Astrobiologia: intervista a Nathalie Cabrol
L’origine, l’evoluzione e la distribuzione della vita sulla Terra, nel Sistema Solare e nell’Universo è uno dei più grandi misteri su cui la scienza sta indagando ed uno dei temi più avvincenti dell’esplorazione.
La Dr. Nathalie Cabrol è astrobiologa, direttrice del SETI Institute Carl Sagan Center for Research. Dirige progetti di scienze planetarie, astrobiologia e sviluppa strategie di esplorazione per Marte, Titano, le lune ghiacciate del Sistema Solare ed altri mondi. Sulla Terra, esplora i laghi ad alta quota nelle Ande dove le condizioni ambientali sono probabilmente analoghe a quelle dell’antico Marte. Con il suo team documenta l’adattamento della vita ad ambienti estremi e gli effetti del rapido cambiamento climatico in ecosistemi ed habitat. Con la Dottoressa Cabrol OggiScienza tocca alcuni punti chiave della ricerca attuale.
Dott.ssa Cabrol, cos’è l’astrobiologia? Ha portato cambiamenti nella sua vita e nella sua carriera professionale?
«L’astrobiologia è lo studio e la ricerca della vita nell’universo, sulla Terra e oltre. Non ha cambiato la mia carriera: è la mia carriera. L’astrobiologia è come la medicina. Ha molte aree specifiche. Io sono specializzata nell’esplorazione di ambienti terrestri estremi come analoghi di altri pianeti e nel rilevamento della vita che li abitava».
Quali processi sono considerati precursori della vita? Esiste una definizione ufficiale di “vita”?
«I meccanismi che portano all’origine della vita sono ancora poco conosciuti.
L’idea prevalente è che la vita sia nata da materia non vivente come semplici composti organici attraverso processi naturali (abiogenesi). Questa transizione potrebbe non essere avvenuta durante un singolo evento ma è stata probabilmente il risultato di processi evolutivi tra cui l’autoreplicazione, l’autoassemblaggio, l’autocatalisi e quindi l’apparizione delle membrane cellulari. L’abiogenesi cerca di comprendere le reazioni prebiotiche (prima della vita) che hanno portato all’apparizione della vita. Ma sulla vita stessa, per quanto sorprendente possa sembrare, non c’è consenso su una definizione. Non sappiamo cosa sia la vita. Operiamo attorno a questo concetto definendo processi (cosa fa la vita) come la crescita, la riproduzione, il metabolismo e la sua risposta al cambiamento (adattamento). In definitiva, nessuno di loro è completamente specifico della vita».
Perché è così difficile determinare se c’è vita al di fuori della Terra? O se certi indizi sono di origine biologica o abiotica?
«Non è facile cercare qualcosa per cui non abbiamo una definizione. Ma, al di là dei problemi di definizione, c’è anche il fatto che la vita e il suo ambiente planetario coevolvono e sono intimamente connessi. Quindi, per capire se nelle firme di un ambiente esotico c’è vita, abbiamo bisogno di una profonda comprensione degli ambienti planetari che esploriamo. E, sebbene l’esplorazione planetaria abbia ormai circa sei decenni, siamo ancora all’inizio del viaggio», dice Cabrol riferendosi agli arbori dell’era spaziale ed alle prime missioni su Marte e Venere degli anni ’60 del secolo scorso.
«Marte è probabilmente il pianeta per il quale, ora, abbiamo la maggior parte dei dati. E c’è anche la distanza. Non mi sto riferendo al Sistema Solare ma agli esopianeti. Le missioni spaziali come Kepler e TESS, così come i telescopi terrestri, ci hanno aiutato a scoprire migliaia di nuovi pianeti oltre il nostro Sistema Solare. Stiamo iniziando a estrarre informazioni dalla loro atmosfera attraverso la spettroscopia ma non è facile perché spesso non sono più grandi di un pixel o due nel campo visivo».
