Zika, la situazione aspettando le Olimpiadi di Rio
I giochi olimpici si avvicinano e alcuni atleti hanno scelto di rimanere a casa o prendere precauzioni extra per timore del contagio. Il ministro dello sport brasiliano rassicura: virtualmente potrebbero non esserci nuovi casi nel corso di tutto l'evento.
SPECIALE AGOSTO – Difficilmente la famiglia reale inglese sarà presente ai giochi olimpici di Rio, che avranno inizio tra pochi giorni, il 5 agosto. Per ora il portavoce reale ha anticipato che la loro presenza è “unlikely”, dunque improbabile, e le speculazioni vedono nel virus Zika il motivo principale. I tabloid inglesi già ipotizzano una nuova gravidanza in arrivo o progettata per Kate Middleton, la duchessa di Cambridge, che avrebbe dunque un motivo in più per non voler correre il rischio. Parteciperà solamente la principessa Anne, in quanto membro del Comitato Olimpico dal 1988. Da palazzo nessuna conferma ufficiale, ma tra personalità di spicco e atleti di tutto il mondo alcuni hanno scelto di non recarsi in Brasile proprio a causa del virus, temendo per la propria salute o per quella dei familiari. Segue a ruota Charlène di Monaco, che nel 2000 ha partecipato alle olimpiadi di Sydney nella squadra di nuoto del Sudafrica ma quest’anno non si recherà a Rio a causa di “important health concerns”, dunque il timore di contrarre Zika.
Al centro del mirino ci sono soprattutto i golfisti statunitensi, cui il giornalista Josh Levin su Slate non risparmia pesanti rimproveri, tacciandoli di approfittare della “scusa” del rischio sanitario per non partecipare alla competizione delle XXXI Olimpiadi (e non è il solo a dire che le reazioni sono state eccessive). A differenza dei tornei cui sono soliti partecipare non vi è premio in denaro, scrive Levin, e la carriera di un golfista è molto più lunga di quella degli altri atleti. Perdere l’occasione quest’anno non significa che non si ripresenterà in futuro: secondo il giornalista, Zika ha reso semplice tirarsi indietro.
Il golf è disciplina olimpica solo dal 2009, e quest’anno sono almeno cinque i grandi nomi ad aver scelto di rimanere a casa: Jason Day, Dustin Johnson, Lee Ann Pace, Jordan Spieth e Rory McIlroy, nota star del green. Fra gli italiani ad aver rinunciato (non solo per Zika) c’è Francesco Molinari, che verrà sostituito da Matteo Manassero. Ma il golf resta un caso a parte, virus o non virus, come ha confermato McIlroy in un’intervista al Times. “Non penso sia imbarazzante [rinunciare] per il nostro sport. Molti altri atleti sognano per tutta la vita di andare all’Olimpiade, noi no. Sogniamo di vincere il Claret Jug o la Giacca Verde”.
A complicare la decisione per gli sportivi c’è stato il caso del velocista 24enne Kemar Bailey-Cole, campione olimpico a Londra 2012 e compagno di staffetta giamaicana di Usain Bolt, che alla fine di giugno ha dichiarato di aver contratto il virus (probabilmente in Giamaica, riporta La Gazzetta dello Sport) e di come l’infezione abbia impedito la preparazione atletica necessaria. C’è chi poi prende precauzioni extra, come l’inglese Greg Rutherford (salto in lungo) che prima della partenza ha congelato un campione di sperma in vista di future gravidanze della moglie.
Anche il basket ne esce mutilato, contando tra i grandi assenti Steph Curry e LeBron James, il primo per un infortunio e il secondo per “stanchezza”. Un peccato visti i risultati di Pechino 20008 e Londra 2012, anche se nessuno dei due ha menzionato il virus Zika come motivazione. Un altro atleta che ha rinunciato a Rio è il ciclista Tejay van Garderen, per tutelare la salute della moglie attualmente in gravidanza. “Nonostante i rischi associati al virus Zika siano minimi e sia possibile prendere precauzioni, mia moglie Jessica è incinta e non voglio rischiare di portare indietro con me qualsivoglia cosa possa avere un effetto [sulla gravidanza]”, ha commentato il ciclista attraverso una dichiarazione a USA Cycling.
