RICERCANDO ALL'ESTERO

Un microscopio a neutroni per studiare materiali in 3D

Ora possiamo usare i neutroni per indagare la natura, la posizione e i movimenti degli atomi che costituiscono la struttura cristallina dei materiali

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Grazie ai microscopi a neutroni è possibile studiare la struttura tridimensionale dei materiali policristallini senza alterarli. Crediti immagine: Alberto Cereser

RICERCANDO ALL’ESTERO – “Fare qualcosa di nuovo è allo stesso tempo eccitante ed estremamente frustrante. E ti costringe a guardarti sempre attorno non solo per vedere quello che c’è ma anche per imparare da altri. Penso sia una sfida che tutti i fisici dovrebbero accettare. Altrimenti diventiamo tutti robot”.

Nome: Alberto Cereser
Età: 30 anni
Nato a: San Donà di Piave (VE)
Vivo a: Copenaghen (Danimarca)
Dottorato in: (in corso) in Fisica (Copenaghen)
Ricerca: Diffrazione neutronica per caratterizzare in 3D i grani dei materiali policristallini.
Istituto: European Spallation Source (Svezia), Technical University of Denmark (Danimarca)
Interessi: correre, leggere (letteratura moderna), tutte le arti visive (fotografie, gallerie)
Di Copenaghen mi piace: è sul mare, ci sono piste ciclabili per pedalare ovunque.
Di Copenaghen non mi piace: il mese di novembre, che è molto buio e deprimente.
Pensiero: “It is not enough to be busy. So are the ants. The question is: What are we busy about?” (Henry David Thoreau)

Qual è il vantaggio di usare i neutroni nello studio di materiali policristallini?
I materiali policristallini sono composti da vari grani di differenti dimensioni. La forma e l’orientamento di questi grani determinano le proprietà fisiche del materiale, come la tensione interna, la resistenza alle deformazioni, e così via. Quindi se per esempio vogliamo capire quando si spezzerà l’ala di un aereo, potremmo ottenere una buona approssimazione studiando la struttura microscopica del materiale di cui è fatta.

I microscopi 3D servono proprio a questo, a derivare la struttura tridimensionale dei grani che compongono un materiale per capire come si comporta tutta la costruzione. Fino a poco tempo fa questo era possibile solo con i raggi X, che costano poco e sono semplici da produrre, ma hanno il limite di venire assorbiti facilmente dalla materia. Infatti essendo fotoni interagiscono con la struttura elettronica dell’atomo. I neutroni invece sono neutri, e interagiscono solo col nucleo, riescono a penetrare più in profondità nella materia e permettono di analizzare campioni con dimensioni superiori al millimetro.

Il vantaggio dei i microscopi a neutroni quindi consiste nel poter studiare la struttura tridimensionale dei materiali policristallini senza alterarli, senza per forza dover sezionare un sasso, un meteorite o una statua per vederne la composizione interna. Lo svantaggio è che fabbricarli costa molto e ci sono soltanto tre centri di ricerca al mondo che offrono fasci abbastanza potenti per fare analisi di materiali in 3D.

Esistono due tipi di sorgenti di neutroni: i reattori nucleari e le sorgenti di spallazione. In queste ultime, il fascio di neutroni si genera sparando protoni accelerati contro un bersaglio di metallo pesante. I neutroni escono in modo non continuo ma pulsato, cioè in pacchetti molto brevi e molto intensi.

Dove si trovano le sorgenti di neutroni per spallazione?
Quelle in grado di produrre fasci di particolare intensità sono in Giappone (J-PARC, Proton Accelerator Research Complex), negli Stati Uniti (SNS, Spallation Neutron Source) e in Inghilterra (ISIS, in onore della dea egiziana della fertilità Iside). Noi abbiamo fatto una serie di esperimenti preliminari in Svizzera, al Paul Scherrer Institute, e all’ISIS nei pressi di Oxford, ma il flusso di neutroni era troppo basso e non si vedeva granché. Così siamo andati in Giappone, dove c’è una delle sorgenti più potenti al mondo. In Svezia è in fase di costruzione l’European Spallation Source, che sarà ha la sorgente più brillante, cioè quella in grado di emettere più neutroni di tipo spallato, del mondo.

