L’effetto della luce sui materiali fortemente correlati
Il comportamento di alcuni materiali è legato alle interazioni che si instaurano tra gli elettroni, soprattutto quelli di una zona a energia elevata detta banda di valenza. Conoscere la configurazione elettronica di un materiale è essenziale per moltissime applicazioni tecnologiche
RICERCANDO ALL’ESTERO – “La struttura elettronica di un materiale ha applicazioni dirette e immediate nel mondo in cui viviamo; oggi parliamo di materiali fortemente correlati ma tra cinque o dieci anni ci saranno tecnologie in grado di sfruttarli. È sorprendente come questi oggettini che chiamiamo elettroni, se perturbati, possano cambiare tanto profondamente tutte le proprietà di un materiale.”
Nome: Lorenzo Sponza
Età: 32 anni
Nato a: Venezia
Vivo a: Londra (Gran Bretagna)
Dottorato in: fisica (Parigi, Francia)
Ricerca: Un metodo autocoerente GW+DMFT per la simulazione di strutture elettroniche
Istituto: Dipartimento di fisica, King’s College of London (Gran Bretagna)
Interessi: fotografia, sociopolitica-economia-macroeconomia, giochi da tavolo o di ruolo
Di Londra mi piace: è Londra! C’è spontaneamente di tutto
Di Londra non mi piace: è troppo grande, è difficile muoversi all’interno della città, sei sempre nei mezzi pubblici
Pensiero: “Pas de raccourcis” (nessuna scorciatoia)
I materiali fortemente correlati stanno riscuotendo un grande successo perché sono materiali innovativi dalle interessanti proprietà fisiche. La loro comprensione e descrizione teorica rappresenta una sfida nel campo della fisica della materia condensata. Tra gli approcci di studio, il metodo GW+DMFT permette di usare una descrizione dell’intero materiale ab initio, senza conoscerne troppi dettagli, seguita da una simulazione che corregge la parte fortemente correlata, per selezionare meglio i dettagli. Il tutto in un ciclo di analisi ben costruito e definito.
Cosa sono i materiali fortemente correlati?
Si tratta di sistemi in cui l’interazione tra gli elettroni nella banda di valenza è talmente forte da influire sulle caratteristiche fisiche di un materiale di interesse. Gli elettroni di valenza sono quelli che si trovano in una zona ad alta energia e che, nel loro insieme, hanno comportamenti molto diversi da quelli di singole particelle.
Buona parte della fisica che cerchiamo di studiare per le applicazioni tecnologiche, dal fotovoltaico al touch screen fino all’elettronica trasparente, è legata al comportamento di questi elettroni. Quando si studia un materiale, però, non basta capire come si dispongono gli atomi nel loro stato fondamentale perché, una volta prodotto, quel materiale arriva nelle nostre mani e inizia a essere usato: le particelle che lo compongono entrano per forza in contatto con luce, calore, vibrazioni e altre perturbazioni o forze e quello che diventa fondamentale sapere è come reagiscono gli elettroni a questi stimoli.
La mia ricerca si occupa di elaborare modelli analitici semplici per descrivere e predire il comportamento di un materiale in risposta a uno stimolo luminoso (luce visibile, raggi X e infrarossi). Non mi sono occupato di un materiale specifico ma ho lavorato sulle equazioni matematiche, sulle righe di codice che stanno alla base delle simulazioni fatte al computer. Per testare i miei modelli ho applicato le simulazioni a materiali interessanti dal punto di vista tecnologico come il titanato di stronzio, la grafite, il cuprato di lantanio, il grafene, il nichel e l’ossido di zinco.
Che metodi hai utilizzato per studiare l’interazione tra elettroni e luce?
Esistono principalmente due approcci: uno modellistico e uno ab initio. Prendiamo per esempio il cuprato di lantanio, formato da rame, lantanio e ossigeno, e ipotizziamo di voler studiare l’interazione tra la luce e gli elettroni di valenza del rame. Quando creiamo il modello del materiale, dobbiamo tener conto che ci sono altri elettroni, cioè quelli del lantanio e dell’ossigeno e quelli non di valenza del rame. Un approccio modellistico ignora gli ossigeni, gli stati profondi e tutto il contorno, e descrive solo il comportamento delle particelle di valenza.
