SALUTE

Chi può donare sangue?

In molti Paesi gli uomini che hanno avuto rapporti sessuali con altri uomini sono esclusi dalla possibilità di donare il sangue. Ma quali sono le evidenze scientifiche sul rischio di trasmettere malattie?

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In molti Paesi la donazione del sangue è preclusa agli uomini che hanno avuto rapporti sessuali con altri uomini. Crediti immagine: ICSident

SALUTE – Nella notte tra l’11 e il 12 giugno 2016 avvenne la sparatoria di massa all’interno del night club Pulse di Orlando, in Florida. Le vittime della strage, di matrice omofobica secondo molte ricostruzioni, furono 49, e i feriti 53. Dalle prime ore di quel mattino i cittadini e le cittadine offrirono tutto l’aiuto possibile. Migliaia di volontari accorsero per donare il sangue. I ristoranti e i bar della città misero a disposizione cibo e acqua per sostenere i donatori, in coda per ore fuori dagli ospedali. Tra i molti volontari era però esclusa una categoria di persone: quella degli uomini che hanno avuto rapporti sessuali con altri uomini. Dal 1985 negli Stati Uniti è proibito per loro donare il sangue. In quel contesto, a maggior ragione, il divieto è stato percepito come un profondo insulto.

Una settimana dopo la strage, 24 senatori degli Stati Uniti hanno scritto alla Food and Drug Administration (FDA) per chiedere di rivedere la normativa che regola le donazioni di sangue, e il 28 luglio la FDA ha aperto una discussione su eventuali cambiamenti da applicare.

Nel 1982 era ormai evidente che l’AIDS fosse causato da un virus trasmissibile attraverso il sangue e i rapporti sessuali. Una delle principali paure fu che le riserve di sangue negli ospedali fossero contaminate. Il passo fu breve, e nel gennaio 1983 i massimi esperti in materia dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Centers for Disease Control and Prevention, CDC) avevano già ipotizzato che, in assenza di un test per verificare la presenza del virus, dovessero venire escluse dalla donazione tutti i gruppi di persone più a rischio.

Con il diffondersi dell’epidemia, nel 1985 le banche del sangue statunitensi adottarono il divieto di donazione da parte di uomini che avessero avuto rapporti sessuali con almeno un altro uomo. Nello stesso anno venne introdotto il primo test per la malattia. Da quel momento le modalità per donare sangue negli Stati Uniti non sono cambiate: un questionario che esclude, appunto, alcune categorie di persone, a cui segue un test universale applicato su ogni donazione.

Chana A. Sacks, Robert H. Goldstein e Rochelle P. Walensky hanno da poco pubblicato sul New England Journal of Medicine un appello per modificare la regolamentazione dei centri di donazione che fa leva su tutte le evidenze scientifiche in materia. Negli ultimi 35 anni, infatti, i test per individuare il virus dell’HIV hanno raggiunto un’ottima affidabilità nei risultati. Nel 1987, nell’analisi del test dell’HIV, era necessario tenere conto di un periodo finestra compreso tra le 6 e le 14 settimane (il periodo in cui una persona può risultare negativa pur avendo contratto l’infezione). Oggi l’intervallo di tempo da considerare oscilla tra i 9 e i 14 giorni. Nel 1985 il test aveva un’accuratezza del 97,3%. Oggi rasenta il 100%. Si tratta di successi dovuti all’avanzamento tecnologico e non di risultati sul lungo periodo frutto di norme esclusive.

Gli autori del testo propongono un esempio per spiegare l’inefficacia della logica che regola l’ammissione alla donazione negli Stati Uniti. Il Donatore A, un uomo sposato, monogamo, gay e risultato per anni negativo al test per l’HIV, non può donare sangue. Il Donatore B, un uomo eterosessuale che negli ultimi anni ha avuto rapporti sessuali non protetti con più donne senza sapere nulla sul loro stato di salute, può donare.

Questo genere di discriminazione non può avvenire da parte del sistema sanitario, sostengono gli autori. Un cambiamento deve essere attuato al più presto e potrebbe iniziare con la stesura di un questionario personalizzato, basato sulle più recenti conoscenze, e su un test per identificare non solo l’HIV ma tutte le infezioni veicolate dal sangue.

Tutto il mondo deve confrontarsi con questo problema ma alcuni Paesi non hanno mai fatto distinzione sull’orientamento e sulla vita sessuale delle persone per la donazione del sangue. Uno di questi è l’Italia che, secondo i ricercatori americani, rappresenterebbe un case study per valutare le implicazioni di un cambiamento nelle politiche nazionali in materia di donazione. Nel 2001 il Ministero della Salute ha eliminato il divieto per i maschi omosessuali. Il questionario a cui devono rispondere tutti i donatori è stato aggiornato nel 2015 con criteri più severi nei confronti delle abitudini sessuali del candidato, senza alcun riferimento all’orientamento sessuale.

Nonostante questo gli uomini gay italiani hanno difficoltà a diventare donatori di sangue e i casi di discriminazione non mancano. La decisione finale, infatti, è a discrezione del medico e si basa su una “interpretazione del comportamento a rischio” che viene applicata in maniera non chiara. Come minimo alcuni centri continuano a escludere i maschi omosessuali dalla donazione. È quanto riportato nell’analisi stilata da un gruppo di ricercatori britannici e pubblicata su Transfusion Medicine nel luglio del 2015, in cui vengono paragonate le normative in vigore in varie nazioni.

Migliaia di persone sono morte a causa dell’HIV trasmesso con una trasfusione, ma dopo più di trent’anni di progresso scientifico le nuove tecnologie offrono strumenti più efficienti per minimizzare il rischio rispetto alle politiche di esclusione. Come affermano i firmatari dell’appello del New England Journal of Medicine “dobbiamo impegnarci con rigore empirico nella valutazione dei risultati di qualunque cambiamento politico e in questo modo potremo continuare ad assicurare una disponibilità di sangue sicuro per ogni persona, per ogni comunità, per chiunque ne abbia bisogno”.

@gianlucaliva

Leggi anche: PrEP e PEP: la prevenzione come risorsa chiave per ridurre il contagio da HIV

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Gianluca Liva
Giornalista scientifico freelance.