Ecco com’era davvero un dinosauro
Attraverso una tecnica chiamata contrombreggiatura e la collaborazione con un paleoartista è stato ricostruito lo Psittacosaurus.
SCOPERTE – “Non sapremo mai di colore fossero i dinosauri”. Fino a qualche anno fa era facile leggere affermazioni perentorie come queste in libri di divulgazione scientifica. Negli ultimi tempi, sorprendenti ritrovamenti ci hanno regalato immagini di un passato che si credeva perduto.
Un fossile di Psittacosaurus ritrovato nella regione cinese del Liaoning ha in passato rivelato un grado di conservazione fuori dal comune, mostrando la colorazione della pelle e setole sulla coda. Oggi uno studio pubblicato su Current Biology ci fornisce quella che – a detta degli autori – è la ricostruzione di dinosauro più accurata mai vista, con tanto di modello a dimensioni reali.
“Il fossile, che è esposto al pubblico al Senckenberg Museum di Storia Naturale in Germania conserva una contrombreggiatura chiara, che ha dimostrato di funzionare controilluminando le ombre su di un corpo, facendo così apparire un animale otticamente piatto agli occhi di chi lo guarda”, spiega il dottor Jakob Vinther delle School of Earth Sciences e Biological Sciences dell’Università di Bristol in un comunicato ufficiale.
Inoltre, il professor Innes Cuthill – ecologista comportamentale dello stesso ateneo – aggiunge: “Ricostruendo un modello 3D a dimensioni reali, non solo siamo stati capaci di vedere come i modelli di ombreggiatura cambiassero sul corpo, ma anche che esso si abbinava al tipo di mimetismo che avrebbe funzionato al meglio in ambiente boschivo”.
La cosiddetta contrombreggiatura è una strategia mimetica molto comune e che rende difficile per i predatori riconoscerne la sagoma. Per studiarla si è partiti dalla sua distribuzione negli animali tuttora esistenti. Poiché l’animale in questione era stato schiacciato e fossilizzato, non era facile applicarvi gli stessi principi, per cui si è resa necessaria la collaborazione col palaeoartista locale Bob Nicholls. È grazie al suo intervento e a quello del professor Emily Rayfield e del dottor Stephan Lautenschlager che è stato possibile ricostruire un modello fedele in tutto e per tutto.
Una versione grigia, posta sia sotto luce uniforme che diffusa, ha consentito non solo di valutare i modi in cui si disponeva l’ombra sul corpo, ma anche di apprezzarne le capacità mimetiche. Dalle misurazioni della luminosità si è potuto concludere che lo Psittacosaurus vivesse in un habitat ristretto, ovvero foreste dal fitto sottobosco. Peraltro, a rafforzare tale tesi ci sono fossili di piante e legno nei depositi rocciosi nei quali è stato trovato il dinosauro. Qui, nella Cina di 120 milioni di anni fa, questo precursore di Triceratops e affini doveva difendersi da predatori come Yutyrannus e Dilong, entrambi antichi parenti del Tyrannosaurus.
Vinther ha sottolineato che le specie ritrovate nell’attuale Mongolia vivevano in un ambiente con assai meno vegetazione, simile a una savana, per cui è probabile che si mimetizzassero con modelli cromatici differenti. È suo anche il merito di aver realizzato che le strutture nelle setole inizialmente scambiate per batteri erano in realtà melanosomi, organuli cellulari che determinano la pigmentazione cutanea. Questi, grazie alla melanina contenuta al loro interno, hanno permesso di risalire alla colorazione dello Psittacosaurus: non era unifome, bensì caratterizzata da strisce e macchie.
Ai ricercatori ora non resta che esplorare altri tipi di mimetismo nei fossili, sfruttando questo caso per capire sia come i predatori percepissero l’ambiente, sia quale fosse il loro ruolo nel plasmare biodiversità ed evoluzione.
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