Il modello di approssimazione usato, quello di Hubbard, è molto semplice e descrive gli elettroni come se fossero piccoli elementi messi sui nodi di un reticolo. La complessità del sistema viene ridotta a una Hamiltoniana che però dipende da un parametro libero di cui non si conosce il valore, cioè quello dell’interazione tra gli elettroni. Il modello non può essere quantitativamente predittivo finché non si assegna un numero al parametro, numero che deve essere aggiustato di volta in volta (un po’ a intuito, un po’ su dati sperimentali, se ci sono) in base alle caratteristiche del modello da studiare. Una volta risolto il sistema, è possibile verificare le sue proprietà. Un approccio modellistico molto potente e fruttuoso per descrivere i materiali correlati è chiamato DMFT (Dynamical mean-field theory) o teoria di campo medio dinamico.
E per quanto riguarda lo studio ab initio?
Ab initio è una parola tecnica e significa “da principi primi”: in questo caso, per caratterizzare il materiale in una simulazione, non ci sono parametri liberi e non occorre fornire informazioni sull’interazione tra le parti o sui processi presenti. Basta inserire nel computer la posizione degli atomi che compongono il materiale e far partire la simulazione.
Nei conti ab initio, vengono quindi inclusi tutti gli elettroni (ossigeno, lantanio, rame) e, se il sistema viene trattato in maniera esatta, non c’è bisogno di passare per un modellino che seleziona solo le particelle di interesse. Purtroppo, quando le interazioni sono molto forti come nei materiali fortemente correlati, è difficile essere così esatti perché, per il nostro stato di conoscenza delle equazioni di base, scrivere qualcosa che il computer possa calcolare è tecnicamente impossibile. La sigla che caratterizza tutta la serie di tecniche ab initio che usiamo è GW.
Quali sono i vantaggi dei calcoli ab initio?
Innanzitutto, gli studi per principi primi tengono conto di tutto quello che succede all’interno del materiale, senza correre il rischio (o comunque un rischio molto limitato) di perdere fenomeni per strada. Nell’approccio modellistico, invece, chi prepara il modello e descrive il materiale sta, di fatto, già decidendo quali sono i processi che avvengono.
Inoltre, lavorare ab initio permette di essere più predittivi perché non si è legati a nessun risultato sperimentale o a nessuna conoscenza a priori del materiale. D’altra parte, siccome in questo tipo di analisi c’è di tutto, se emerge un processo interessante, capire le forze principali che lo generano richiede un’elaborazione dei dati molto complicata. Usare invece un modello semplice permette di tenere sotto controllo quello che sta succedendo: si paga il prezzo di non avere una descrizione completa del materiale ma si può selezionare meglio la fisica che interessa.
Qual è l’effetto della luce sui materiali fortemente correlati?
Per il titanato di stronzio ho scritto un’equazione in cui riesco a includere gli effetti dinamici nell’assorbimento di luce. Quando la luce colpisce un elettrone, questo assorbe l’energia e passa a uno stato eccitato. Tutti gli altri elettroni del sistema non stanno fermi a guardare, ma reagiscono in tempi diversi. Finora bisognava approssimare la loro risposta come se fosse istantanea perché altrimenti era difficile fare i calcoli per risolvere l’equazione; con la mia ricerca sono riuscito a fare delle simulazioni che tengono conto di questo ritardo.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
A inizio ottobre mi sono trasferito a Parigi e lavoro presso il LEM (Laboratoire D’étude Des Microstructure) all’ONERA, l’agenzia aerospaziale francese. Mi occupo sempre di simulazioni ab initio della struttura elettronica, ma questa volta mi concentro su un sistema specifico, il nitruro di boro esagonale, per gli amici hBN. Questo materiale ultimamente è molto in voga perché si è capito come produrne film molto sottili, spessi un atomo per intenderci.
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