La presa dell’Antartide
Da Cook a Shackleton ad Amundsen: la storia della "presa" dell'Antartide è costellata da grandi esploratori.
Prima di conquistare l’Antartide, bisognava dimostrarne l’esistenza. Ipotizzato da tempi remoti come un grande continente, nel Settecento la Terra australis rimaneva più un mito che una realtà. Nel gennaio del 1773, mentre varca in nave il circolo polare antartico, James Cook è preoccupato, anzi quasi spaventato. Scriverà che il pericolo che si corre a queste latitudini, con gli iceberg che spuntano ovunque in acque ignote, è tale che “io oso asserire che nessuno potrà mai penetrare più in là di quanto mi venne concesso e le terre che possono trovarsi al sud non saranno mai più toccate”. Si sbagliava, perché come era già successo proprio a lui, il senso della sfida, il gusto per l’ignoto e il la possibilità di compiere un’impresa leggendaria hanno mosso molti altri uomini dopo di lui. E continuano a muoverli.
Terra! Terra!
Se James Cook, l’uomo che per conto della Royal Navy britannica ha battuto quasi palmo a palmo l’Oceano Pacifico, è il primo europeo a oltrepassare le colonne di Ercole ghiacciate del circolo polare antartico, il primo navigatore a scorgere terra in quei mari potrebbe essere stato Fabian Gottlieb Thaddeus von Bellinghausen con le due navi Vostok e Mirnyj della marina dello zar Alessandro I. Il 26 gennaio del 1820, 47 anni dopo Cook, la sua è la seconda spedizione della storia a varcare quel limite e nel diario di bordo segnala di aver avvistato terra, ma probabilmente si trovava a 69º 21′ 28″ S e 2º 14′ 50″ W e quello che ha visto, con tutta probabilità, non è il continente meridionale che stava cercando, ma dei semplici banchi di ghiaccio. Negli anni successivi, in quei mari navigano l’inglese James Weddell, che raggiunge 74° 15′ di latitudine sud, e il francese Jules Sebastien Cesar Dumont d’Hurville, che dopo essere salpato da Tolone nel 1837 scopre la Terra Adelie, così chiamata in onore della moglie. La corsa per la scoperta è aperta e nessuna delle grandi potenze europee vuole rimanere alla finestra, aspettando che siano gli altri a segnare il punto.
Oramai il piede a terra è stato messo, ma i viaggi di James Clark Ross sono quelli che danno i risultati più importanti. Tra il 1839 e il 1843, come racconta nel suo A Voyage of Discovery and Research in the Southern and Antarctic Regions, batte le coste del continente che fino a pochi decenni prima sembrava semplicemente un miraggio tra i ghiacci. Scopre quella che oggi si chiama Terra Vittoria in onore di sua maestà la regine dell’Impero Britannico che ha finanziato la spedizione, il canale di McMurdo, il mare e la grande barriera di ghiaccio che prendono il suo nome. In cinque anni, durante i quali ha fatto base in Tasmania nei mesi invernali, Ross ha contribuito a mettere l’Union Jack un po’ ovunque sulla carta dell’Antartide. Nel frattempo la Russia si sfila dalla corsa, e non vi rientrerà che dopo la Seconda Guerra mondiale con un nuovo nome, U.R.S.S., e lo zar un lontano ricordo. A provare fare definitivamente proprio il continente è quindi la Corona inglese.
La conquista del Polo Sud
Una volta accertata l’esistenza di una Terra australis e avervi messo piede, la sfida si sposta sull’esplorazione del territorio. Il contributo dato dalle spedizioni di Ross è enorme. È lui che apre la strada sul terreno ghiacciato, ma bisogna attendere più di mezzo secolo perché cominci la corsa più famosa e appetitosa, quella per la conquista del Polo Sud. Tra il 1901 e il 1904, la missione Discovery della Royal Society e della Royal Geographical Society britanniche è un atto interlocutorio e serve per le rilevazioni preparatorie al raggiungimento del vero obiettivo. Ma è anche l’occasione per prendere confidenza con quell’ambiente estremo di alcuni personaggi che diventeranno protagonisti della conquista del Polo, tra cui Robert Falcon Scott (che comanda la missione) e Ernest Shackleton. Facendo base vicino allo Stretto di McMurdo, Scott e gli altri compiono diverse attraversate della Piattaforma di Ross in slitta con l’obiettivo di raccogliere quante più informazioni possibili sul meteo, la geologia e le geografia dei luoghi. Tentano anche di raggiungere il Polo Sud, ma abbandonano perché nessuno dei membri della missione è davvero preparato per una ambiente così estremo.