Sulla Terra e negli esperimenti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, molte specie terrestri hanno dimostrato di essere in qualche modo “aliene”, con grande capacità di sopravvivenza in ambienti estremi ma non abbiamo ancora prove di vita nel Sistema Solare, o altrove. In molti sono scettici. Marte è uno dei casi più eclatanti.
È in corso un dibattito da decenni sulla presenza di acqua liquida sul Pianeta Rosso e sulla presenza di vita microbica passata e presente. Ma le prove rimangono circostanziali nonostante l’invio di missioni con sonde, lander e rover sempre più sofisticati. Perseverance sta cercando di raccogliere il suo primo campione di suolo marziano per un futuro ritorno sulla Terra. Cosa succederà se i risultati saranno negativi? Tutto questo interesse per Marte continuerà?
«Questa domanda ricorda la tipica idea sbagliata sulla ricerca della vita su Marte che è legata alla storia e ai miti e a come il giornalismo trasmette informazioni scientifiche e come, in definitiva, tutto questo sia così dannoso per gli scienziati e il processo scientifico. Non abbiamo cercato la vita su Marte per decenni!
L’unico tentativo fu la primissima missione atterrata sul Pianeta Rosso, la missione Viking, nel 1976. I risultati del suo esperimento biologico sono stati a lungo dibattuti. Tuttavia, oggi la stragrande maggioranza della comunità scientifica sarebbe d’accordo sul fatto che i dati mostravano lo straordinario potere ossidante dell’ambiente marziano, di cui all’epoca non avevamo idea. L’esperimento biologico Viking è stato progettato durante i primissimi giorni dell’esplorazione planetaria. All’epoca ancora non avevamo idea di cosa fosse l’ambiente marziano e quindi è stato complicato separare i dati ambientali da quelli biologici», spiega Cabrol riferendosi alla famosa storia del Labeled Release (LR), oggi ritenuto dalla NASA un falso positivo e ideato dal Dr. Gilbert Levin il quale, invece, è ancora oggi uno dei principali sostenitori della validità dei risultati.
«Ecco perché la NASA ha progettato un programma integrato di esplorazione il cui obiettivo era capire se l’antico Marte fosse abitabile per la vita come la conosciamo. Tuttavia, caratterizzare l’abitabilità non significa in nessun modo cercare la vita. È cercare di capire se le condizioni avrebbero potuto essere adatte per la vita», sottolinea Cabrol.
«La NASA sviluppò quindi la missione Mars Odyssey per migliorare la nostra comprensione dell’ambiente studiando il clima passato e presente. Quando ritenemmo che le prove fossero sufficienti a suggerire condizioni ambientali passate favorevoli alla vita, la NASA inviò i primi rover. Ma non c’è mai stato un esperimento biologico sui Mars Exploration Rover [Spirit e Opportunity] o sul rover Curiosity. Si tratta di missioni guidate dalla caratterizzazione della geologia e dell’ambiente. Entrambe hanno confermato senza ombra di dubbio che le condizioni erano adatte alla vita come la conosciamo nei tempi antichi su Marte. Non c’è dibattito su questo. Che l’antico Marte potesse ospitare la vita è un dato di fatto».
«La missione Mars 2020, Perseverance, è stata finalmente progettata per scoprire se Marte ha ospitato la vita in passato. Mars 2020 è la prima missione basata su una significativa conoscenza preliminare dell’ambiente marziano per la ricerca di biofirme».
«Marte è ancorato profondamente nella nostra psiche per via dei “canali” di Schiaparelli e della stessa idea perseguita da Lowell», dice Cabrol riferendosi ai “canali di Marte”, presunte strutture geologiche individuate verso la fine del XIX secolo dall’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli e ritenute dall’astronomo americano Percival Lowell, probabilmente artificiali. «Ciò ha dato origine a tutti i tipi di storie fantastiche e romanzi di fantascienza sulle città di Marte e sui marziani, culminando con la Guerra dei Mondi. La gente era abbastanza convinta che le prime missioni Mariner avrebbero visto delle città sulla superficie del Pianeta Rosso. Ma ciò non accadde ed era giunto il momento di sostituire il mito, con l’esplorazione scientifica.
