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Dissesto idrogeologico in Italia: ecco dove il rischio è più alto

Un quarto del nostro territorio nazionale è a rischio alluvioni, e 1 persona su 30 in Italia vive in zone ad alto rischio. Ecco i dati.

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Alluvione del 25 ottobre 2011 a Monterosso al Mare, in Liguria. Crediti immagine: Miriam Rossignoli, Wikimedia Commons

SPECIALE NOVEMBRE – Quasi un quarto del nostro territorio nazionale è a rischio alluvioni: il 10% a basso rischio, l’8% a rischio medio e il 4% ad alto rischio. In Emilia Romagna, la regione dove il rischio è il più elevato, oltre il 90% del territorio regionale può essere soggetto ad alluvioni e inondazioni. Sono gli ultimi dati di ISPRA, contenuti nel Rapporto “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio”, che contiene i dati relativi al 2015.

Eppure, sottolinea un sondaggio condotto da Legambiente e pubblicato a maggio 2016, se l’84% dei Comuni ha un piano di emergenza che prende in considerazione il rischio idrogeologico, solo il 46% lo ha aggiornato e solo il 30% dei Comuni intervistati ha svolto attività di informazione e di esercitazione rivolte ai cittadini. Il dossier di Legambiente – Ecosistema Rischio 2016 – si basa su un questionario inviato a 6174 amministrazioni comunali, dove sono state perimetrate aree a rischio idrogeologico, sia per frane sia per alluvioni. Hanno risposto 1144 comuni.
Solo nel 2015 frane e alluvioni hanno causato nel nostro paese 18 vittime, 1 disperso e 25 feriti, con 3694 persone evacuate o rimaste senza casa in 19 regioni, 56 province, 115 comuni e 133 località. Secondo quanto riporta l’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica (IRPI) del CNR, fra il 2010 e il 2014 le vittime per frane e alluvioni sono state 145 e 44 528 le persone evacuate o rimaste senza casa.

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Una persona su 30 circa in Italia vive in zone a elevato rischio di alluvione, con un tempo di ritorno fra 20 e 50 anni. La media però ci dice poco. In Emilia Romagna, nella terra della foce del Po, il 63% degli abitanti risiede in zone a rischio idraulico non trascurabile (per un totale di oltre 2,7 milioni di persone), in Toscana il 25% e in Liguria il 16%.

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A correre pericoli sono anche le industrie e i beni culturali, e di conseguenza chi ci lavora. Le unità locali di imprese (IM) esposte a rischio alluvioni in Italia sono il 4% del totale nello scenario a pericolosità idraulica elevata, a cui si aggiunge un ulteriore 12% di imprese esposte a pericolosità idraulica media, per un totale di 16 milioni di lavoratori che verrebbero coinvolti dalle conseguenze di questo tipo di calamità, la fetta più grossa in Emilia, Toscana e Liguria.

Infine, sempre secondo l’ultimo rapporto ISPRA, i beni culturali a rischio alluvioni in Italia sono risultati 12563 nello scenario di pericolosità idraulica elevata P3 (il 6,6% del totale) e ulteriori 29005 nello scenario di pericolosità idraulica media P2 (il 15,2% del totale).

Come agire dunque per limitare questi possibili danni? A detta dell’ultimo rapporto di ANBI (l’ente che rappresenta i consorzi di bonifica italiani), “Manutenzione Italia 2016 – Azioni per l’Italia sicura”, il nostro Paese necessiterebbe di 3581 interventi, che equivarrebbero a oltre 8 miliardi di euro di investimenti. Per fare un paragone, oggi sono 2,5 miliardi annui i costi accertati per la sola messa in sicurezza dei danni da calamità naturale. Cifre quindi importanti, che al momento non sono state stanziate, ma qualcosa si sta muovendo. Lo scorso settembre infatti il Governo ha pubblicato il DPCM sul Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico: un totale di 100 milioni di euro in tre anni a cui potranno attingere le regioni per la messa in sicurezza dei loro territori sia sul fronte della pericolosità idraulica sia per le frane.

@CristinaDaRold

NdR: Grazie alla segnalazione di un lettore, i grafici sono stati sostituiti con una versione che spiegasse in modo più chiaro i dati.

Leggi anche: Come stanno i fiumi italiani?

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Cristina Da Rold
Giornalista freelance e consulente nell'ambito della comunicazione digitale. Soprattutto in rete e soprattutto data-driven. Lavoro per la maggior parte su temi legati a salute, sanità, epidemiologia con particolare attenzione ai determinanti sociali della salute, alla prevenzione e al mancato accesso alle cure. Dal 2015 sono consulente social media per l'Ufficio italiano dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.