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Nebulose planetarie: gli architetti sono i sistemi di stelle doppie

Uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal evidenzia che le nebulose planetarie sono associate alla morte non di stelle singole, ma di stelle facenti parte di sistemi binari.

“Abbiamo questa delusione: che forse il nostro Sole non prenderà parte alla generazione di una spettacolare farfalla o di una nebulosa a sigaro”. Crediti immagine: J.P. Harrington and K.J. Borkowski (University of Maryland), and NASA, Wikimedia Commons

RICERCA – Le nebulose planetarie sono uno degli spettacoli più affascinanti del vicino universo. Frutto della morte di stelle non molto grandi e simili al Sole, sono alla portata anche di semplici telescopi amatoriali e rivelano strutture brillanti e colorate dalle forme molto particolari. Da decenni ormai si dava per assodato che il Sole spegnendosi avrebbe dato origine a una di queste splendenti nebulose, ma un articolo che è stato accettato dalla rivista The Astrophysical Journal per la pubblicazione sembra ora sollevare dei dubbi su questo fatto. I risultati dello studio condotto da un team americano guidato dall’astronomo Todd Hillwig della Val Paraiso University (Indiana) sembrano infatti indicare che le nebulose planetarie, in particolare quelle dalle forme più affascinanti, siano per lo più associate alla morte non di stelle singole, ma di stelle facenti parte di sistemi binari.

Le nebulose planetarie devono il loro nome all’astronomo William Herschel per il fatto che al telescopio ricordavano l’aspetto di pianeti. Il meccanismo che porta alla loro formazione, a seguito della morte di una stella, fu ipotizzato già nel 1956 dall’astronomo russo Josif Shklovsky e nel corso degli anni ormai ci si era convinti di averlo compreso appieno nelle linee essenziali.

Le stelle di piccola massa, al massimo 8 volte più grandi del Sole, una volta consumato quasi tutto il loro combustibile nucleare, arrivano nell’ultima fase della loro vita detta di AGB (Asintotic Giant Branch cioè braccio asintotico delle giganti) sotto forma di enormi giganti rosse. Il loro nucleo, dove l’idrogeno e l’elio sono stati completamente trasformati in carbonio e ossigeno, o al massimo neon e mangesio, è ormai inerte e si contrae riscaldandosi sempre più. Gli strati esterni che costituiscono l’enorme inviluppo stellare, invece, riscaldati dal nucleo si sono ormai sono enormemente gonfiati. Sono quindi molto rarefatti e scarsamente trattenuti dalla gravità e cominciano piano piano ad essere soffiati via dalla forte radiazione che proviene dalle regioni centrali. Sono gli ultimi rantoli di vita di una stella.

Nel giro di poco tempo l’intero inviluppo viene completamente soffiato via disperdendo nello spazio gran parte della massa della stella, mentre al centro rimane il piccolo nucleo inerte della stella, cioè una nana bianca dove le ultime eventuali reazioni nucleari cessano rapidamente. Questi sono oggetti estremamente densi e compatti, basti pensare che le loro dimensioni sono paragonabili a quelle della Terra pur avendo una massa simile a quella del Sole. Appena formate sono caldissime e superano addirittura i 100 milioni di gradi. Non avendo però nessuna fonte di energia si raffreddano dapprima molto velocemente, poi sempre più lentamente in un processo della durata di miliardi di anni.

Subito dopo la loro formazione c’è però un ultimo colpo di scena: l’enorme inviluppo soffiato via dalla stella viene investito dalla radiazione estremamente energetica proveniente dalla nana bianca. Gli elettroni degli atomi presenti nel gas, soprattutto idrogeno, elio, ossigeno e azoto vengono così eccitati acquistando energia. Il meccanismo di diseccitazione che li porta a liberarsene causa l’emissione di luce visibile a precise lunghezze d’onda (cui corrispondono precisi colori) che dipendono dagli atomi. Il gas espulso dalla stella così si illumina assumendo una colorazione variopinta: si è formata una nebulosa planetaria. Questi sono oggetti celesti hanno le dimensioni tipiche di un anno luce e hanno una durata estremamente breve su scala astronomica, poco più di 10.000 anni al massimo. Infatti, man mano che il gas si espande, diventa sempre più rarefatto e di conseguenza la loro luminosità si affievolisce fino a non essere più osservabile.