In Giappone abbiamo fatto due esperimenti di due settimane ciascuno. La prima volta è stata di prova, per capire se il tutto era realizzabile, per ottimizzare i parametri, prendere dati e sviluppare un’analisi dei dati soddisfacente. Ovviamente prima di andare fino a là abbiamo fatto una serie di simulazioni per stimare il tempo necessario e la fattibilità teorica degli esperimenti. Abbiamo usato un software chiamato McStas, piattaforma nata qui, nella Technical University of Denmark, e sviluppata da un consorzio di ricerca, che permette di simulare tutta la beamline (linea di neutroni), il detector, i neutroni, il campione. Le simulazioni sono estremamente dispendiose in termini di tempo: vengono fatte girare su cluster di computer e a volte ci vogliono settimane o mesi per ottenere dati decenti.

È importante sottolineare che il nostro obiettivo era sviluppare un nuovo tipo di microscopio, cioè uno strumento che non esisteva prima. Quindi non si trattava di andare in Giappone e premere un bottone, ma di costruire un esperimento da zero.

In cosa consisteva l’esperimento?
Si tratta di bombardare il campione con un fascio pulsato di neutroni e misurare la distribuzione e l’energia dei neutroni diffratti. Il segnale ottenuto cambia nel tempo perché per ciascun pacchetto di neutroni, a istanti diversi, arrivano neutroni con diversa energia che, quando soddisfano la legge di Bragg, vengono diffratti in modo diverso da grani diversi. Il tutto senza muovere né ruotare il campione. I dati vengono acquisiti per un lungo periodo di tempo e poi, usando una serie di algoritmi che ho sviluppato, si può finalmente ricostruire la forma dei grani e il loro orientamento in 3D.

La beamline che abbiamo usato si chiama Senju, da una divinità giapponese con mille braccia, ed è dotata di 36 detector situati attorno al campione. Noi ne abbiamo aggiunto uno e lo abbiamo posizionato esattamente dietro al campione in modo da avere anche i dati in trasmissione. Ci sono voluti due anni di elaborazione codici per riuscire a ricostruire la struttura tridimensionale del nostro campione. In particolare, la sfida più grande è stata sviluppare nuove tecniche computazionali che permettessero di distinguere il segnale, rumoroso, da uno sfondo altrettanto rumoroso.

Che campione avete usato?
Avevamo preso in considerazione diversi materiali, come nichel, meteoriti, nichel-titanio. E abbiamo selezionato il più facile, cioè una barra di ferro con 1 cm di diametro e lunga 5 cm, preparata in modo che contenesse grani più grandi possibile.

Che impatto può avere un’analisi del genere?
Fondamentalmente noi abbiamo sviluppato un nuovo strumento, le applicazioni sono molteplici, con i limiti dell’usare i neutroni. Per esempio si può pensare di vedere la struttura dei domini magnetici in 3D, visto che dei materiali magnetici non sappiamo molto. Oppure in campo geologico, studiare come si deformano i cristalli di una certa roccia in risposta a una determinata pressione. Per l’industria aerospaziale può essere utile capire come si deforma un’ala sotto tensione. O infine in astronomia studiare come si sono formati i meteoriti.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Scrivere la mia tesi di dottorato. Se il progetto dovesse continuare, mi piacerebbe cercare domande interessanti a cui possiamo rispondere con questa tecnica. E provare a farlo.

Leggi anche:  120 anni di raggi X

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Luisa Alessio
Biotecnologa di formazione, ho lasciato la ricerca quando mi sono innamorata della comunicazione e divulgazione scientifica. Ho un master in comunicazione della scienza e sono convinta che la conoscenza passi attraverso la sperimentazione in prima persona. Scrivo articoli, intervisto ricercatori, mi occupo della dissemination di progetti europei, metto a punto attività hands-on, faccio formazione nelle scuole. E adoro perdermi nei musei scientifici.