Il Darwin robotico
Ovvero, come costruire robot in grado di "generare" altri robot ed evolvere la propria specie
TECNOLOGIA – Creare automi sempre più sofisticati, in grado di espletare compiti complessi con precisione e velocità, è da sempre un obiettivo della ricerca scientifica in ambito robotico. Che cosa succederebbe se uno di questi compiti consistesse nel “partorire” altri robot? Parebbe una domanda scherzosa o paradossale, se non ci fosse qualcuno che già si occupa di questo genere di esperimenti.
Parliamo di Fumyia Iida, capo ricercatore del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Cambridge, che ha sviluppato, in collaborazione con l’ETH di Zurigo, un robot “madre” in grado di progettare, costruire e testare i propri figli. L’intero processo di “generazione” avviene senza alcun intervento umano, e senza alcuna necessità da parte della madre robotica di effettuare simulazioni al calcolatore.
Questa procreazione artificiale avviene attraverso stadi successivi, che “mimano” i processi di evoluzione naturale: infatti, dapprima la madre crea un numero ben definito di “figli” (dieci, nell’esperimento condotto dal team di Cambridge), assemblandoli a partire da cubi di materiale plastico, muniti di motori interni che ne consentono il movimento. La madre robotica è in grado di collegare i cubetti versando una sostanza collante sulle loro superficie, creando così “figli” con strutture sempre più complesse, con un numero di cubi compreso tra uno e cinque.
La parte più straordinaria di questo esperimento consiste negli step successivi: la madre, osservando il comportamento della prima serie che ha progettato e assemblato, è capace di costruire una o più serie successive di figli, in modo che le nuove generazioni eseguano dei compiti prefissati con una velocità e una precisione maggiori rispetto a quelli della serie precedente. In altri termini, la madre mette in atto dei meccanismi di tipo evolutivo.
Infatti, ogni robot figlio è dotato di un “genoma” costituito da un numero di geni compreso tra uno e cinque, che contiene le informazioni sulla forma, sulla struttura e sui comandi dei motori. I meccanismi utilizzati per progettare una nuova serie di robot figli sono molto simili a quelli esistenti in natura: l’evoluzione può avvenire, anche in questo caso, mediante una “mutazione” dei geni, che prevede una modifica, una rimozione o un’aggiunta di geni già esistenti, oppure mediante un “crossover”, che consiste nella creazione di un nuovo genoma a partire dalla “fusione” di geni provenienti da individui diversi.
In che modo la madre può determinare quali siano i caratteri, o gli individui, più adatti a essere conservati o manipolati? Semplicemente, il robot sottopone la propria prole ad una prova, consistente nel percorrere un cammino a partire da una determinata posizione iniziale, in un definito intervallo di tempo.
E li “osserva” mediante una fotocamera, raccogliendo le informazioni necessarie a stabilire quali individui presentino tratti che è utile preservare, e quali modifiche vadano invece condotte sugli individui meno dotati. Ed ottenere in tal modo una generazione migliorata, o potenziata, nell’esecuzione di specifici compiti.
L’applicazione descritta rientra nel campo della scienza denominato Robotica Evoluzionaria, le cui finalità consistono, appunto, nell’applicare tecniche e processi tipici dell’evoluzione naturale per ottenere automi sempre più avanzati. Uno degli obiettivi principali di tale disciplina è quello di sviluppare metodi automatici per creare robot autonomi caratterizzati da un comportamento “intelligente”, in modo da non richiedere alcuna programmazione diretta da parte degli esseri umani nell’esecuzione dei loro compiti.
Le applicazioni sono innumerevoli: si va dai robot in grado di modificare la propria struttura in modo da eseguire compiti in ambienti ostili o soggetti a frequenti ed improvvise modifiche topologiche (miniere, cave, regioni vulcaniche etc.), fino ad arrivare alla creazione di “team” di sofisticati automi in grado di coordinarsi e, eventualmente, riprodursi per raggiungere una maggiore efficienza.
Un esempio? Gli sciami di satelliti artificiali in corso di sviluppo presso l’Agenzia Spaziale Europea, in grado di stabilire senza interventi umani, e in tempo reale, una strategia “coordinata” nelle finalità in cui sono utilizzati, come l’osservazione spaziale o la riproduzione di segnali provenienti dalla Terra o da stazioni spaziali orbitanti.
Oppure gli applicativi software basati su algoritmi genetici o evoluzionari, in grado di selezionare gli approcci più efficienti o rapidi per la risoluzione di complesse problematiche industriali, come Keel o Kimeme. O, infine, gli automi del Geni Lab, che si prefigge lo scopo di creare macchine in grado di provare e manifestare sentimenti e facoltà tipicamente umani, come compassione, timidezza, creatività.
Quindi, se mai doveste credere che l’evoluzione riguardi solo ed esclusivamente l’uomo, sarete probabilmente costretti a rivedere le vostre convinzioni: in fondo anche il grande Charles Darwin sosteneva che, ad esempio, una scimmia americana qualunque, dopo essersi sbronzata con del brandy, non ne avrebbe più bevuto neanche un goccio per il resto della vita. Dimostrandosi, in questo, più accorta del più saggio degli esseri umani.
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