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Quando giocare ti cambia il cervello

Se da piccoli ci cimentiamo con le costruzioni, migliorano le nostre capacità di tipo spaziale. Ma è solo l'inizio di quanto accade nell'organo più affascinante di tutti quando giochiamo: anche da grandi

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La pratica di alcuni giochi sembra modificare il modo in cui il cervello risponde agli stimoli. Crediti immagine: Public Domain

APPROFONDIMENTO – Giocare è divertente: stimola la creatività, la capacità di risolvere problemi, le abilità logiche, e grazie alle tecniche di neuroimaging tutte queste cose le possiamo anche vedere. Osservando l’attività del cervello durante il gioco, che si tratti di spostare una pedina o costruire un castello con i Lego, possiamo registrare quali aree sono coinvolte e finalmente siamo in grado di dire che giocare fa proprio bene alla salute dell’organo più affascinante del nostro corpo. Secondo molti scienziati, saperne di più potrebbe anche essere un grande aiuto per sviluppare determinate abilità: i giochi di costruzione, ad esempio, migliorano le capacità di tipo spaziale nei bambini, quelle stesse capacità che diventano preziosissime nelle discipline scientifiche.

È di questo avviso Sharlene Newman, professoressa al Department of Psychological and Brain Sciences all’Indiana University Bloomington. “Qualsiasi sia il modo per perfezionare le competenze matematiche in un bambino, che si tratti delle costruzioni o di qualsiasi altro metodo, è a quel tipo di ricerca che sono interessata” racconta presentando il suo ultimo lavoro pubblicato su Frontiers in Psychology. Partendo da qui, infatti, Newman e i colleghi hanno confrontato grazie alla risonanza magnetica cosa succede nel cervello quando si gioca a due giochi diversi per cinque giorni consecutivi: le costruzioni (Blocks Rock) o un gioco da tavolo incentrato sullo spelling (Scrabble). Hanno scoperto che le prime sono ben più efficaci nello stimolare le abilità spaziali, un risultato che finora non era mai stato osservato direttamente nel cervello ma solo a livello comportamentale. Guardare il cervello attraverso una risonanza magnetica, prima e dopo il gioco, ha fornito uno scenario molto chiaro riguardo ai cambiamenti.

Nello specifico, i processi che accompagnano le costruzioni riguardano la rotazione mentale, ovvero la capacità di visualizzare l’aspetto che avrà un oggetto dopo averlo ruotato. Giocare con i blocchi cambia gli schemi di attivazione all’interno nel cervello, ma non è la prima volta che le potenzialità del gioco attirano l’attenzione degli scienziati. Anzi: già in passato è stato dimostrato che le attività spaziali si sviluppano di più nei bambini che giocano con puzzle, costruzioni e giochi da tavolo rispetto a quelli che disegnano, vanno in bicicletta o si divertono con macchinine e giocattoli “musicali” o che producono suoni.

I compiti di rotazione mentale sono tra i più interessanti per valutare le capacità spaziali e la soluzione dei problemi percettivi, tant’è vero che varie specie oltre la nostra vi si sono cimentate, negli anni, sotto gli occhi attenti degli scienziati. Quando ci mettono davanti lo stesso oggetto con due rotazioni diverse, il tempo necessario per decidere se i due oggetti sono davvero uguali aumenta in base alla rotazione. Più aumenta la disparità angolare, più tempo ci serve per dare una risposta. I piccioni se la cavano molto meglio di noi, valutano le forme immediatamente e quindi impiegano sempre lo stesso tempo a prescindere dall’allenamento e dall’angolo di rotazione.

Mentre sottoponeva i bambini dello studio alla risonanza magnetica, Newman li ha fatti cimentare proprio in questo test: ha mostrato loro due versioni della stessa lettera, chiedendo di decidere se la seconda versione era identica alla prima ma semplicemente ruotata oppure se si trattava della rotazione della sua immagine speculare. Nella risonanza condotta prima di far giocare i bambini non c’erano differenze tra il gruppo delle costruzioni e quello dello Scrabble, mentre nella seconda, ripetuta dopo cinque giorni di sessioni di gioco, il gruppo delle costruzioni mostrava dei cambiamenti significativi nell’attivazione delle regioni del cervello legate all’elaborazione sia motoria che spaziale: le loro abilità erano migliorate.

