La matematica applicata alla Formula1
Le moderne vetture di Formula 1 sono non solo dei prodotti altamente tecnologici, ma anche delle sofisticate realizzazioni matematiche.
TECNOLOGIA – In vista dei primi test dell’anno che si terranno la prossima settimana in Spagna, oggi alle 14 è stata presentata a Maranello la nuova Ferrari per il mondiale 2016 di F1. La maggior parte delle nuove vetture saranno invece presentate lunedì prossimo a Barcellona, direttamente in pista. I nuovi modelli sono il risultato di un lungo lavoro di progettazione, iniziato in alcuni casi più di due anni fa, che coinvolge diverse discipline tra cui soprattutto la meccanica e l’aerodinamica. Quest’ultima, in particolare, è diventata negli ultimi 30 anni uno dei campi d’applicazione per eccellenza della matematica applicata.
Sin dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, con l’introduzione degli alettoni sulle vetture, la performance della F1 si è basata sul trovare il giusto bilanciamento tra carico aerodinamico, la forza che tiene la vettura incollata a terra e che consente di andare più veloce nelle curve, e la resistenza all’avanzamento, che si traduce in basse velocità nei rettilinei. Questo perché tendenzialmente nel generare carico, con un’ala per esempio, si produce anche una forte resistenza aerodinamica. Come trovare la soluzione ottimale? È qui che entra in gioco la matematica applicata alla fluidodinamica, la branca della fisica che studia il comportamento dei fluidi come l’aria o l’acqua. Le equazioni che descrivono il problema, note come equazioni di Navier-Stokes, sono note da più di un secolo, ma dal punto di vista matematico sono una vera sfida. Tranne in casi particolari, infatti, non hanno soluzioni esatte e per utilizzarle bisogna ricorrere a semplificazioni e approssimazioni più o meno importanti con risultati, soprattutto in passato, non sempre soddisfacenti.
Di fronte all’impossibilità di avere soluzioni esatte, la progettazione delle monoposto di F1, fino a fine anni Novanta, veniva fatta in base a intuizioni suggerite dall’analisi teorica del problema (molto spesso si prendevano idee in prestito dall’aeronautica) che andavano poi verificate in galleria del vento e in pista. Proprio grazie a questo tipo di analisi, a fine anni Settanta del secolo scorso si intuì che si può usare il fondo della vettura per generare carico aerodinamico grazie al così detto effetto suolo senza aumentare eccessivamente la resistenza. Questa idea, però, una volta implementata sulle vetture ha prodotto risultati a volte strepitosi come la Lotus 79 che vinse il campionato del 1978, a volte fallimentari come la Ferrari F92A, dotata di un innovativo doppio fondo, che disputò un disastroso campionato nel 1992. Erano i limiti del vecchio approccio al problema.
Con lo sviluppo della capacità di calcolo dei computer è diventato possibile nel corso degli anni effettuare simulazioni fluidodinamiche risolvendo le equazioni tramite un’operazione di discretizzazione, ovvero il passaggio da un problema continuo a uno discreto. Invece di considerare le proprietà del fluido in ogni punto (cosa che richiederebbe una capacità di calcolo infinita) si traccia una griglia nello spazio e si calcolano le proprietà solo sui punti di questa griglia mentre le superfici vengono a loro volta considerate come spezzettate in poligoni semplici. Con questa discretizzazione è possibile trattare matematicamente e simulare l’interazione dei fluidi con le superfici.
Nasce così la CFD (Computational Fluid Dynamics), uno dei maggiori campi di utilizzo della matematica applicata. Grazie a essa è possibile verificare la bontà delle intuizioni degli aerodinamici prima di testarle in pista. La capacità di calcolo richiesta è però notevole, tanto più alta quanto più si vuole che la simulazione sia precisa. Per molti anni solo i super computer a disposizione delle grandi aziende aeronautiche raggiungevano la potenza di calcolo necessaria ma, alla fine degli anni Novanta, grazie al miglioramento delle tecnologie, divenne possibile anche per le scuderie di F1 dotarsi di computer in grado di analizzare una intera vettura di F1 alla CFD, con una precisione, però, ancora scarsa.
Negli anni successivi, con l’aumento della potenza dei computer e lo sviluppo dei software, la CFD divenne uno strumento così efficace da costringere le scuderie a dotarsi di un proprio centro di calcolo e di una squadra di matematici che lavorassero alle simulazioni. Non deve sorprendere perciò che la F1 negli anni Duemila, tramite collaborazioni con le università e le aziende di sviluppo di software abbia contribuito allo sviluppo della CFD. Il risultato è stato un enorme raffinamento dell’aerodinamica delle vetture fino a produrre gioielli come la Ferrari, la McLaren o la BMW del 2008.
Dal 2009 è stata imposta dalla FIA (la Fédération Internationale de l’Automobile) non solo una semplificazione delle vetture, ma anche un limite ai test, alle ore di prova in galleria del vento e alla quantità di calcoli utilizzata nelle simulazioni, il tutto nel tentativo di limitare le spese. Negli ultimi anni perciò le scuderie non hanno più potuto beneficiare del vertiginoso aumento della potenza di calcolo dei computer, né delle nuove tecniche di simulazione. Anche se oggi è diventato possibile simulare direttamente quale sia la superficie migliore per raggiungere un certo scopo, le nuove tecniche non possono essere usate in F1 a causa dell’elevato costo computazionale. Eppure le scuderie continuano a investire molti soldi nella CFD per ottenere più dati possibili entro gli asfissianti limiti in cui sono costrette. Rispetto agli anni Duemila, però, il ritorno è di dubbia utilità al di fuori del regno dei regolamenti della FIA, la nuova Ferrari e tutte le altre vetture a breve presentate saranno quindi il frutto di enormi investimenti in un lavoro di CFD ormai abbastanza antiquato e superato.
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