Inondazioni e alluvioni in Italia: qual è la situazione e cosa si può fare?
L’Italia è un Paese ad alto rischio di dissesto idrogeologico, ma mancano le risorse per la messa in sicurezza del territorio e della popolazione. Ne parliamo con Fausto Guzzetti, dirigente di Polaris Irpi Cnr
SPECIALE NOVEMBRE – Ogni anno con l’arrivo delle abbondanti piogge sul’Italia ritorna anche l’incubo di alluvioni e inondazioni. Se il 4 novembre è stato l’anniversario dei 50 anni dell’alluvione dell’Arno a Firenze del 1966, nell’ultima settimana il fiume Po e il fiume Tanaro hanno esondato in Piemonte, con danni ingenti per la popolazione. Questi episodi ci ricordano che l’Italia è un Paese ad alto rischio di dissesto idrogeologico, sia per le frane sia per le inondazioni, ma esistono opere di difesa che possono essere messe in atto sul territorio per abbassare la pericolosità di questi eventi e campagne di informazione del rischio per la popolazione, affinché sia preparata ad affrontarli.
Fausto Guzzetti, geologo e direttore dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del CNR che ha prodotto il Rapporto Polaris per il primo semestre del 2016, ci spiega che la situazione non è affatto rosea: “In Italia siamo messi male. I cambiamenti climatici, con il livello di piogge in aumento di anno in anno, e i cambiamenti ambientali, dettati anche dalle costruzioni e dall’abusivismo in prossimità di aree considerate a rischio, ci portano a danni in media di 1 miliardo l’anno. Sarebbero necessari interventi di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio, ma le risorse economiche sono scarse e i risultati sono quelli che osserviamo in caso di inondazione o alluvione”.
Dissesto idrologico: la differenza tra inondazione e alluvione
Ma cosa si intende con inondazione? E con alluvione? Proviamo a rispondere partendo innanzitutto dalla definizione di dissesto idrogeologico: si tratta di processi legati alle acque superficiali o sotterranee, che attraverso fenomeni di erosione portano a una degradazione che può causare frane o inondazioni.
Proprio le inondazioni sono dunque fenomeni naturali che contribuiscono ai processi di evoluzione, modellazione e modificazione del territorio. Si tratta di allagamenti temporanei durante cui grandi masse di acqua coprono in brevi tempi, con intervalli che vanno da poche ore a giorni, aree anche popolate che abitualmente non sono coperte da acqua. Le inondazioni possono essere causate da laghi, fiumi, torrenti o qualsiasi corso d’acqua, naturale o artificiale.
Nel caso di alluvioni, invece, oltre all’acqua si presenta un accumulo di materiale fluviale, costituito da fango e da sedimenti, che viene portato al di fuori degli argini nelle zone circostanti con effetti catastrofici. Se questi processi naturali avvengono in modo violento e catastrofico in aree urbanizzate, dove possono trovarsi abitazioni o poli industriali, si parla allora di danno, sia in termini di vite umane sia di perdita di valore economico.
Alveo di magra, ordinario e di inondazione
Il canale in cui scorre l’acqua del fiume è detto alveo e può trovarsi in diverse condizioni. L’alveo di magra rappresenta la fascia di maggiore profondità del canale ed è quello in cui, nelle fasi di magra, scorre una corrente fluviale blanda. L’alveo ordinario invece è il canale di scorrimento del fiume nei periodi di piena ordinaria, mentre quello di inondazione, anche detto maggiore, è rappresentato dalla superficie massima che nel corso delle alluvioni viene inondata dal fiume. Si tratta dunque di un’area sopraelevata rispetto al letto di scorrimento ordinario e che ha dimensioni decisamente maggiori.
Inondazioni e alluvioni: le cause
La causa principale delle inondazioni sono le precipitazioni intense e prolungate che si abbattono su un territorio impermeabilizzato dall’intervento umano, dove le costruzioni impediscono alla pioggia di infiltrarsi nel terreno con un conseguente e rapido aumento delle quantità di acqua che vengono immesse nei fiumi. Oltre alle abbondanti precipitazioni e ai cambiamenti ambientali, esiste in Italia il problema della mancata pulizia dei corsi d’acqua, con la presenza dunque di detriti e vegetazione che ne impediscono il deflusso aumentando il rischio di eventi catastrofici. “Le costruzioni in prossimità degli alvei dei fiumi durante i periodi di magra hanno portato ad un denso popolamento di zone che sono considerate a rischio”, spiega Guzzetti. “In caso di inondazioni, queste zone subiscono danni diretti alla popolazione e perdite economiche”.
Prevenire le catastrofi: quali indicatori utilizzare?
