Stössel ha dovuto aumentare la sua resistenza all’acqua attraverso vari procedimenti chimici, e infine trattare il guanto con resina epossidica per farlo indurire meglio. Il tocco finale ha richiesto di impregnare il filo con la lanolina, una cera della lana, per renderla più flessibile.
Mentre Stössel perfeziona la lavorazione del suo filo, l’obiettivo rimane lo stesso: creare un biopolimero utile a partire da un prodotto di scarto. Ma per portare la ricerca un passo più in là (e pensare alla produzione commerciale) ora ci sarà bisogno di trovare partner e finanziatori.
Leggi anche: Niente più aghi, il vaccino diventa patch
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.
Crediti immagine: Lollyknit, Flickr