Come fanno i flavivirus a inibire il sistema immunitario?
Lo racconta per Ricercando all'estero Lisa Miorin, genetista molecolare e biotecnologa
RICERCANDO ALL’ESTERO – I flavivirus sono virus a RNA, quasi tutti di tipo arthropod-born (o arbovirus) cioè trasmessi da zanzare, moscerini o zecche, molti dei quali con un grosso impatto sulla salute pubblica perché continuano a causare epidemie difficili da controllare. Per alcuni di essi, come Yellow fever, esiste un vaccino molto efficace.
I flavivirus riescono a sfuggire alla risposta innata del sistema immunitario inibendo la via di segnalazione cellulare mediata dall’interferone. Comprendere il meccanismo attraverso cui ciò avviene è fondamentale per lo sviluppo di terapie antivirali e vaccini migliori.
In che modo l’interferone attiva la risposta immunitaria in risposta all’infezione virale?
Appena il virus entra nella cellula rilascia il suo genoma e le sue proteine, che vengono riconosciuti come non-self e innescano una cascata di segnali cellulari che portano alla produzione di interferone (IFN). L’interferone viene poi liberato dalle cellule e agisce sia sulla stessa cellula che lo ha prodotto sia su quelle vicine stimolando la produzione di proteine con capacità antivirali.
Recentemente abbiamo scoperto che, oltre all’RNA virale, anche il DNA-self è in grado di stimolare la produzione di interferone: questo succede perché i flavivirus sono in grado di modificare la cellula in modo che il DNA-self si localizzi in posti dove non dovrebbe (per esempio esce dai mitocondri).
Una volta rilasciato dalla cellula, l’interferone si lega al suo recettore che fosforila due proteine, STAT1 e STAT2, le quali si uniscono a IRF9 (Interferon Regulatory Factor) per formare un complesso ternario chiamato ISGF3 (IFN-Stimulated Gene Factor). Questo complesso trasloca dal citoplasma al nucleo della cellula e interagisce con il DNA a livello di specifiche regioni promotori chiamate ISRE (Interferon-Stimulated Responsive Element): ciò induce l’espressione di un sacco di geni ad azione antivirale chiamati interferon-stimulated genes (ISGs).
E qui entra in gioco la “Red Queen Hypothesis” di L. Van Valen, che riprende le parole di Through the looking Glass di Lewis Carrol: “It takes all the run you can do, to keep in the same place”. In pratica, come gli uomini si sono evoluti sviluppando complessi meccanismi di difesa dagli agenti virali, così i virus si sono adattati per eludere le difese dell’ospite e continuare a infettare l’organismo.
Come fa un virus a sfuggire al sistema immunitario?
Cerca di bloccare le vie di segnalazione cellulare. Tutti i flavivirus studiati finora (Dengue, Tick-borne, Encefalite, Yellow Fever, West Nile, Zika) sono in grado di bloccare l’interferone con varie proteine ma ce n’è una in particolare che sembra essere comune a tutti e il più potente antagonista di IFN: la proteina NS5. È una molecola con un sacco di funzioni, molto importante per la replicazione del genoma virale ed è la più grande proteina prodotta dal virus; nelle cellule è in eccesso rispetto ai bisogni del virus e quindi pensiamo che abbia acquisito altre funzioni durante l’evoluzione, come l’inibizione della segnalazione mediata dall’interferone.
In ognuno dei flavivirus, il meccanismo di inibizione è diverso: in Zika e Dengue NS5 induce la degradazione di STAT2, impedendo la formazione del complesso ternario e la trascrizione dei geni ISGs. Abbiamo anche scoperto che il cofattore di Dengue è una molecola chiamata UBR4 e stiamo cercando di capire qual è il cofattore di Zika.
