ricercaSCOPERTE

Scoperte in Abruzzo le più grandi orme di dinosauro carnivoro d’Italia

Le tracce, scoperte per caso nel 2006, risalgono a un periodo tra 125 e i 113 milioni di anni fa. I ricercatori hanno potuto studiarle grazie all'uso di droni dotati di macchine fotografiche.

La superficie con orme di teropodi sul versante orientale del Monte Cagno (L’Aquila), e relativi modelli tridimensionali ottenuti dalle foto digitali acquisite in volo. Crediti immagine: INGV

SCOPERTE – Da oggi anche l’Abruzzo può dire di avere le sue orme di dinosauro. Risalenti a un periodo tra 125 e i 113 milioni di anni fa, una di esse è larga ben 135 centimetri, distinguendosi quindi come quella più grande finora lasciata in Italia da un predatore. Lo studio di cui sono state oggetto è stato pubblicato sulla rivista Cretaceous Research.

Scoperte per caso nel 2006, “sono osservabili su una superficie calcarea, quasi verticale, situata a oltre 1900 metri di quota sul Monte Cagno” racconta in un comunicato Fabio Speranza, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. “La superficie a orme è raggiungibile dopo un’escursione di circa due ore, partendo dal paese di Rocca di Cambio in Provincia dell’Aquila.”

Eppure non si è potuto studiarle prima dell’estate del 2015, quando grazie a droni dotati di macchine fotografiche sono stati effettuati rilevamenti a fotogrammetria digitale, che hanno consentito di ricostruire le orme in tre dimensioni partendo da comuni fotografie.

“Grazie a questa tecnica, che ha avuto origine in ambiente cinematografico [il riferimento è a Jurassic Park, del 1993] è stato possibile lo studio di dettaglio delle impronte della parete subverticale, riportandole in ambiente virtuale facilmente analizzabile al computer. Per una datazione più precisa, sono stati prelevati campioni delle impronte e degli strati immediatamente soprastanti e sottostanti” spiega Speranza.

Ad aver lasciato quei segni sul suolo fangoso erano stati più esemplari di un carnivoro, di dimensioni piuttosto grandi, tra i 7 e i 9 metri di lunghezza. Le sue zampe erano quelle tipiche dei teropodi, a tre dita, lunghe e affusolate. Alcune orme al centro della superficie calcarea mostrano persino che uno degli esemplari si era accucciato, per via del solco lasciato dal “tallone”.

La ricostruzione del noto illustratore scientifico Davide Bonadonna (qui la possiamo vedere accompagnare un articolo del National Geographic) rappresenta un abelisauride, un tipo di teropode che verosimilmente sfruttò la piattaforma italica per giungere nell’Europa continentale, nella quale sono stati rinvenuti svariati fossili riconducibili al suo gruppo.

Queste orme si aggiungono ai pochi altri ritrovamenti di rilievo in Italia: il fossile inclusivo di tessuti molli di Scipionyx samniticus da Petraroja (Benevento); lo scheletro di “Antonio”, il Tethyshadros insularis da Villaggio del Pescatore (Trieste); e il predatore giurassico Saltriosaurus da Saltrio (Varese). Per il resto, la Penisola si è quasi sempre dimostrata avara, restituendo solo alcuni frammenti dal Mesozoico.

Studiate in Italia da decenni e tuttora in continuo aggiornamento, le orme di dinosauri hanno rivoluzionato le idee sulla geografia dell’area mediterranea nell’età dei rettili.

“Contrariamente a quanto ritenuto in passato”, aggiunge Paolo Citton dell’Università Sapienza di Roma, “le orme testimoniano scenari di ripetute migrazioni di dinosauri dal continente Gondwana (che riuniva Africa, Sud America, Antartide, India e Australia) alle piattaforme carbonatiche dell’area mediterranea (un ambiente simile alle Bahamas di oggi)”.

Questi passaggi erano frutto delle variazioni del livello del mare: impercettibili su tempi ristretti, questi lunghissimi processi a scala globale potevano produrre localmente emersione delle terre e stabilire nuovi collegamenti. Oppure produrre l’effetto contrario.

“Le nuove orme”, conclude Citton, “potrebbero rivelarsi particolarmente preziose per le informazioni aggiuntive sulla composizione conosciuta della fauna dinosauriana italiana, con ricadute importanti anche sull’ecologia e sulle rotte seguite da questi animali estinti”.

Segui Giovanni De Benedictis su Twitter

Leggi anche: I dinosauri covavano le uova per mesi: un’altra causa per la loro estinzione

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Condividi su