Come si rompe il vetro? Una nuova teoria per materiali più resistenti
Un nuovo studio degli scienziati della Rice University ha permesso di capire quali sono i processi su scala nanometrica che portano alla rottura di un vetro posto sotto stress meccanico
SCOPERTE – Il vetro è un materiale fragile, se posto sotto stress meccanico va incontro a rottura. Ma quali sono i fenomeni microscopici che avvengono al suo interno e lo portano a infrangersi? A questa domanda risponde lo studio dei fisici Peter Wolynes e Apiwat Wisitsorasak della Rice University, che osservando le bande di taglio che si formano a livello atomico nel vetro metallico sono riusciti a elaborare una teoria generale che spiega come avviene la frattura di questi materiali.
I due scienziati hanno pubblicato i risultati della loro ricerca sulla rivista PNAS, e hanno gettato così le basi per capire quali sono le modifiche che avvengono in questi solidi amorfi quando posti sotto stress meccanico. Un risultato importante che apre la strada all’elaborazione di una teoria generale per il fenomeno della rottura di questi materiali, caratterizzati da una struttura disordinata al contrario delle strutture ordinate e cristalline dei metalli, per questo motivo più resistenti. In questo modo sarà possibile produrre vetri dalle caratteristiche migliori, che rispondono a esigenze diverse a seconda della loro destinazione di utilizzo.
In particolare, Wolynes e Wisitsorasak si sono concentrati sullo studio dei vetri metallici, utilizzati per la costruzione di oggetti come le teste delle mazze da golf. Questi materiali hanno una struttura atomica disordinata, che li rende fragili e duttili, e ne permette il modellamento in forme complesse. Si tratta di materiali che di fatto sono metalli, ma che hanno alcune caratteristiche strutturali più simili a quelle dei vetri comuni, usati per esempio per le finestre, che sono buoni conduttori e sono impiegati nell’elettronica.
Se all’apparenza il vetro appare come solido, le molecole al suo interno sono disposte in schieramenti casuali e sono in continuo movimento. Proprio l’assenza di un reticolo cristallino porta alla formazione nel materiale di bande di taglio, cioè linee che localizzano i punti di sforzo, quei punti che in caso di stress meccanico sono soggetti più facilmente alla rottura. Per spiegare come avviene, i ricercatori hanno usato una teoria generale sui profili energetici, cioè una mappatura di tutte le possibili configurazioni delle molecole nel solido, teoria già utilizzata per lo studio delle proteine e degli avvolgimenti delle catene di DNA.
L’obiettivo che Wolynes si era prefisso era quello di descrivere come lo stress meccanico cambia il tasso di riassetto atomico nel materiale vetroso. Studiando i vetri metallici, lo scienziato ha scoperto che sono due i fattori che portano alla formazione di bande di taglio: “Il mio interesse principale è mostrare che questo fenomeno delle bande di taglio, che è evidente nei materiali metallici, può essere compreso come parte della teoria unificata dei vetri. Ci sono due fattori da considerare: il primo è che quando un vetro si forma è leggermente più debole in alcuni suoi punti rispetto ad altri. In questo senso, le bande sono in parte programmate all’interno del vetro. L’altro fattore è l’elemento di casualità. Tutte le reazioni chimiche richiedono la concentrazione di energia in alcuni particolari modi di movimento, ma il movimento nel vetro è particolarmente complesso, quindi bisogna aspettare e avere la fortuna di osservare un evento di attivazione. Hai bisogno di una sorta di evento di nucleazione”.
Gli eventi di attivazione avvengono in modo apparentemente casuale, per esempio quando le molecole si accoppiano naturalmente come nei fluidi superfreddi che scorrono, e sono più difficili da osservare quando il vetro cristallizza nella sua forma finale. Se posto sotto stress, però, gli eventi di attivazione riemergono e innescano il movimento cooperativo di molecole adiacenti, portando così alla formazione delle bande.
Proprio le bande, spiega Wolynes, marcano le regioni di alta mobilità e indicano i punti in cui può avvenire la cristallizzazione locale, mostrando così anche le regioni dove il vetro può essere più soggetto alla rottura: “La teoria elaborata ci permette di capire qualcosa in più circa la statistica di questi eventi, quanto sono estesi nel materiale e quali regioni interessano, senza avere il bisogno di simulare un evento completo usando la simulazione dinamica molecolare.”
In questo modo si possono eseguire dei calcoli realistici sulla forza del vetro metallico e i risultati possono essere estesi anche al vetro comune. Wolynes e Wisitsorasak hanno testato il modello elaborato al computer su un modello a due dimensioni di Vitreloy 1, un vetro metallico sviluppato dal California Institute of Technology che si congela in vetro alla temperatura di transizione di 349 gradi Celsius, ottenendo così una prima verifica. Le modellizzazioni al computer gli hanno permesso di risparmiare molto tempo in laboratorio, ha sottolineato lo scienziato: “Abbiamo posizionato il modello sotto sforzo, concentrando i mesi richiesti per uno studio pratico in pochi secondi, e osservando in laboratorio la formazione nel materiale delle bande di taglio proprio come previsto dalla teoria.”
D’altronde gli esperimenti in laboratorio possono richiedere mesi o anni prima di portare a dei risultati e in questo elaborare un modello di simulazione al computer costituisce un enorme passo avanti nello studio dei materiali e pone le basi per un nuovo metodo di modellizzazione delle proprietà meccaniche dei materiali vetrosi, i cui effetti macroscopici che tutti possiamo osservare quando rompiamo un bicchiere di vetro sono in realtà il risultato delle modifiche che avvengono su scala nanometrica al suo interno.
Comprendere dunque come si rompe il vetro e qual è il fenomeno microscopico che porta alla sua frattura potrà permettere agli scienziati di avere un modello per studiare le caratteristiche di cristallizzazione e frattura di nuovi materiali, oltre che ottenere un materiale più adatto alle proprie esigenze di applicazione pratica senza passare anni in laboratorio e riducendo costi e tempo per risultati ottimali.
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