Tra il 1907 e il 1909, Shackleton e altri tre compagni della missione Nimrod effettua un nuovo tentativo, ma a soli 180 km dal Polo è costretto a battere in ritirata: ancora una volta la scarsa preparazione alpinistica è il limite principale. L’anno di svolta è il 1911, con l’Impero britannico però battuto dal norvegese Roald Amundsen. Raggiunta la Piattaforma di Ross nella zona della Baia delle Balene a bordo della nave Fram, il 29 ottobre, con altri tre uomini e quattro slitte, muove verso il Polo. Solo due giorni dopo, il 1 novembre, la spedizione capitanata da Scott parte verso il Polo da un altro punto della Piattaforma di Ross, nei pressi di Cape Evans. Per mesi i due gruppi di uomini gareggiano senza sapere nulla dei progressi degli avversari, con al sola speranza di arrivare primi.
Amundsen arriva al Polo Sud il 14 dicembre, grazie all’eccellente preparazione della missione (soprattutto sul fronte dei materiali impiegati) e un’accurata scelta dell’itinerario. Anche Scott riesce ad arrivarvi, ma 5 settimane più tardi, il 17 gennaio del 1912, quando oramai Amundsen è vicino al campo base, dove arriva il 25 gennaio. Al Polo, Amundsen e i suoi uomini rimangono 5 giorni, effettuando misurazioni scientifiche, scattando fotografie e festeggiando la conquista. Scott e i suoi uomini, invece, trovano una bandiera nera lasciata dai norvegesi che simboleggiava la sconfitta. È un colpo duro, ma c’è ancora da ritornare al campo base, impresa non facile vista il peggior equipaggiamento e le maggiori difficoltà incontrate durante il tragitto. Purtroppo il viaggio verso Cape Evans si interrompe sulla Piattaforma di Ross, dove tutti i membri della spedizione trovano la morte in marzo. Celebre è la frase che Scott scrive nel suo diario (ritrovato da una spedizione successiva): “Fossimo sopravvissuti, avrei avuto una storia da raccontarvi sull’ardimento, la resistenza ed il coraggio dei miei compagni che avrebbe commosso il cuore di ogni britannico”.
Dopo la conquista
La presa del Polo Sud ha soprattutto un valore simbolico e l’Antartide era l’ultima grande parte delle terre emerse che dovevano ancora essere esplorate. Oltre il prestigio, però, ha offerto pochi vantaggi alle nazioni coinvolte. La conoscenza del territorio è andata progressivamente migliorando nel corso dei decenni successivi, grazie a una serie di spedizioni condotte da diversi paesi. Una delle più famose è probabilmente quella tentata da Shackleton tra il 1914 e il 1917 e che prevedeva la prima attraversata a piedi dell’Antartide, senza però riuscire. Tra le due guerre mondiali si assiste a una serie di esplorazioni aeree che contribuiscono non poco a chiarire la morfologia del continente. Contemporaneamente cominciano anche le rivendicazioni territoriali. Paesi come il Regno Unito, la Norvegia e la Francia, che hanno attivamente condotto missioni di esplorazione rivendicano come propri alcuni territori sui quali sostengono di poter esercitare un diritto in quanto primi arrivati. Ma anche l’Argentina, il Brasile, la Nuova Zelanda e il Cile, questa volta per vicinanza territoriale, provano ad avanzare delle rivendicazioni. In realtà, nonostante alcune di queste rimangano ancora formalmente in piedi, tutto si blocca però con il Trattato Antartico stipulato a Washington nel 1959 ed entrato in vigore nel 1961, che sospende tutte le rivendicazioni territoriali (anche se non le rende nulle) e che riguarda tutti i territori oltre il circolo polare antartico.
Nel secondo Dopoguerra, infatti, risulta sempre più evidente alla comunità scientifica internazionale il valore che l’Antartide può avere in termini di conoscenza: condizioni estreme, habitat naturali mai alterati dall’azione umana, una geologia tutta da scoprire e molto altro ancora. La svolta si realizza durante l’Anno Geofisico internazionale (1957-58), durante il quale i paesi partecipanti concordano che in Antartide non si potranno effettuare test bellici, non si potranno costruire basi militari (ma i militari possono partecipare alle missioni scientifiche), non si potrà sfruttare da un punto di vista minerario e petrolifero le eventuali risorse del continente. In poche parole, si realizzano le condizioni per la nascita di un territorio quasi incontaminato tutto votato alla ricerca scientifica. Dagli anni Cinquanta in avanti vengono costruite le prime basi scientifiche in diversi punti del continente e oggi sono 80, in cui vivono temporaneamente tra le 1000 e le 5000 persone: una piccola comunità per un territorio immenso, che è anche uno dei pochi luoghi al mondo dove le regole della scienza sono preponderanti rispetto agli interessi politici, in una specie di libera repubblica della conoscenza.
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