Per quanto riguarda Yellow fever, abbiamo visto che blocca la via di segnalazione di IFN con un meccanismo molto elegante e sofisticato: NS5 si lega a STAT2 e impedisce il reclutamento del complesso ISGF3 sulle ISRE ma la cosa sorprendente è che, in vitro, l’interazione avviene solo quando le cellule sono state pretrattate con IFN. È, quindi, l’interferone stesso ad attivare il ruolo antagonistico di NS5 e lo fa in diversi modi: innanzitutto, provoca un cambiamento conformazionale in STAT2, che espone il sito di legame per NS5; inoltre attiva una E3 ubiquitin-ligasi chiamata TRIM23 che ubiquitina NS5 a livello di un particolare amminoacido, la lisina in posizione 6. Questa modificazione è fondamentale per l’interazione tra NS5 e STAT2 e per l’inibizione della via di segnalazione dell’interferone. Abbiamo visto che mutazioni a livello della lisina 6 impediscono il legame tra NS5 e STAT2.
È possibile usare queste informazioni per migliorare le terapie antivirali esistenti?
Il nostro obiettivo è proprio questo. Nel 2016 in Angola e nella Repubblica Democratica del Congo ci sono state costanti epidemie di Yellow fever, con 7334 casi sospetti, 962 casi confermati e 393 morti (dati WHO). Adesso si sta spostando in Brasile, dove è già in corso una grossa campagna di vaccinazione. Per Yellow fever, infatti, esiste uno dei migliori vaccini sviluppati fino a ora perché è sufficiente una sola immunizzazione per dare protezione per tutta la vita. Purtroppo non tutti possono essere vaccinati perché il vaccino è fatto dal virus attenuato, cioè un virus che ha spontaneamente perso parte della sua virulenza anche se rimane un virus vivo. Se da un lato questo è il modo migliore per sviluppare anticorpi contro questi microrganismi perché il nostro sistema immunitario “incontra” il virus vero, dall’altro non è indicato per i neonati, anziani e individui immunodepressi dato che può essere difficile da controllare.
Con le nostre scoperte potremmo migliorare il vaccino e renderlo ancora più attenuato magari inserendo nel virus una mutazione nella lisina 6. Inoltre potremmo favorire una corretta sorveglianza ed evitare nuovi casi-Zika: per esempio, i flavivirus più bravi a inibire l’interferone avranno più probabilità di emergere e causare epidemie e dovranno essere maggiormente monitorati.
I flavivirus sono e rimarranno un grosso problema. A causa del cambiamento climatico, zanzare e moscerini si stanno distribuendo in zone dove prima non c’erano, sempre più vaste, difficili da circoscrivere e da controllare. Inoltre poiché i virus possono rimanere latenti nei primati, come le scimmie, i cambi nelle condizioni di vita in Africa e Sudamerica e l’aumento dell’urbanizzazione accrescono la possibilità di trasmissione dei virus.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Molti di questi flavivirus sono in grado di infettare l’uomo e i primati ma per esempio non il topo quindi non abbiamo buoni modelli per studiare in vivo la patogenesi del virus. Sappiamo che un topo con un sistema immunitario completo è resistente sia a Dengue sia a Zika e Yellow fever; e che se eliminiamo gli elementi chiave della segnalazione di interferone, come il recettore di IFN, STAT1 o STAT2, il topo diventa suscettibile all’infezione.
Stiamo cercando di capire i meccanismi diversi tra uomo e topo e come ingegnerizzare il topo in modo che diventi un modello animale immunocompetente da usare per studiare l’infezione, sviluppare nuovi composti antivirali o testare vaccini.
Nome: Lisa Miorin
Età: 37 anni
Nata a: Latisana (UD)
Vivo a: New York (Stati Uniti)
Dottorato in: Genetica molecolare e biotecnologia (Trieste)
Ricerca: Meccanismi di inibizione della risposta immunitaria innata da parte dei flavivirus.
Istituto: Icahn School of Medicine at Mount Sinai (New York)
Interessi: stare con i miei amici, vedere mostre, fare il brunch, viaggiare, il cibo, fare shopping.
Di New York mi piace: non finisci mai di scoprirla e non ci si annoia mai, è talmente diversa che non sei mai fuori posto.
Di New York non mi piace: l’umidità dell’estate, non c’è il mare, i ritmi molto frenetici, le distanze.
Pensiero: Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita. (Rita Levi Montalcini)
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