I fiumi intermittenti: una risorsa poco esplorata
Sono molto diffusi in alcune regioni italiane, ma spesso la popolazione li considera una minaccia per il rischio di esondazione. I corsi d'acqua non perenni sono una risorsa che deve essere monitorata e conservata.
SPECIALE NOVEMBRE – Inondazioni e siccità possono essere due facce della stessa medaglia. Questo vale soprattutto per le regioni che si affacciano sul Mediterraneo, dove il clima secco, le attività umane e il cambiamento climatico contribuiscono a diffondere una particolare categoria di bacini idrici: i cosiddetti corsi d’acqua non perenni. Sono fiumi che per alcuni mesi o settimane dell’anno non scorrono più, perché si seccano completamente. Oppure sono torrenti che si creano solo in seguito a forti precipitazioni o allo scioglimento della neve, a volte fluendo solo per poche ore o giorni.
Se a livello globale costituiscono circa il 50% dei corsi d’acqua, nel Mediterraneo sono la forma predominante. Eppure non hanno ricevuto l’attenzione che meritavano. A livello amministrativo sono stati ignorati, gli scienziati non li hanno considerati come ecosistemi degni di studio e la popolazione li ha sempre guardati più come un pericolo che come una risorsa. Sono gli stessi fiumi che nelle nostre città sono stati coperti da strade, usati come discariche, trasformati in parcheggi e che poi, quando si gonfiano di acqua, magari creano disastri. “Nel passato, i fiumi temporanei sono stati ritenuti di scarso valore economico e per questo poco studiati e monitorati”, spiega Anna Maria De Girolamo, ricercatrice presso il IRSA-CNR, l’Istituto di Ricerca sulle Acque. “Oggi i corsi d’acqua non perenni sono oggetto di attenzione crescente da parte di eco-idrologi interessati ad approfondire i numerosi processi connessi all’intermittenza. D’altra parte, si è anche riscoperto il pregio naturalistico e paesaggistico che quasi sempre caratterizza questi corsi d’acqua”.
L’Italia e i suoi corsi fluviali non perenni
L’Italia meridionale, il Lazio, la Toscana, la Liguria e le due Isole sono in gran parte caratterizzate da fiumi di questo tipo. Anche nella regione alpina il reticolo fluviale può presentare segmenti a carattere torrentizio. Tuttavia, non esiste un’uniformità nel territorio nazionale: il regime idrologico, la morfologia e l’ecologia assumono caratteri differenti nelle due regioni climatiche.
L’equilibrio dei fiumi che riguardano questo territori è minacciato dalle precipitazioni sempre meno abbondanti (ormai al di sotto dei 500 mm annui) e dalle attività umane. Il 48% del territorio nazionale è coperto da campi coltivati che per la maggior parte sono irrigati, contribuendo a più del 60% di acqua estratta dal sottosuolo, un’attività che concorre all’inaridimento superficiale. Inoltre la costruzione di sistemi per conservare l’acqua, come argini e dighe, ha creato numerose frammentazioni nel percorso di questi fiumi temporanei.
“Nei prossimi decenni l’impatto delle attività antropiche e dei cambiamenti climatici riguarderà la globalità delle risorse idriche, in termini quantitativi e qualitativi. I cambiamenti di uso del suolo e l’adozione di pratiche agronomiche non conservative o non idonee alla tipologia del territorio possono contribuire ad amplificare gli effetti del cambiamento climatico sul ciclo idrologico”, sottolinea De Girolamo. Gli scenari climatici infatti prevedono una dilatazione del periodo di assenza dei deflussi e un aumento degli eventi estremi nei fiumi temporanei, come le piene improvvise o flash flood.
La difesa dei fiumi non perenni in Europa: facciamo il punto
L’Europa si è interessata ai sistemi fluviali che la percorrono. “La Commissione Europea con il White Paper ha voluto indirizzare i Paesi membri verso azioni che avessero come obiettivo principale l’incremento della resilienza dei sistemi fluviali al cambiamento globale”, commenta De Girolamo. “Al contempo, ha enfatizzato il ruolo delle direttive WFD e Flood Directive nell’adozione di un programma di misure di adattamento”. Tuttavia, manca ancora un sistema legislativo adeguato e una gestione volta alla protezione dei torrenti non perenni. Lo denuncia l’articolo Non-perennial Mediterranean rivers in Europe: Status, pressures, and challenges for research and management, pubblicato quest’anno da un gruppo multidisciplinare e internazionale di ricercatori, che lavora da 15 anni alla caratterizzazione di vari aspetti fuzionali e strutturali e al sistema di monitoraggio dei fiumi non perenni.