Zika, il Brasile e cosa ci si aspetta a Rio
Il virus è stato scoperto negli anni Quaranta del secolo scorso nei macachi Rhesus, in Uganda, ma è passato inosservato per decenni fino all’epidemia che ha colpito il Brasile all’inizio di quest’anno. A scatenare l’allarme in tutto il pianeta non è stata l’infezione in sé, che in molti adulti è asintomatica e se ne va come è arrivata, o causa sintomi influenzali di poco conto che durano dai due ai sette giorni. Il vero spauracchio era e rimane la microcefalia, patologia che colpisce i feti e causa una riduzione significativa del volume del cervello e della circonferenza cranica.
In Brasile, il Paese più colpito finora, tra il 2010 e il 2014 i casi confermati di microcefalia si aggiravano tra i 150 e i 200. Quando a novembre 2015 si sono superati i 1200 casi attraverso 14 Stati è stata dichiarata l’emergenza sanitaria, che da allora ha continuato a espandersi superando i 4700 casi sospetti all’inizio dell’anno. L’unica epidemia con situazione paragonabile, anche se non per la portata, è quella che ha colpito la Polinesia Francese nel 2013. L’11% della popolazione ha contratto il virus, e le statistiche successive hanno confermato che nello stesso periodo si era verificato un aumento dei casi di malformazioni cerebrali nei feti e di sindromi polimalformative che potevano essere associate proprio a Zika.
La misurazione della circonferenza del cranio nei bambini appena nati è uno strumento semplice ma fondamentale che ha assistito il personale sanitario e i ricercatori al lavoro sul virus. Dei 4783 casi sospetti registrati al 30 gennaio 2016, 1103 sono stati sottoposti a esami clinici, test di laboratorio e tecniche di imaging: 404 (poco più del 36%) sono stati classificati come casi confermati di microcefalia, con anormalità cerebrali in 387 bambini e la presenza del virus riscontrata in 17 bambini, due dei quali morti in utero. A fine maggio la situazione era ancora in crescendo: il Brasile ha riportato 1434 casi confermati di microcefalia, con altri 3257 ancora considerati sospetti. L’agenzia Reuters ha stilato una linea temporale con la storia del virus dalla scoperta fino a oggi.
Da subito l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incoraggiato a concentrarsi sulla prevenzione, ma nonostante il virus sia una minaccia minore per la maggior parte degli adulti (escludendo ovviamente i rischi in gravidanza) chiunque lo senta nominare oggi lo associa immediatamente a neonati con deformazioni al cranio. La scelta di vari atleti e personalità note di non recarsi in Brasile per le Olimpiadi viene criticata anche perché potrebbe incrementare l’ansia che già circonda il virus, scatenando preoccupazioni e panico non necessari. Nonostante l’OMS abbia una posizione molto chiara nel suo fact sheet dedicato al virus, l’incertezza che ancora circonda Zika – per certi versi anche dal punto di vista scientifico, con indagini preliminari che mettono di nuovo in dubbio la correlazione con la microcefalia e la possibilità di trasmissione per via sessuale – non aiuta a evitare la paura. A oggi non c’è vaccino e la terapia si concentra sul trattamento dei sintomi, ma sono in fase di studio tecniche di controllo direttamente sul vettore: le zanzare del genere Aedes.
Alcuni mesi fa 150 scienziati hanno firmato una lettera aperta all’attenzione specialmente dell’OMS, chiedendo di sospendere le Olimpiadi in modo da ridurre il rischio di un’ulteriore diffusione del virus. L’OMS non ha accolto la richiesta, sostenendo che evitare i giochi non sarebbe stata una manovra decisiva in questo senso. Si dice altrettanto ottimista il ministro dello sport brasiliano Leonardo Picciani, secondo il quale durante le Olimpiadi tra il 5 e il 21 agosto potrebbero virtualmente non esserci nuovi casi di Zika. Oltre 7000 atleti sono già stati coinvolti nei test per individuare il virus e “non abbiamo trovato casi di Zika né di dengue”, ha commentato. “In aprile i casi erano 4300, sono crollati a 700 in maggio […] e in agosto saremo vicini allo zero. Tutti i meccanismi di prevenzione e protezione sono garantiti. Mi sento di dire a qualsiasi atleta o turista che stia pianificando un viaggio a Rio di non preoccuparsi. Rio e il Brasile si sono preparati per questo momento”.
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