Tuttavia, l’idea che stiamo cercando la vita su Marte è rimasta nella coscienza globale.
La mancanza di comprensione della natura integrata del programma [su cui si basa l’esplorazione di] Marte, così come del tempo realmente necessario per far progredire la conoscenza nella scienza (in opposizione alla fantascienza), continua a indurre le persone a pensare che l’abbiamo cercata a lungo».
Nel sistema solare ci sono altri luoghi attraenti per la vita: le lune che hanno oceani sotterranei come Encelado ed Europa, o Titano, sopra e sotto la superficie, dove in realtà potrebbe essere molto diversa da quella che conosciamo. Anche Venere è recentemente tornata alla ribalta con la controversa rilevazione della fosfina. Quale secondo lei potrebbe essere il più promettente e perché?
«La fosfina su Venere è, nella migliore delle ipotesi, l’indicazione che possiamo imparare qualcosa di nuovo sul possibile vulcanismo recente o ancora attivo sul pianeta, ma non sulla vita. Tuttavia, direi che Venere è affascinante indipendentemente dalla fosfina. Abbiamo molto da imparare su un pianeta delle stesse dimensioni del nostro, che all’inizio ha ospitato un oceano poi svanito, per finire come l’inferno che conosciamo. Le nuove missioni selezionate dalla NASA e dall’ESA saranno affascinanti in questo senso».
Mentre attualmente l’unica sonda in orbita attorno al pianeta è la giapponese Akatsuki, entrambe le agenzie spaziali hanno recentemente confermato nuove missioni per l’esplorazione di Venere. La NASA ha selezionato DAVINCI+ (Deep Atmosphere Venus Investigation of Noble gases, Chemistry, and Imaging) e VERITAS (Venus Emissivity, Radio Science, InSAR, Topography, and Spectroscopy) per studiare l’atmosfera del pianeta, come si è formata ed evoluta e per mappare la superficie; l’ESA ha confermato EnVision, un orbiter che fornirà una visione completa di Venere, dal suo interno all’atmosfera superiore, per determinare come e perché Venere e la Terra si sono evoluti in modo così diverso.
«Per la ricerca della vita oltre la Terra, Marte, le lune ghiacciate di Giove e Saturno e Titano, sono obiettivi molto entusiasmanti. Sono quelli che chiamiamo mondi oceanici. In particolare, sotto la crosta ghiacciata, Europa ed Encelado hanno oceani probabilmente riscaldati dalle maree gravitazionali dei loro pianeti genitori, che premono e allungano i satelliti tanto da scaldarli. Quei mondi hanno i “mattoni della vita” (molecole organiche) e un ambiente considerato uno dei più favorevoli per l’inizio della vita, che molto probabilmente include l’equivalente delle “fumarole nere”, bocche idrotermali che abbiamo trovato sul fondo degli oceani della Terra. Quindi, costituiscono obiettivi entusiasmanti».
«Per quanto riguarda Titano, è un mondo esotico con una geochimica completamente diversa. Ha fiumi, laghi e mari di idrocarburi, dove la temperatura è così fredda che il ghiaccio d’acqua è più duro della roccia e forma montagne e ciottoli sulle rive dei laghi. Le dune sono fatte di molecole organiche che piovono dall’atmosfera e la lava è composta da ghiaccio d’acqua perché è la cosa più calda che puoi trovare lì. Ancora più intrigante, potrebbe esserci un oceano d’acqua sotto la superficie e sotto i laghi di metano ed etano. Se la vita si è sviluppata su Titano, deve provenire da una biochimica esotica, il che rende Titano il posto migliore nel Sistema Solare per cercare di capire la vita come non la conosciamo».
