Il futuro visto da Nathan Never
Nella serie dell'eroe futuristico e malinconico prevale l'idea che la scienza e la tecnologia potranno aiutarci a risolvere problemi che ora ci sembrano insormontabili
STRANIMONDI – Nato nello stesso anno in cui il primo sito web ha visto la luce e l’Unione Sovietica si è dissolta, Nathan Never è rapidamente diventato uno dei pilastri del fumetto italiano. La saga fantascientifica della Bonelli festeggia quest’anno il suo venticinquesimo compleanno; un traguardo ragguardevole per una serie con una continuity così marcata, che è riuscita a mantenere una sua identità forte pur rinnovandosi ciclicamente.
L’importante anniversario è stato celebrato anche dal Trieste Science+Fiction Festival, che ha dedicato una mostra e uno degli incontri di futurologia all’eroe dai capelli bianchi, il bavero del cappotto alzato e lo sguardo malinconico. Incontro al quale sono intervenuti Bepi Vigna – creatore del personaggio insieme agli altri due componenti del cosiddetto trio dei sardi, Michele Medda e Antonio Serra – e alcuni disegnatori storici della serie come Romeo Toffanetti e Mario Alberti (autore anche delle locandine del festival triestino nel 2013, 2014 e 2015).
“L’idea di Nathan era nata già negli anni Ottanta e ci abbiamo lavorato a lungo finché la Bonelli ce lo ha approvato”, racconta Vigna. “Ognuno di noi tre aveva un approccio differente a questo eroe futuristico e malinconico, e ciò ci ha consentito di esplorarlo da diversi punti di vista”.
Ex poliziotto, segnato dall’omicidio della moglie e dal crollo psicologico della figlia Ann, Nathan è un personaggio ricco di sfumature, che ricorre alla violenza solo se davvero necessario e colleziona antichità come libri e film. “I ricordi hanno molta importanza nel fumetto, ma Nathan non è uno che si nasconde nel passato”, spiega Vigna. “C’è una frase che ha pronunciato più di una volta: ‘il futuro mi fa paura perché in esso c’è la fine di tutto ciò che amo’. È una paura molto umana, è il timore di perdere quello che si conosce, ma non è certo un rifiuto del domani”.
Tante sono le fonti di ispirazione del fumetto: la megalopoli in cui sono ambientate molte delle avventure di Nathan pesca a piene mani dalla Los Angeles di Blade Runner (e lui stesso deve molto al Rick Deckard di Harrison Ford), aspetto e carattere di Legs Weaver, uno dei personaggi più noti della serie, sono ispirati alla Ellen Ripley di Alien, gli scenari contaminati del Territorio richiamano i paesaggi desertici di Mad Max, mentre le vicende incentrate sugli androidi e sulla loro libertà citano esplicitamente le leggi della robotica di Asimov. E tanti sono anche i modi in cui viene declinata la fantascienza, dal techno-noir metropolitano all’avventura spaziale, dai viaggi temporali all’incontro con razze aliene.
Una serie dalle tante facce, dunque, nella quale sono stati coinvolti decine di disegnatori. E disegnare la tecnologia futura è un’impresa tutt’altro che facile, perché il progresso scientifico a volte va più veloce della nostra immaginazione. “Raccontare una storia è come raccontare una bugia, che deve sempre essere coerente con sé stessa”, dice Mario Alberti. La grande sfida dei disegnatori è quindi quella di mantenere, a livello visivo, questa coerenza interna e al tempo stesso far sì che i personaggi rimangano legati alla realtà dei lettori. Mostrare il futuro anche quando il presente lo supera. Il che è facile che accada, in una serie che prosegue da così tanto tempo. Per dire, nelle prime storie si vedevano schermi a tubo catodico e cabine telefoniche. “Abbiamo lettori molto attenti e precisi a questo proposito”, rivela Romeo Toffanetti. “Anni fa c’è stato chi mi ha chiesto perché i computer del futuro usassero ancora i floppy disk”.
Nel mondo di Nathan non mancano situazioni catastrofiche, dalle conseguenze di inquinamento e radiazioni fino alle guerre con Marte o con le stazioni orbitanti. Nonostante questo e nonostante l’influenza delle atmosfere cupe e distopiche alla Blade Runner, la saga ha una sua venatura ottimistica. “Non tutto è apocalittico e l’umanità è sempre riuscita a rinascere”, commenta Vigna. “Il futuro può sembrare buio ma questo non vuol dire arrendersi e accettarlo come tale”.
E qui si ritorna al tema del timore del domani. “Il futuro è una terra ignota e il viaggio nell’ignoto è una componente fondamentale della fantascienza. È normale aver paura dell’ignoto ma questo non significa voler tornare indietro”, conclude Vigna. “Nella nostra fantascienza prevale l’idea che un giorno, grazie alla scienza, alla tecnologia e alla nostra determinazione, potremmo riuscire a risolvere problemi che ora ci sembrano insormontabili”.
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