Occorre accrescere le misure volte a monitorare, gestire, conservare e proteggere i fiumi non perenni. Ed è altrettanto necessario sostenere la cooperazione tra diverse discipline, come l’idrogeologia, l’idrobiologia, la bio-geochimica, l’ecologia, i sistemi di monitoraggio avanzati, l’economia.
“Conservare l’ecosistema e preservare dal deterioramento tutte le risorse idriche: questi devono essere gli obiettivi principali delle misure gestionali. Tutte le attività antropiche possono essere pianificate secondo questi principi e con una visione a lungo termine”, continua De Girolamo. “Sono indispensabili politiche orientate a far crescere nella popolazione la coscienza del consumo consapevole delle risorse e quindi la necessità di adottare comportamenti orientati al loro risparmio in tutti i settori”. Per esempio, in agricoltura l’adozione di sistemi irrigui efficienti, di pratiche agronomiche conservative e la riduzione del quantitativo di fertilizzanti sintetici possono contribuire in maniera significativa a ridurre l’impatto antropico. Il riuso di acque reflue e l’approvvigionamento da fonti alternative (come la conservazione dell’acqua piovana) possono contribuire al risparmio delle risorse idriche di buona qualità. “Serve quindi un cambiamento culturale, che però, come tutte le trasformazioni socio-economiche e tecniche, richiede tempi lunghi e un impegno economico da parte delle regioni e dello stato centrale”. E nel contesto italiano le maggiori difficoltà da affrontare sono legate essenzialmente all’aspetto economico.
Prevedere e coinvolgere
L’abbiamo già detto: oltre all’impegno politico, per gestire meglio i torrenti e i corsi d’acqua non perenni servono dati. Dove non arrivano i dati, occorre costruire modelli di previsione. Serve dunque uno sforzo maggiore per prevedere a quanto ammonterà lo sfruttamento delle risorse. Il gruppo di ricerca di De Girolamo ha messo a punto un modello per misurare le divergenze tra il bacino fluviale alterato e il suo corso naturale, il cosiddetto stato idrologico. “I modelli idrologici e di qualità delle acque che utilizziamo, una volta calibrati e validati, consentono di simulare scenari gestionali o climatici”, aggiunge De Girolamo. “È possibile valutare gli effetti dei cambiamenti climatici, dei cambiamenti di uso del suolo o semplicemente di differenti pratiche gestionali sulle acque in termini qualitativi e quantitativi. Le alterazioni del regime idrologico dovute all’impatto climatico e antropico possono essere quantificate, per esempio un fiume attualmente classificato come permanente potrebbe in futuro divenire temporaneo”. E queste valutazioni hanno la loro importanza non solo dal punto di vista ecologico e ambientale, ma anche dal punto di vista economico. A volte gli incentivi europei che favoriscono alcune colture agricole non tengono conto delle ripercussioni che possono avere, per esempio, sulla preservazione della quantità e della qualità dell’acqua. Serve una sorta di concertazione tra le diverse direttive europee per rispondere a scenari così complessi.
Ma la partita non si gioca solo ad alti livelli. “Le popolazioni e i semplici cittadini possono partecipare alla pianificazione del territorio e contribuire alla ricerca scientifica”, ha sottolineato De Girolamo. Occorre rafforzare la condivisione con gli enti locali e la partecipazione dei singoli cittadini. I Contratti di fiume sono strumenti a cui hanno aderito 13 regioni italiane e che prevedono, quale elemento fondante, proprio la partecipazione delle comunità locali nella gestione di fiumi. Nati nell’ottica della programmazione volontaria, perseguono la corretta gestione delle risorse idriche, la valorizzazione dei territori fluviali e la loro tutela, contribuendo allo sviluppo locale.
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