E oltre il Sistema Solare? Stiamo scoprendo sempre più pianeti potenzialmente abitabili e anche se la Terra è un luogo speciale con molte caratteristiche speciali, sembra impossibile che non ci sia vita e vita intelligente da qualche altra parte. Quali tipi di indagini, con gli strumenti che abbiamo, sono più promettenti in un mare così grande?
«La nostra tecnologia sta migliorando rapidamente. In meno di 30 anni, siamo passati dal sospettare dell’esistenza di esopianeti al censimento di migliaia di essi, questo con solo un paio di missioni (Kepler, TESS) e all’interno di una finestra molto ristretta nella nostra galassia.
Presto, le missioni del telescopio spaziale James Webb e WFIRST si aggiungeranno allo sforzo. Sappiamo che una frazione di pianeti si trova nella zona abitabile delle rispettive stelle madri. Stiamo anche trovando condizioni potenzialmente abitabili in zone intorno a stelle di cui prima non avremmo mai sospettato. La nostra galleria di ambienti planetari è in grande espansione. Impariamo a conoscere nuovi mondi, il loro clima plausibile e il loro potenziale di vita. E questo anche senza neppure parlare delle esolune che abbiamo appena iniziato a rilevare. L’esplorazione del nostro Sistema Solare ci ha insegnato che un mondo può essere al di fuori della zona abitabile ed avere ancora ambienti abitabili. Alcuni degli esempi più noti sono Europa, Encelado e Titano.
In termini di strumentazione, il passo successivo è “colpire” le atmosfere di alcuni di questi pianeti e ricavare le prime analisi spettroscopiche a distanza. Accoppiando queste nuove tecniche con ciò che abbiamo imparato sulla vita negli ambienti estremi sulla Terra negli ultimi trent’anni e sulla caratterizzazione delle biofirme, e l’avvento dell’Intelligenza Artificiale che ci consente di cercare schemi che potrebbero indicare la presenza della vita, il nostro toolkit sta crescendo. È anche particolarmente emozionante rendersi conto che nei prossimi anni diversi nuovi telescopi terrestri, attualmente in costruzione, saranno più potenti dei telescopi spaziali inviati negli ultimi decenni. Penso che questo sia destinato a portare scoperte sorprendenti.
Certo, possiamo ancora fare affidamento sulla radioastronomia e ora, sul SETI ottico (tutto il cielo visibile tutto il tempo) che monitora il cielo per impulsi laser, alla ricerca di intelligenza extraterrestre avanzata.
L’astrobiologia nel suo insieme è un dono che continua a dare e la sua forza e bellezza dipendono dalla sua multidisciplinarità e dalla sua capacità di collegare punti improbabili. Stiamo appena iniziando a vedere i vantaggi di un tale approccio».
Ci sono molti progetti che cercano prove di vita aliena nel Sistema Solare e su altri mondi in modi diversi, o anche che mirano a studiare scientificamente gli UAP. Se si scoprisse la vita, microbica o intelligente, sarebbe comunque una notizia clamorosa. Come la immagina e come potrebbe cambiare le nostre vite e la nostra percezione?
«Trovare la vita altrove, indipendentemente dalle sue dimensioni o dal grado di complessità, cambierà senza dubbio (nessun gioco di parole) la vita. Tuttavia, dipenderà molto da come e dove accadrà.
Per molti al di fuori del regno scientifico, trovare la vita microbica potrebbe non sembrare così eccitante come trovare l’ET. Spesso le persone mi hanno detto “ma non puoi avere una discussione filosofica con un microbo”. In realtà, i microbi possono dirti molto! Come per tutto il resto, devi parlare la lingua! Ma supponiamo di essere d’accordo con questa affermazione per un momento. Nella ricerca di altri esseri là fuori, la maggior parte delle persone pensa di cercare confratelli che potrebbero aiutarci nelle domande relative alle origini dell’universo e della vita, sul progresso della scienza e delle tecnologie, sulle questioni di fede, religione e spiritualità. Potrebbero aiutarci a evitare le insidie che stiamo attraversando come civiltà e altro ancora?
