Scienziati: interdisciplinari, non supereroi
I ricercatori sostengono che l'interdisciplinarità è data dagli enti che finanziano la ricerca e dalle riviste. Il Centro per la complessità e i biosistemi di Milano dimostra il contrario
RICERCA – Due mesi fa, Nature metteva in copertina un commando di supereroi e spiegava il perché in un editoriale.
Gli scienziati devono unirsi per salvare il mondo. Un numero speciale chiede come possano superare i muri tra le discipline
Per risolvere le grandi sfide sociali – energia, acqua, clima, alimentazione, salute – le scienze e le scienze umane devono collaborare. Ma la ricerca che trascende i confini accademici tradizionali è più difficile da finanziare, rivedere e pubblicare. Chi prova a farla, fatica a ottenere riconoscimento e promozione.
Sembra smentirlo il Centro per la complessità e i biosistemi diretto dalla biologa Caterina La Porta e dal fisico Stefano Zapperi al Dipartimento di Fisica dell’Università Statale di Milano.
Non si sapeva se la proliferazione delle cellule tumorali fosse dovuta a una piccola sottopopolazione di staminali o se le cellule già differenziate spingevano le staminali tumorali a proliferare. La colpa è anche e soprattutto delle seconde, scriveva il gruppo nei Scientific Reports di Nature, il 23 ottobre scorso. Insieme a colleghi dell’Università Cornell e del Weizmann Institute, ha fatto simulazioni al computer – verificate da esperimenti in vitro e vice versa – delle interazioni tra le cellule umane di un melanoma e di un tumore al seno. Queste ultime attivano una “rete” – complessa, ça va sans dire – di micro-RNA che le trasforma in staminali supplenti, non appena si abbassa la quantità di staminali tumorali presenti nel loro ambiente.
Brutta scoperta: una terapia che puntasse a eliminare le staminali tumorali le farebbe tornare al livello di prima. La buona notizia è che ora si sa quale dei molti micro-RNA prendere mira per evitarlo (il miRNA-222 innanzitutto).
Due giorni dopo, su PloS One, in collaborazione con ricercatori dell’ISI Foundation di Torino, il gruppo milanese rispondeva a una domanda semplice, e fondamentale per la vita di noi eucarioti. Prima della divisione cellulare, quanti microtubuli devono allinearsi nel fascio perché i cromosomi si orientino lungo il fuso nell’ordine e nella direzione giusta? Stando al modello dinamico in silico, ce ne vogliono mille. Appena un po’ di più o di meno, la mitosi s’inceppa e la divisione è difettosa o non avviene.
Che i fisici e informatici del gruppo siano stati cooptati dalla biologia? Macché. Oggi sui PNAS, Carlotta Negri, Alessandro Sellerio e Stefano Zapperi, con l’aiuto di M. Carmen Miguel dell’Università di Barcellona, illustrano quello che succede a sottili gusci cristallini in sospensione in un fluido, quando vengono stressati. (Lo stress dei materiali è stata la prima passione di Zapperi, eletto di recente fellow dell’American Physical Society per i contributi allo studio dell’effetto Barkhausen).
Di nuovo, costruiscono un modello dinamico e mostrano che la capacità dei cristalli di deformarsi senza spezzarsi – di conservare una plasticità collettiva malgrado la rigidità di ciascuno – dipende da “difetti topologici geometricamente necessari”. I difetti non garantiscono che la sfera non si rompa, per esempio se viene gonfiata troppo, ma quando viene schiacciata la mantengono integra “cicatrizzando” le linee di frattura. Se la teoria funziona e i suoi principi si riescono a trasferire nella produzione di massa, avrà parecchie applicazioni. L’industria farmaceutica, cosmetica e alimentare, per esempio, ha bisogno di micro-sfere cristalline per incapsulare sostanze da liberare dove e quando servono.
L’interdisciplinarità è difficile da organizzare e per di più non paga, lamentavano gli intervistati da Nature. A Milano dicono il contrario, forse perché sono un po’ stacanovisti e per ora non collaborano con ricercatori in scienze umane.
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Crediti immagine: Nature