La suscettibilità dei linfociti T all’infezione del virus dell’HIV
Alcune cellule infettate dal virus dell'HIV restano nascoste per lungo tempo, e per questo è difficile estirpare completamente il virus dall'organismo. Lo sviluppo di alcune tecniche potrebbe aiutare a individuare in che modo il virus si annida in queste cellule dopo l'infezione.
RICERCANDO ALL’ESTERO – “Nonostante i passi da gigante che abbiamo fatto nella terapia e nella prevenzione di HIV, estirpare questo virus è impossibile e secondo me siamo ancora abbastanza lontani da un vaccino. Anche se nei Paesi occidentali la mortalità non è elevata come in passato, trovo fondamentale continuare a fare ricerca di base su questo virus”.
Nome: Lara Manganaro
Età: 37 anni
Nata a: San Giovanni al Natisone (UD)
Vivo a: New York (Stati Uniti)
Dottorato in: Biologia molecolare (Pisa)
Ricerca: Ruolo delle CD4 memory stem cell nell’infezione di HIV
Istituto: Mount Sinai Hospital (New York, USA)
Interessi: shopping, vedere gli amici, concerti, spettacoli, musei, mostre, gli aperitivi sui roof top, i brunch
Di New York mi piace: mi sento a casa e libera, è il posto più bello del mondo
Di New York non mi piace: i tempi, perché fare le cose a volte è complicato
Pensiero: There’s a bit of magic in everything, and some loss to even things out. (Lou Reed)
Il virus dell’HIV colpisce un particolare tipo di cellule del sistema immunitario, i linfociti T helper (o CD4). Una volta entrato nella cellula bersaglio, il virus si integra nel genoma ed entra in latenza, cioè spegne la trascrizione delle proteine virali diventando completamente invisibile al sistema immunitario e ai farmaci. Le cellule infettate possono rimanere nascoste per molto tempo e non si è ancora trovato il modo di eliminarle definitivamente dal nostro organismo.
I linfociti T helper sono una popolazione molto eterogenea di cellule: c’è una categoria più suscettibile all’infezione?
I linfociti T helper sono cellule fondamentali perché contribuiscono ad attivare tutte le altre cellule coinvolte nella risposta immunitaria. Ce ne sono di diversi tipi: quelle chiamate naive, che non hanno mai incontrato l’antigene, le central memory (o di memoria centrale, TCM), effector memory (o di memoria effettrici, TEM) e le terminali, che sono quelle che hanno incontrato l’antigene e si sono differenziate in linfociti specifici per un determinato batterio o virus.
È stato dimostrato che i linfociti T naive sono molto resistenti all’infezione mentre tutti quelli memoria sono più suscettibili. Nel gruppo in cui lavoro abbiamo visto che c’è una popolazione di cellule che fa da ponte tra i naive e i memoria e che è particolarmente sensibile all’infezione: si tratta delle CD4 memory stem cell (o staminali di memoria). Non sono cellule staminali vere e proprie, come potrebbe indicare la parola, ma hanno caratteristiche molto simili tra cui una vita molto lunga, un’elevata proliferazione e un percorso di differenziamento. Le memory stem cell sono molto poche e la nostra idea è che il virus si annidi al loro interno e qui riesca a vivere molto a lungo: quando le cellule iniziano a proliferare, il serbatoio virale si espande e riesce a permanere anche durante la maturazione e dopo il differenziamento.
Cosa rende una cellula più o meno suscettibile all’infezione di HIV?
Uno degli obiettivi della nostra ricerca è dare una risposta a questa domanda.
Abbiamo iniziato a caratterizzare le popolazioni di linfociti T helper per distinguere i diversi sottogruppi e individuare le cellule infettate; abbiamo usato una tecnologia molto innovativa che si chiama Cytof (Time of Flight Mass Cytometry). Il principio è quello di una classica citometria FACS che usa anticorpi coniugati con marcatori per analizzare le proteine espresse da determinati tipi cellulari. Come marcatori, però, non si sfruttiamo i fluorofori, che in un unico esperimento di FACS possono essere al massimo 7 o 8 (se uno è bravo anche 12) a causa della sovrapposizione delle lunghezze d’onda di eccitazione ed emissione; ma gli isotopi, tra cui generalmente i lantanidi. Il vantaggio è che, non registrando un colore ma un peso, non c’è più il problema della sovrapposizione degli spettri e si riescono a usare fino a 30 anticorpi diversi allo stesso tempo (in futuro si pensa di arrivare a 100 anticorpi). In base alla quantità di isotopo registrato dalla macchina, poi, si può dedurre la quantità di proteine tipiche di un certo gruppo cellulare e classificare ogni singola cellula presente in una miscela.