Le persone non si rendono conto che stiamo vivendo in un universo statistico in cui trovare microbi è significativo. Questo è ciò che chiamo l’universo di Mandelbrot Benoît Mandelbrot, noto per i suoi lavori sulla geometria frattale. Mi spiego: la natura crea molte più piccole cose che grandi cose e, quando guardiamo alla vita, crea anche molti più microrganismi semplici che animali complessi (inclusi noi). Il modo poetico di descriverlo è dire che ci sono più specie microbiche sulla Terra che stelle nel cielo ed è molto probabile che, oltre il 90% di esse resti ancora da scoprire oggi. Perché è importante? Ancora una volta, le statistiche!
Più “piccoli ragazzi” troviamo, più è probabile che le popolazioni di ET siano abbondanti nell’universo e, quindi, maggiori saranno le possibilità che avremo di connetterci finalmente con loro. Inoltre, la loro diversità può darci un indizio sulla biodiversità su larga scala nell’universo.
L’impatto della scoperta dipenderà molto dalle circostanze e da dove e come avverrà. Trovare microbi su Encelado genererà eccitazione e dibattito ma è improbabile che molti la percepiscano come un cambiamento nella loro vita quotidiana. Intercettare un segnale da una civiltà avanzata situata a milioni di anni luce di distanza, che ha inviato una “bottiglia nell’oceano cosmico” per vedere se ” c’è qualcuno là fuori”, sarà filosoficamente molto profondo. Vedo il potenziale per provare a sviluppare le tecnologie per rispondere. Tuttavia, probabilmente cambierebbe meno la vita rispetto ad un’astronave che atterrasse sul prato della Casa Bianca.
Solo un invito alla cautela: ho sentito troppe volte che le persone pensano a un incontro con ET come ad un modo per risolvere tutti i nostri problemi qui sulla Terra, in particolare perché la nostra civiltà sta raggiungendo un punto critico nella sua relazione con il suo pianeta. Questo incontro è percepito come una possibile “salvezza”, come un supereroe che si presenta quando tutto sembra perduto per salvare la situazione. L’ho trovo un po’ triste.
È il nostro pianeta, la nostra responsabilità. E se un ET più avanzato stesse aspettando per vedere come affrontiamo i nostri dolori della crescita come civiltà e non volesse interferire? Meglio rimboccarsi le maniche e mettersi al lavoro per capire come possiamo rendere sostenibile la nostra presenza sul nostro pianeta; altrimenti, ET potrebbe atterrare un giorno sulla Terra e trovare le vestigia di un mondo dal quale siamo scomparsi».
Quali sono i principali progetti in corso presso il Carl Sagan Center for Research (CSC) e quali sono i piani per il futuro?
«Al CSC stanno succedendo molte cose e i nostri progetti abbracciano l’intera gamma della roadmap dell’astrobiologia. Coprono le origini della vita fino allo sviluppo dell’intelligenza e la ricerca di intelligenze extraterrestri. Questo è ciò che ci rende unici. Siamo coinvolti in missioni planetarie e spaziali, spedizioni scientifiche in ambienti estremi, ricerca di esopianeti, comunicazione animale e applichiamo l’intelligenza artificiale a questioni critiche relative allo spazio e all’esplorazione planetaria, meteorologia spaziale, rischi naturali e molto altro ancora.
Come parte della nostra visione strategica, abbiamo in programma di mettere la Terra in primo piano nei prossimi anni e di portare gli strumenti, i sistemi e le tecnologie che sviluppiamo per l’esplorazione planetaria nella lotta contro il cambiamento climatico. Come astrobiologi, comprendere la coevoluzione della vita e il suo ambiente planetario è al centro di tutto ciò che facciamo e trovare modi per comprendere e mitigare l’impatto dell’attività umana sull’evoluzione dell’ambiente e del resto della biosfera è una priorità assoluta».
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