Nei bambini di otto anni, come quelli studiati da Newman, le abilità di tipo spaziale si stanno ancora sviluppando: per questo le differenze tra la prima e la seconda risonanza potrebbero essere la prova che, via via che questo accade, i bambini passano da una strategia in cui ragionano sulle singole parti a una più ampia, in cui l’immagine intera viene ruotata mentalmente.

Confrontare l’attivazione del cervello ha anche permesso di capire come esercitarsi in attività che richiedono un ragionamento influenzi le aree cerebrali corrispondenti a lungo termine. Non solo nei bambini, per qualche giorno, ma per esempio sui professionisti dopo anni di pratica. Anche qui il gioco è stato un’ottima palestra, attraverso lo studio dei giocatori di scacchi cinesi, lo xiangqi. Cosa cambia, per esempio, tra il cervello di un novizio e quello di un campione, cioè un master o un grand master? Le aree del cervello potenzialmente coinvolte, in genere, sono quattro: il circuito dell’attivazione di base, il circuito centrale esecutivo, il circuito centrale dell’attenzione e infine il circuito che risponde agli eventi più importanti.

Esplorando il cervello dei giocatori, gli scienziati hanno realizzato che in quello dei maestri c’era una significativa disattivazione del circuito dell’attivazione di base, mentre la sua connettività funzionale aumentava con uno schema associato al nucleo caudato, un nucleo del telencefalo che sembra eserciti un ruolo di inibizione sugli stimoli che arrivano dalla corteccia. Nessun cambiamento nelle altre tre aree del cervello. Secondo Xujun Duan e i colleghi, autori dello studio, questo dimostra che l’apprendimento e la pratica hanno un effetto importante sulle reti neurali: nelle performance dei più esperti, infatti, il circuito dell’attivazione di base ha un ruolo centrale e potrebbe essere di supporto al controllo cognitivo del comportamento. Grossi passi in avanti da quando il ruolo di questa rete neurale è stata approfondito alla Washington University School of Medicine di St. Louis e in altri centri statunitensi, attraverso gli anni Novanta del secolo scorso: poiché si attiva proprio quando la mente vaga liberamente, era difficile immaginare in quanti processi fosse coinvolta. Tra le ipotesi, addirittura, c’era che questa rete fosse la sede della coscienza: non a caso si è guadagnata, insieme ad altri misteri del cervello, un’intrigante copertina su Scientific American (2010) con titolo “The Brain’s Dark Energy” [L’energia oscura del cervello].

Osservare queste differenze sostenute da dati scientifici sarà forse un sollievo per molti maestri (o magari non gliene importa nulla, chissà) perché nei primi anni 2000 vari studi indicavano che nel cervello dei giocatori non sembrava succedere granché. A parte quello che già si poteva ipotizzare prima di sfruttare la risonanza magnetica, per esempio che i giocatori di GO (un gioco strategico da scacchiera in cui bisogna controllare una porzione più ampia del’avversario) sfruttano la parte destra del cervello, deputata a elaborare informazioni su posizione e orientamento, mentre quelli di scacchi si affidavano maggiormente alla sinistra, per il problem solving. Sembrava trattarsi più di una questione di pratica che di intelligenza, per farla semplice, ma nel tempo queste ipotesi hanno gradualmente lasciato spazio a indizi più stuzzicanti: uno studio recente, per esempio, ha mostrato il ruolo e l’intensità dei meccanismi di decision making nella mente dei giocatori di GO. Un altro ha evidenziato che quando la mente di un giocatore di scacchi è a riposo è comunque possibile trovarvi delle differenze sia per struttura che per connettività funzionale proprio a livello del nucleo caudato, coinvolto anche nell’apprendimento procedurale e associativo oltre che in varie funzioni esecutive. Per esempio, elaborare velocemente la prossima mossa.

@Eleonoraseeing

Leggi anche: Frizzi&lazzi, la scienza del gioco in podcast

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Eleonora Degano

Eleonora Degano

Editor, traduttrice e giornalista freelance
Biologa ambientale, dal 2013 lavoro nella comunicazione della scienza. Oggi mi occupo soprattutto di salute mentale e animali; faccio parte della redazione di OggiScienza e traduco soprattutto per National Geographic e l'agenzia Loveurope and Partners di Londra. Ho conseguito il master in Giornalismo scientifico alla SISSA, Trieste, e il master in Disturbi dello spettro autistico dell'Università Niccolò Cusano. Nel 2017 è uscito per Mondadori il mio libro "Animali. Abilità uniche e condivise tra le specie".