Il Partito Comunista Cinese teme il riscaldamento globale
Le inondazioni di questa estate in Cina stanno mettendo in seria difficoltà il governo del grande Paese asiatico. Che tra stabilità, lotta alla corruzione e necessità di crescere economicamente deve trovare una sua politica green.
ESTERI – C’è uno stadio pieno d’acqua, giallastra, fangosa. C’è un’umida megalopoli in cui i laghi vengono prosciugati, riempiti e prosciugati di nuovo, a seconda delle esigenze della speculazione edilizia. C’è, poco più in là (per le dimensioni cinesi), la più grande e costosa diga al mondo, quella delle Tre Gole. Ci sono 2 milioni di sfollati interni e danni per 10 miliardi di dollari. Ma soprattutto a Pechino, 1000 chilometri più a nord, c’è una paura che serpeggia nei palazzi del potere del Partito Comunista Cinese (PCC). E quella paura ha un nome: cambiamento climatico.
In questi mesi le conseguenze di un fenomeno naturale e ciclico, El Niño, si sono intensificate. Come riportato da China Files, le piogge sono aumentate dal 21 al 27% in più rispetto alla media nazionale, soprattutto nella metà meridionale dell’enorme paese asiatico, provocando inondazioni e sfollamenti. Negli ultimi anni il governo cinese aveva stanziato milioni di dollari per prevenire tali inondazioni, ma molti dei fondi sono stati persi a causa dell’alto livello di corruzione. Non è un caso che il PCC abbia messo come priorità massima nei prossimi anni proprio la lotta alla corruzione. Tuttavia il danno è fatto: la mancata messa in sicurezza dei sistemi di drenaggio ha provocato quasi 200 morti, sebbene in netto calo rispetto alla tragedia storica delle alluvioni del 1998 dove persero la vita 4500 persone.
El Niño non è un fenomeno legato al riscaldamento globale di origine umana, ma un’oscillazione ciclica della temperatura delle acque del Pacifico in prossimità dell’equatore. In realtà El Niño è solamente una delle due componenti del fenomeno: l’altra è chiamata Oscillazione Meridionale (infatti il nome completo del fenomeno è ENSO – El Niño/Southern Oscillation). El Niño comporta un innalzamento della temperatura delle acque a livello equatoriale, con conseguente alta pressione (Oscillazione Meridionale) nel Pacifico Occidentale. Le cause di ENSO sono complesse e in parte non ancora spiegate. In ogni caso, quando si manifesta si hanno precipitazioni e uragani nell’America Latina, mentre l’Africa vive lunghi periodi di siccità (come infatti sta avvenendo). La circolazione totale delle correnti atmosferiche, soprattutto nei paesi che si affacciano sul Pacifico, è stravolta rispetto alla condizione “normale”, chiamata La Niña.
El Niño in sé, dunque, non sembra avere molto a che fare con il riscaldamento globale. Tuttavia ha innescato timori politici nel PCC. In Cina, paese di cultura contadina, da millenni il controllo delle acque (e per estensione, la protezione da tutti i cataclismi) è al centro della legittimità del potere imperiale, un concetto riassunto nel termine “Mandato del Cielo“: in passato, infatti, le folle erano “autorizzate” dalle divinità a rovesciare le dinastie imperiali qualora ravvisassero la fine del Mandato del Cielo. Ed è esattamente quello che temono ora i vertici del Partito, ossia che si diffonda la convinzione che il PCC non abbia più un (laico) Mandato dal Cielo. E sebbene non siano strettamente connessi, El Niño e il riscaldamento globale portano ad un intensificarsi degli eventi estremi, a cui Pechino è chiamata a far fronte – spesso fallendo.
Il PCC ha un patto tacito con la popolazione: non sono tanto i diritti civili e democratici (che in Occidente appaiono imprescindibili) a essere al centro delle attenzioni dell’opinione pubblica, quanto piuttosto il concetto di sicurezza, sia essa economica (e dunque il Partito deve garantire una crescita della ricchezza costante) e sia di protezione dagli eventi estremi. In ragione di quest’ultimo punto, il Partito negli ultimi anni ha aperto un dialogo su come riuscire a contrastare il cambiamento climatico pur garantendo la crescita economica, e sta iniziando alcune politiche per adottate campagne di riduzione dell’inquinamento antropico. Proprio in ragione di questa mutata percezione del global warming si è consumato il grande strappo tra Cina e India durante la passata Conferenza di Parigi sul clima. L’India, concentrata solo sulla propria crescita economica, spingeva per un accordo molto più annacquato rispetto a quello poi emerso, cercando di creare un blocco di Paesi in via di sviluppo che si contrapponesse all’Occidente sviluppato. In questo progetto la Cina, con la sua economia e la sua popolazione, era uno dei partner fondamentali. Ma, a sorpresa, i dirigenti cinesi si sono smarcati, assumendo posizioni filo-occidentali: non perché volessero compiacere le potenze industriali, quanto piuttosto per esigenze di stabilità interna.
La sfida più grande della prima metà del XXI secolo è sicuramente tutta asiatica. Emersione dalla povertà, stabilità politica, crescita economica e lotta al riscaldamento globale sono tutte variabili che il Partito Comunista Cinese dovrà comporre in una formula politica forte e duratura. In gioco, infatti, non c’è tanto il futuro del pianeta, quanto il suo Mandato del Cielo.
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