Le alluvioni possono essere previste attraverso il monitoraggio dei corsi d’acqua: si tratta infatti di fenomeni lenti, che richiedono da diverse ore a giorni per raggiungere il loro picco. Permettono quindi di attivare allerte di sicurezza, ma sono fenomeni difficili da contenere. Parlando di alluvioni, tra gli indicatori spunta il tempo di ritorno di una piena, cioè il tempo medio che intercorre tra due eventi di entità uguale o superiore ad un valore di assegnata intensità. Il tempo di ritorno di una piena può andare da pochi anni a centinaia di anni, ma non è un valore affidabile dato che le precipitazioni svolgono un ruolo chiave nell’ingrossamento dei corsi di acqua. “Il tempo di ritorno non può essere considerato un indicatore valido per la predizione di una inondazione,” spiega Guzzetti, “Infatti questo valore viene calcolato su una media di livelli storici del fiume e non tiene conto della quantità e dell’intensità delle precipitazioni, che possono variare di anno in anno. Sarebbe meglio dunque basarsi proprio su un tempo di ritorno delle piogge, piuttosto che sui tempi di ritorno delle piene”.
Prevenire le catastrofi: quali interventi?
Sono diversi gli interventi che possono contribuire a contenere le onde di piena e a mettere in sicurezza il territorio. Ci sono opere dette di difesa attiva, che agiscono diminuendo o convogliando la portata idrica del fiume in piena attraverso invasi di ritenuta come le dighe, casse di espansione come i bacini artificiali, aree golenali che separano la riva del fiume dal suo argine e scolmatori o canali che fanno defluire l’acqua al di là del punto critico dove si rischia l’alluvione. Le opere di difesa attiva sono sicuramente efficaci, ma comportano una modificazione significativa del territorio e richiedono tempi e costi di realizzazione e di manutenzione decisamente elevati.
Le opere di difesa passiva invece agiscono sugli effetti della piena, andando così a ridurre l’impatto dell’esondazione. Tra le opere di difesa passiva troviamo gli argini, che vengono realizzati in terra e in alcuni casi con muri arginali. Questo tipo di opere ha costi sicuramente minori, ma una protezione che può essere considerata in parte illusoria, dal momento che gli argini sono soggetti a fenomeni di erosione, sormonto, franamento e sfiancamento e che proprio la rottura degli argini è stata la causa delle alluvioni degli ultimi 15 anni.
Infine ci sono opere di mitigazione del rischio non strutturali, cioè interventi che hanno lo scopo di prevenire i danni e di contenerli, come la manutenzione dei corsi d’acqua, il monitoraggio dei livelli dei fiumi e i sistemi di allerta per la popolazione, oltre che la pianificazione dell’emergenza e la comunicazione del rischio nelle aree interessate. “La messa in sicurezza del territorio è la chiave per prevenzione dei danni che eventi come le inondazioni possono causare”, continua Guzzetti. “Quello che possiamo fare è un insieme di interventi strutturali di messa in sicurezza, che purtroppo sono proibitivi a causa dei loro costi, e di pianificazione dei sistemi di allerta per la popolazione che vive nelle aree a rischio”.
Piani di assetto idrogeologico e mappe di rischio: il limite dei modelli
Anche se la zona in cui viviamo non è compresa nelle mappe di rischio, non è escluso che esista un pericolo. I modelli matematici e le simulazioni che creano le mappe di rischio di dissesto idrologico in Italia presentano infatti dei limiti, spiega Guzzetti: “I modelli che disponiamo per l’elaborazione delle mappe di rischio mostrano i punti dove vi è la probabilità maggiore di inondazione o alluvione. Questo non significa che una zona che non è indicata sia sicuramente esclusa dal rischio di alluvione. Le mappe infatti mostrano una distribuzione di probabilità, motivo per cui anche zone considerate ‘sicure’ hanno in realtà una probabilità minore ma diversa da zero di essere inondate. Il limite si deve ai modelli di afflusso e deflusso utilizzati per elaborare le mappe. Questi modelli infatti implicano la simulazione di una intensa precipitazione che interessa il bacino d’acqua e il corso del fiume e predicono come l’acqua si espande sul territorio del superamento da parte dell’acqua del livello dell’argine, ma non della possibile rottura meccanica dell’argine stesso. Proprio la rottura degli argini, però, è stata la causa delle alluvioni degli ultimi 10-15 anni”.
“Io non rischio”: la campagna della Protezione Civile
Se le opere di mitigazione sono costose e lunghe da realizzare, bisogna puntare sulla manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua e anche sulla preparazione della popolazione, che deve essere informata del rischio e pronta ad affrontarlo. Proprio per questo motivo il 15 e 16 ottobre nelle piazze italiane è stata lanciata la campagna Io non rischio della Protezione Civile, che ha l’obiettivo di portare consapevolezza rispetto ai rischi di terremoto, maremoto e alluvione.
La campagna Io non rischio Alluvione informa i cittadini sul rischio della propria zona, grazie anche a mappe interattive, e indica i comportamenti da seguire in caso di alluvione. Il progetto è nato nel 2014 in via sperimentale dalla collaborazione tra la Protezione Civile, l’Anpas, l’Ingv, il Consorzio della Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica, l’AIPo, Arpa ER, Autorità di bacino del fiume Arno, Cami-Lab, Cima, Irpi e Ispra.
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