È una tecnologia davvero potente perché, in base al proteoma espresso, indica non solo la percentuale di cellule naive, memoria, staminali di memoria, ma anche quante di queste sono state infettate da HIV e in quale fase del ciclo cellulare si trovano.
Incrociando i dati, è possibile capire qual è la fase del ciclo cellulare in cui una cellula viene infettata da HIV?
Sì, è possibile. Nelle mie analisi ho coniugato gli anticorpi che riconoscono le proteine cellulari con gli anticorpi contro il virus: in realtà ho usato un unico anticorpo contro una proteina virale, chiamata p24. Abbiamo anche stimolato i linfociti con diversi tipi di molecole per vedere se le risposte all’infezione erano le stesse per tutti i sottogruppi cellulari: in generale, i linfociti del sangue sono resistenti all’infezione di HIV perché hanno bisogno di essere stimolati e attivati per essere più permissivi. Questo accade perché durante l’infezione il nostro sistema immunitario in qualche modo vede il virus e si attiva, solo che il suo accendersi non è utile per sconfiggere il virus ma è quasi controproducente perché induce l’organismo a essere più permissivo.
Negli esperimenti, quindi, per mimare il meccanismo d’azione del virus è necessario aggiungere uno stimolo esterno. In altri studi sono stati usati stimoli molto aggressivi, che fisiologicamente non esistono: noi volevamo vedere cosa succedeva in presenza di stimoli più fisiologici così abbiamo usato tre tipi di interleuchine. I dati di mass cytometry hanno dimostrato che stimoli diversi rendono suscettibili all’infezione cellule diverse e che le più suscettibili sono appunto le memory stem cells.
Ora sto cercando di fare una caratterizzazione più molecolare di queste cellule perché esistono molecole, chiamate fattori di restrizione, in grado di bloccare il virus. In particolare sto studiando le staminali di memoria e uno specifico fattore di restrizione chiamato SAMHD1: è presente in tutte le nostre cellule ma in alcuni casi particolari abbiamo visto che viene spento. Credo che nelle memory stem cell SAMHD1 sia di base già spento e questo è il motivo per cui sono più suscettibili all’attacco di HIV. Il mio obiettivo è riuscire a riaccenderlo per evitare che si instauri un’infezione in cellule che vivono molto a lungo e che potenzialmente possono servire da serbatoio virale latente per anni.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Recentemente ho vinto il premio al Mount Sinai, istituito per supportare e incoraggiare la ricerca scientifica delle donne. Vorrei capire come il virus entra in latenza, perché il motivo principale per cui non possiamo estirpare il virus HIV una volta contratto è che integra il suo genoma all’interno del nostro DNA e da lì non riusciamo a rimuoverlo. Adesso ci sono diversi gruppi che stanno provando l’approccio CRISPR/Cas 9, ma in generale una volta entrato nel DNA, il virus resta là.
La mia idea è usare un sistema con due fluorofori, uno sotto controllo virale (per esempio il verde) e uno sotto controllo cellulare (per esempio il rosso). Si infettano le cellule staminali di memoria con il virus, che si andrà a integrare nel DNA dell’ospite: se è produttivo, cioè se esprime proteine virali, la cellula sarà sia verde sia rossa; se entra in latenza, la cellula sarà solamente rossa.
Con questo sistema è possibile caratterizzare, nei diversi sottotipi di linfociti T, come i virus vanno in latenza e come rispondono a stimoli diversi.
I virus hanno messo una grossa pressione evolutiva sugli esseri umani e viceversa. Trovo molto interessante capire come i virus riescono a prendere vantaggio dalle cellule umane e come, in risposta al sistema immunitario che cerca di combatterli, evolvono per nascondersi e sfuggire al meccanismo di difesa. È un rapporto che si è evoluto in millenni e lo trovo estremamente affascinante.
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