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In viaggio verso Marte: difficoltà, scaramanzia e noccioline

La scorsa settimana Schiaparelli si è schiantato sul suolo di Marte, nello stupore di tutti: il messaggio passato, infatti, è che atterrare su Marte fosse ormai una cosa assodata. Ma è proprio così?

Foto di un tramonto marziano scattata da Viking 1 il 21 agosto 1976. Crediti immagine: NASA/JPL

APPROFONDIMENTI – I riti scaramantici non sono un’esclusiva italiana. È dal 1964 che alla NASA viene scongiurato il fallimento di una missione rievocando la tradizione delle noccioline di buona fortuna. La tensione degli operatori del Centro di Controllo della NASA doveva essere altissima durante il 31 luglio 1964: il Programma Ranger per il raggiungimento della Luna con una sonda aveva deluso le aspettative per sei volte consecutive. Era il turno della sonda Ranger 7 e i tecnici, mentre seguivano le fasi salienti della missione, iniziarono a sgranocchiare avidamente delle noccioline.

Fu un successo. Ranger 7 diventò la prima sonda spaziale americana a trasmettere immagini ravvicinate della superficie della Luna e trasformò le noccioline in una tradizione che viene tutt’oggi rispettata in occasione delle missioni più impegnative. È stato il caso di Curiosity, il lander americano che ha raggiunto la superficie di Marte il 6 agosto 2012. In questa circostanza il barattolo di noccioline portafortuna è stato evocato con particolare forza. Un’invocazione che aveva tutti i connotati di un rito scaramantico nostrano, come il ferro di cavallo, i cornetti, un quadrifoglio.

Non fu un caso. Giungere sulla superficie di Marte è difficilissimo.

Innanzitutto Marte è molto lontano e un oggetto che vuole raggiungerlo deve percorrere circa 500 milioni di chilometri. Il viaggio dura più di sei mesi ed è rischioso fin dal principio. Una sonda costruita con strumenti sofisticatissimi deve decollare dalla Terra, spinta a forte velocità al di fuori dalla nostra atmosfera da enormi razzi. Una volta giunta nello spazio, la navicella può iniziare il lungo tragitto, accompagnata costantemente dalle radiazioni solari e dai raggi cosmici che mettono a rischio la sicurezza dei materiali e il loro funzionamento. Una volta raggiunto Marte, il lander può iniziare la sua discesa alla velocità di 21.000 chilometri all’ora. Durante questa fase la sonda fa affidamento su uno scudo protettivo che dovrebbe ripararla da una temperatura di circa 1.500 gradi. Poco dopo viene attivato un’enorme paracadute ma l’atmosfera di Marte è rarefatta: non è sufficiente a frenare la caduta. Vengono di conseguenza attivati i retrorazzi che dovrebbero scongiurare un impatto troppo violento.

A ciò si aggiunge il fatto che la sonda deve fare tutto ciò in autonomia. Marte è così lontano dalla Terra che un segnale radio, viaggiando alla velocità della luce, impiega dai quattro ai 21 minuti prima di raggiungere il nostro pianeta. Di conseguenza una sonda non può essere guidata direttamente: ogni fase della discesa deve essere programmata in precedenza. Questi pochi dati ci spiegano quanto sia grande il rischio di fallire; tanto grande da ricorrere a riti scaramantici.

Il primo tentativo di raggiungere Marte fu un fallimento. Il 27 novembre 1971 la sonda sovietica Mars 2 si schiantò dopo che i retrorazzi non si accesero. Mars 3 arrivò qualche giorno dopo, il 2 dicembre, e diventò il primo lander su Marte. Sopravvisse per soli 20 secondi. Nel 1976 gli Stati Uniti ottennero un grande successo con la riuscita discesa dei due lander del Programma Viking. Nel 1988 l’Unione Sovietica tentò di arrivare su uno dei satelliti di Marte con la missioni Phobos 1 e 2 ma nessuna delle due sonde ce la fece. Bisognò aspettare più di vent’anni, il 4 luglio del 1997, per recapitare due nuovi oggetti funzionanti su Marte: il lander Pathfinder e il rover Sojourner. A questi due sarebbe dovuto seguire il Mars Polar Lander ma si rivelò un clamoroso fallimento. L’orbiter della missione andò perso a causa di un madornale errore di calcolo nelle manovre da effettuare. Nel 2003 il lander europeo Beagle 2 si schiantò fragorosamente mentre il rover Spirit e il lander Opportunity della NASA riuscirono a toccare incolumi la superficie del pianeta rosso. Successivamente, il 25 maggio 2008, fu il Phoenix Mars Lander a toccare la superficie marziana senza danni. A oggi gli oggetti fatti arrivare con successo su Marte sono sette, un numero molto basso rispetto a quello dei tentativi effettuati: oltre la metà delle missioni ha fallito.

Lo schianto del lander Schiaparelli non deve essere considerato un fallimento. L’Agenzia Spaziale Europea era stata molto chiara nel comunicare che il lander intitolato all’astronomo italiano fosse solo un test destinato, nel caso migliore, a durare al massimo per qualche giorno. La ricerca e l’esplorazione passano anche attraverso clamorose delusioni, basti pensare che durante il periodo delle grandi esplorazioni di continenti sconosciuti la percentuale di navi che rientravano al porto dopo un viaggio lungo anni si attestava attorno al 30%. Non priviamoci del piacere della scoperta. Così come il pomodoro veniva all’inizio considerato un bizzarro frutto “alieno” per poi entrare di prepotenza nella nostra dieta, anche dall’esplorazione spaziale derivano centinaia di tecnologie e pratiche che usiamo comunemente.

Ciò non toglie che oggi, per l’Agenzia Spaziale Europea, è necessario avere il proprio barattolo di noccioline di buon auspicio.

@gianlucaliva

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Gianluca Liva
Giornalista scientifico freelance.