Oggi si conoscono più di un migliaio di nebulose planetarie, ma di queste solo una parte ha la forma sferica che ci si potrebbe aspettare da un inviluppo di gas espulso da una stella. Spesso invece mostrano forme più articolate, ma simmetriche, che ricordano clessidre o farfalle. Proprio queste forme particolari avevano fatto sorgere da tempo il sospetto che qualcos’altro fosse in gioco. Già nel 1975 l’astronomo Howard Bond, che ha partecipato alla ricerca uscita su The Astrophysical Journal, aveva notato che al centro di una nebulosa planetaria simmetrica nota come Abell 63 era presente un sistema stellare classificato come binarie a eclisse, cioè due stelle che orbitano molto vicine l’una all’altra che si eclissano a vicenda periodicamente. Di queste una è una normale stella di piccola massa (circa 0,7 masse solare) fredda e poco luminosa, l’altra invece sebbene sia di dimensioni molto piccole, è allo stesso tempo molto calda e luminosa e ha una massa simile a quella del Sole.

Le caratteristiche di questa seconda stella sono proprio quelle di nucleo di una stella che ha soffiato via il proprio inviluppo da poco e in effetti è emerso che era stato proprio il sistema binario l’origine della nebulosa Abell 63. Questo è stato solo il primo caso ossevato di sistema binario circondato da una nebulosa planetaria. Una volta chiarito questo è sembrato però estremamente improbabile che le due stelle fossero così vicine.

L’astrofisico polacco Bohdan Paczyński già un anno dopo ha proposto una spiegazione convincente. Il sistema doveva essere in origine formato da una stella di grande massa e da una più piccola che le orbitavano in pochi anni l’una attorno all’altra. Le stelle di massa maggiore consumano molto più velocemente il loro combustibile nucleare, così, mentre la stella più grande era già arrivata alle fasi finali del suo ciclo, la piccola compagna aveva ha una grande scorta di idrogeno ed elio e continuerà ancora per miliardi di anni a brillare con la sua luce fioca. Quando la stella più grande approssimandosi alla sua fine raggiunse lo stadio di gigante rossa, il suo inviluppo si espanse fino a inglobare la compagna più piccola che a questo punto cominciò a spiraleggiare verso il nucleo della gigante raccogliendo attorno a se un disco di materiale in caduta. Sarebbe stato proprio il campo magnetico generato da questo, che avrebbe dato alla futura nebulosa planetaria la sua forma simmetrica sparando dei getti dai poli della stella.

Il legame tra la forma della nebulosa planetaria e la presenza di un sistema binario in questo caso era conclamato, ma ciò che vale per una singola nebulosa simmetrica vale anche per tutte le altre? Purtroppo risulta molto difficile osservare con sufficiente precisione i sistemi binari di questo tipo attraverso una nebulosa planetaria e per queste difficoltà questa domanda è rimasta senza risposta per decenni. Quello che si è compreso è che se la forma simmetrica di una nebulosa planetaria è stata generata da un sistema binario allora il suo asse di simmetria e l’asse attorno a cui orbitano le stelle devono avere la stessa direzione.

Per provare finalmente a sbrogliare la questione un team di astronomi guidato da Todd Hillwig ha quindi cercato di raccogliere un campione di nebulose planetarie con sistemi binari al centro nelle quali potessero essere stabiliti con chiarezza entrambi gli assi. Per fare questo sono occorse molte ore di osservazione (una merce rara), una buona visibilità all’interno della nebulosa e anche una buona comprensione della forma di quest’ultima. Alla fine sono state solo otto le nebulose hanno resistito a questa scrematura. In ognuna di queste però gli assi avevano la stessa direzione: è esattamente il tipo di legame che si stava cercando.

“Otto non sembrano molti,” ha commentato Hillwig “ma, una volta che si raggiunge questo tipo di statistica, diventa molto convincente che ci sia una reale connessione.” Ci sarebbe infatti solo una possibilità su un milione che tutti gli otto sistemi siano allineati per puro caso.

I risultati presentati dal team americano sembrano in effetti molto convincenti e hanno raccolto consenso tra i colleghi, ma per Bond, che ha visto coronata una ricerca iniziata ben quaranta anni fa, quanto è emerso ha anche un sapore amaro. La sua considerazione infatti è che i risultati suggerisco che stelle singole come il nostro Sole potrebbero finire in un rantolo deludente, piuttosto che nell’affascinante nebulosa che viene raccontata in molti libri di testo. “Abbiamo questa delusione: che forse il nostro Sole non prenderà parte alla generazione di una spettacolare farfalla o di una nebulosa a sigaro”. Quello che invece è sicuro è che per allora la Terra sarà stata vaporizzata da tempo durante la fase di espansione del Sole in gigante rossa e quindi di sicuro sul nostro pianeta non ci sarà nessuno ad osservare cosa accadrà.

Leggi anche: Quando sono nate le prime stelle dell’Universo?

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Vincenzo Senzatela
Appassionato di scienze fin da giovane ho studiato astrofisica e cosmologia a Bologna. In seguito ho conseguito il master in Comunicazione della Scienza alla SISSA e ora mi occupo di divulgazione scientifica e giornalismo ambientale