CULTURA

Quando i bambini salgono in cattedra

La maestra Stefania Bassi ci racconta il suo esperimento didattico per insegnare le scienze, ma non solo.

L’otto marzo non è solo la giornata dedicata alle donne ma anche Yes – WE STEM! una giornata dedicata ad avvicinare le ragazze alle scienze e alla tecnologia. Crediti immagine: Pixabay

CULTURA- 8 marzo, festa per celebrare tutte le esperienze e le buone pratiche per avvicinare le ragazze alle STEM. No, non è un errore: la sigla in inglese raggruppa le scienze, le tecnologie, l’ingegneria e la matematica. La festa della donna è un’ottima occasione per aprire gli orizzonti, superando una tradizione ottusa che divide i lavori in maschili o femminili.

La giornata Yes – WE STEM! È stata promossa dagli Stati Generali dell’Innovazione, e sarà uno scambio di competenze e una condivisione di successi nell’avvicinare le ragazze alle scienze e alla tecnologia.
Alla manifestazione parteciperà anche Stefania Bassi, insegnante di scuola elementare presso l’Istituto Dalla Chiesa, da sempre appassionata di tecnologie e comunicazione, due elementi che ha saputo portare in classe.

Stefania, come ti è venuta l’idea di fare lezione con nuovi strumenti e metodi alternativi?

Ho l’esigenza di portare la scuola al tempo reale, per questo ho introdotto la tecnologia. Bisogna attutire il senso di ritorno al passato, una sensazione che a volte si avverte entrando in classe.

E come fai ad avere gli strumenti necessari in una scuola sempre più a corto di risorse?

Ho applicato su me stessa il BYOD (ndr bring your own device), cioè il sistema già attivo in alcuni Paesi europei che prevede che i ragazzi portino i loro dispositivi da casa: se in classe non c’è una lim uso il cellulare che ho in tasca e il proiettore che i genitori ci hanno regalato. Poi il telefono si può anche trasformare in una specie di microscopio: basta comprare un ingranditore, una lente che posizionata sulla fotocamera permette di osservare le squame di una lucertola, le corolle dei fiori, le nervature delle foglie.

L’ingranditore costa pochi euro: a volte quello che conta non è il denaro, ma avere l’idea giusta.
Poi un’importante risorsa sono le insegnanti: tutte le mie colleghe, anche le meno tecnologiche, hanno saputo portare a scuola i loro talenti. Il digitale si può introdurre anche in un secondo momento, grazie a una progettualità che parte dalle idee. E infatti io sono anche formatrice presso Impara Digitale, che si propone di avvicinare sempre di più le insegnanti al mondo digitale. La tecnologia è un valore aggiunto, ma viene sempre prima l’idea, la creatività, la curiosità. L’energia per far funzionare la tecnologia a scuola è fatta, più che da elettroni, da … idee!

E com’è cambiato l’apprendimento con il tuo nuovo modo di fare lezione?

Lavoro in modo creativo, usando analogico e digitale contemporaneamente. Sono due elementi complementari, che combinati insieme sono in grado di stimolare capacità diverse. Ci sono programmi di geometria, come ad esempio Geogebra, che ti consentono di visualizzare figure e proprietà geometriche che altrimenti sarebbero molto astratte. La manipolazione digitale aiuta ad assimilare un concetto astratto, oltre che ad acquisire un linguaggio specifico: a forza di cliccare su un’icona e il relativo termine geometrico, i ragazzi finiscono per impararlo.

A Yes WE STEM però racconterai una nuova esperienza, un esperimento che hai iniziato a fare nella tua classe a partire da quest’anno.

Quello di cui parlerò a STEM è un’esperienza sulla didattica delle scienze. Da settembre in alcune classi del nostro istituto, abbiamo iniziato a insegnare scienze in un modo letteralmente “ribaltato”: i bambini, organizzati in gruppi di scienziati salgono in cattedra e tengono lezioni ai loro compagni. All’inizio dell’anno i bambini si sono divisi in gruppi, in base ai loro interessi: abbiamo gli zoologi, i medici, i botanici, i geologi. Al posto delle mie lezioni si fanno riunioni di gruppo in cui organizzano la loro lezione: raccolgono materiale, si documentano, preparano cartelloni, la loro lezione, tutto sotto la supervisione delle insegnanti.

Poi c’è un calendario con le lezioni vere e proprie: a turni i gruppi presentano il materiale raccolto ai compagni che, nel frattempo, prendono appunti, costruendo una mappa concettuale. È una didattica ispirata a cooperative learning e allo scoutismo, dove i ragazzi sono chiamati ad essere responsabili del proprio apprendimento e ad acquisire competenze.

E in tutto ciò quale possibilità dai alle bambine?

Quando ero bambina, la possibilità di giocare a tanti giochi diversi, “maschili e femminili”, mi ha dato una libertà di spaziare che fa parte ancora di me. Oggi voglio dare alle mie alunne gli stessi stimoli che i miei genitori hanno offerta a me. Mi piacerebbe che percepiscano un liberatorio senso di libertà, perché la curiosità e le inclinazioni personali devono vincere sul fatto che una persona sia maschio o femmina.
E poi è un’attenzione importante in una scuola molto “maternizzata”, dove il 99% delle maestre sono donne e dove vengono persi stimoli importanti che potrebbero provenire da un approccio più “maschile” alle materie affrontate in classe.

A quali bisogni risponde una didattica come questa?

La scuola oggi è chiamata a lavorare non solo sui contenuti, ma sulla promozione delle competenze. È un “sapere agito”, come lo definisce Franca Da Re , non è più solo sapere fatto di nozioni astratte. Con questo modo di “fare” scienza a scuola, voglio fare “agire le competenze” delle mie alunne e alunni, e non sono solo competenze scientifiche. C’è infatti in gioco anche la capacità di esporre, preparare la lezione, andare d’accordo con il gruppo: c’è la possibilità di sviluppare competenze relazionali e comunicative, determinanti per il loro futuro di cittadine del futuro! Anche nei bambini con più difficoltà si accende l’interesse, perché si sentono protagonisti. E infine è un modo per uscire dal meccanicismo scolastico del voto: le bambine costruiscono le lezioni non perché altrimenti “prendono un brutto voto”, ma per il piacere di imparare e insegnare ai propri compagni, e magari anche per condividere una bella esperienza.

E infatti la maestra Stefania fa di Twitter un uso didattico: ogni giorno condivide le conquiste dei suoi piccoli studenti. Con l’hashtag #TwDiario rende partecipe la rete delle esperienze dei suoi ragazzi, in modo che l’idea sia disponibile per chiunque voglia riproporla nelle sue classi.

Qui di seguito un piccolo assaggio dei suoi tweet, frammenti di storia di vita di classe.

Leggi anche: I social network incontrano la scuola

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su
Giulia Annovi
Mi occupo di scienza e innovazione, con un occhio speciale ai dati, al mondo della ricerca e all'uso dei social media in ambito accademico e sanitario. Sono interessata alla salute, all'ambiente e, nel mondo microscopico, alle proteine.