Il burro non fa (così) male: breve storia di un dietrofront
Meno nocivo della margarina, ma da sostituire quando possibile con l'olio extravergine d'oliva: il ruolo del burro nella nostra alimentazione è stato in parte rivalutato (ma attenzione alle dosi)
APPROFONDIMENTO – Quanto nuoce il burro alla salute? Una domanda alla quale da sempre seguono risposte contrastanti. Demonizzato per quasi mezzo secolo, negli ultimi anni sta avendo la sua rivincita grazie a una serie di studi che ne hanno rivalutato l’impatto sull’organismo.
Pubblicate su Plos One, le ultime conferme in tal senso giungono dalla statunitense Friedman School of Nutrition Science and Policy della Tufts University. Un’ampia ricerca ha infatti confermato che il consumo di burro è debolmente legato alla mortalità, mentre il legame con le malattie cardiovascolari è sostanzialmente nullo. Inoltre, si è persino riscontrato un leggero effetto protettivo nei confronti del diabete.
Risultati che è stato possibile ottenere analizzando i dati di nove differenti ricerche (una meta-analisi, quindi), con un totale di 636 151 soggetti coinvolti. Nel periodo preso in esame si sono registrati 28 271 decessi, 9783 casi di malattie cardiovascolari e 23 954 casi di insorgenza di diabete, al netto di 14 grammi di burro consumati al giorno (una quantità pari a un cucchiaio).
Le conclusioni alle quali si è giunti è che l’associazione tra consumo di burro e mortalità totale è debole, mentre quella con qualsiasi tipo di malattia cardiovascolare è insignificante. Quanto al rapporto con il diabete, l’effetto protettivo – tutto da investigare – potrebbe derivare dai grassi del latte.
Il burro si configura quindi come un’opzione neutra rispetto ad alcune indubbiamente nocive (margarina in primis) e ad altre più salutari (come l’olio extravergine d’oliva).
Di recente altri studi avevano ribaltato l’immagine negativa del burro. Basti pensare al clamoroso dietrofront compiuto dalla celebre rivista Time: se nel 1961 la copertina venne dedicata al famoso biologo e fisiologo Ancel Keys (convinto sostenitore della pericolosità dei grassi saturi), nel 2014 campeggiava invece la scritta “Mangiate burro”, con tanto di sottotitolo: “Gli scienziati avevano bollato il grasso come nemico. Ecco perché si sbagliavano”.
Cos’è avvenuto quindi in questi cinquant’anni? Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso il burro veniva pubblicizzato in America come un alimento protettivo per donne e bambini. In seguito, negli anni Sessanta, la svolta. La American Heart Association consigliò di tagliare l’assunzione di grassi saturi perché ritenuti collegati a malattie cardiache. Una decisione seguita vent’anni più tardi dal Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, che diffuse le linee guida dietetiche che indicavano di ridurre anche grassi totali e colesterolo.
Bisogna attendere il ventunesimo secolo per scoprire che i veri problemi per la salute non dipendono direttamente dal burro, bensì dai carboidrati: sono questi che fanno aumentare i livelli di glucosio e – conseguentemente – di insulina. È questa che impedisce all’organismo di intaccare le risorse di grasso, portandolo a convertire gli zuccheri in trigliceridi, i quali depositano colesterolo nelle arterie, intasandole.
Basato su ben 70 indagini, un meta-studio canadese pubblicato nel 2015 sul British Medical Journal aveva ribadito quanto fosse dannosa la margarina rispetto al burro: la prima (costituita da grassi trans di origine vegetale) è risultata associata alle cause di mortalità totale, a patologie cardiovascolari e coronariche, oltre che al diabete di tipo 2. Il burro (grassi saturi) invece no.
Uno studio simile del 2010 – presentato sull’American Journal of Clinical Nutrition – era giunto ad analoghe conclusioni dopo aver saggiato le abitudini alimentari di quasi 350 000 americani. Risultati, questi, che si collocano sulla scia di un’altra meta-analisi diffusa su Annals of Internal Medicine nel 2014.
Tirando le somme, il burro appare un alimento decisamente più salutare di quanto è stato detto per decenni. Non va dimenticato che contiene le vitamine liposolubili A, E, D e K, oltre all’acido linoleico coniugato, che abbassa i livelli di colesterolo (anche di quello ‘buono’, però) e che nelle donne sembra riduca il rischio di contrarre il tumore al colon e alla mammella.
Resta comunque preferibile – qualora sia possibile – sostituirlo con l’olio extravergine d’oliva.
Ancel Keys avrà anche commesso degli errori dovuti ai limiti della scienza dei suoi tempi, ma su una cosa aveva indubbiamente ragione: la dieta mediterranea resta un punto di riferimento imprescindibile.
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