Le cellule e il design
Le frontiere della biologia si spingono laddove saremo in grado di manipolare la struttura 3d delle proteine
ATTUALITÀ – Le proteine hanno una marcia in più. È per questo che per riprodurre una proteina in laboratorio serve una sorta di architetto, un esperto di design. Con il DNA condividono il fatto di possedere una sequenza caratterizzata da mattoncini variamente componibili, anche se nel caso delle proteine essi sono rappresentati dagli amminoacidi. Sempre con il genoma condividono una struttura e la possibilità di subire modificazioni successive alla sintesi, portatrici di nuove funzioni. Ma la caratteristica che davvero contraddistingue le proteine è la possibilità di assumere forme particolari nello spazio, una struttura tridimensionale che è determinante per la funzione che ricoprono. Finora, dunque, era abbastanza facile intuire la possibile sequenza degli aminoacidi che compongono una proteina a partire dalle informazioni ricavate dal genoma, mentre pareva impossibile studiare tutte le possibili strutture tridimensionali. La cristallografia e la risonanza magnetica nucleare erano tecniche troppo costose e troppo lunghe per analizzare le migliaia di strutture proteiche presenti in natura.
Ma i progressi degli ultimi anni hanno fatto sì che il design delle proteine entrasse a pieno titolo nel Breakthrought of the year di Science del 2016. Lo sviluppo della genomica e dell’informatica, che ha permesso di processare innumerevoli sequenze proteiche, ha aperto agli scienziati la possibilità di predire la struttura di proteine per le quali non esisteva nemmeno un modello su cui ipotizzare una struttura. È stato necessario mettere insieme numerosi indizi provenienti da diverse discipline quali la fisica, la chimica e la biologia, ma una volta compresa la chiave di lettura il lavoro ha iniziato a procedere speditamente. L’approccio impostato finora dovrebbe funzionare per circa 4700 famiglie di proteine, per le quali non vi era un modello di struttura identificato. Occorre arrivare al traguardo di 8000 famiglie, ma secondo gli esperti il risultato potrebbe essere raggiunto nel giro di un paio d’anni. Da qui alla costruzione di strutture proteiche inesistenti in natura, il passo è stato breve.
L’applicazione del nuovo ventaglio di possibilità offerte dalla conoscenza della struttura delle proteine è iniziata dalla medicina. Il gruppo di ricercatori di Washington, capeggiati dal biologo computazionale David Baker, a cui si deve già tanto per le scoperte effettuate nel campo, ha inventato un nuovo farmaco capace di contrastare molti diversi ceppi di influenza. Il virus dell’influenza è molto mutevole e per questo è necessario vaccinarsi ogni anno. Per i ricercatori statunitensi è stato sufficiente individuare il tallone di Achille del virus: una porzione della proteina virale, l’emoagglutinina, che rimane perlopiù immutata. Il passo successivo è stata la costruzione di una proteina di 97 amminoacidi con una struttura complementare, capace di adattarsi alla proteina virale come una sorta di guanto. La proteina sintetica, quando avvolge la proteina virale, la rende inattiva impedendo ai virus influenzali di entrare nelle cellule ospite. Questo è infatti il compito dell’moagglutinina. Gli esperimenti sui topi hanno dimostrato come il nuovo farmaco sia molto più efficiente del tradizionale Tamiflu. Le potenzialità della proteina sintetizzata al computer sono descritte in un articolo di PLoS Pathogens, pubblicato a febbraio di quest’anno.
Dopo averli combattuti, però, il gruppo di Baker ha tratto anche ispirazione dal mondo dei virus. È bastato assemblare in una sorta di Tetris microscopico molecole proteiche con diverse strutture, quelle che in gergo si chiamano subunità, per ottenere capsule con una impalcatura più complessa. Il risultato ottenuto è del tutto simile ai capsidi, i trasportatori di natura proteica che veicolano e iniettano il genoma virale all’interno delle nostre cellule. L’intuizione, che ha dato luogo a una pubblicazione datata luglio 2016 su Science, potrebbe inaugurare una nuova era per le macchine molecolari e soprattutto fornirci nuovi strumenti per veicolare farmaci all’interno del nostro corpo. Aggiungendo la capacità di auto – assemblarsi, la stabilità e la versatilità dimostrata ad esempio dalla proteina di 60 subunità descritta su Nature, le applicazioni che si possono immaginare per tali complessi vanno dalla ricerca, dove potrebbero essere utilizzati per trasportare molecole fluorescenti all’interno delle cellule, fino alla medicina che potrebbe sfruttarli per veicolare farmaci o per stuzzicare il nostro sistema immunitario trasportando antigeni, cioè piccole porzioni di molecole estranee al nostro organismo per farlo reagire.
Per spingersi ancora più in là, sono state create proteine ibride che includono tratti tipici degli acidi nucleici. Da qui potrebbe partire il primo tentativo di portare informazioni genetiche dall’esterno all’interno delle cellule, attraverso strutture artificiali. Il gruppo di Baker ha osato creare le molecole ibride e ne ha descritto le caratteristiche su Science in un articolo pubblicato in maggio.
Dopo l’avvento di CRISPR il biologo mette di nuovo i panni del creativo e plasma le proteine, con la stessa versatilità con cui un foglio di carta si trasforma in un origami.
Non mancano le incognite in questo mondo fantastico: non sappiamo ancora come reagirà il nostro corpo a queste sostanze estranee, se ci provocheranno nuove allergie; serviranno anni prima che una proteina costruita da un computer entri nell’ambulatorio del medico, perché una medicina interagisce con l’intero sistema corporeo e non soltanto con il suo target come accade in laboratorio; innumerevoli sono le combinazioni da testare quando ci si misura con la creazione di una proteina che non ha alcun modello di riferimento nel mondo reale.
Resta ancora tanta strada da fare e, malgrado il riconoscimento arrivato quest’anno, anche Baker e gli altri ingegneri delle proteine ne sono consapevoli. Abbiamo raggiunto tuttavia la capacità di plasmare l’invisibile e il fatto di plasmare e manipolare, si sa, è stato determinante nel progresso raggiunto dal genere umano.
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