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Storia paleopatologica di un parasaurolofo

Grazie a uno studio paleopatologico, un gruppo di ricercatori ha ricostruito gli sfortunati eventi che hanno portato alla morte del dinosauro. E trovato nuovi indizi sul suo aspetto.

La paleopatologia nasce con l’archeologia e, quindi, con il riconoscimento di patologie in scheletri di altri Homo sapiens vissuti e morti prima di noi. La questione si complica e non poco, quando l’osso fossile patologico davanti agli scienziati è di un animale vissuto milioni di anni fa e senza una specie odierna con il quale poterlo confrontare. Ecco perché la paleopatologia che studia i fossili di animali, come i dinosauri, è ancora in via di sviluppo. “Conosciamo bene la nostra struttura scheletrica e la nostra biologia, il che rende il riconoscimento delle patologie relativamente semplice… ma chi sa come funzionava il sistema immunitario di un adrosauro?”  scherza Filippo Bertozzo, studente di dottorato oggi alla Queen’s University di Belfast, sottolineando però la complessità di ricostruire la biologia di animali così diversi da quelli odierni. Grazie alla comparazione tra diverse ossa e l’utilizzo di procedure come l’analisi istologica di una sezione d’osso o la TAC dell’intero reperto fossile, è possibile riscontrare la presenza di patologie e traumi subiti dall’animale, quando era in vita.

Una serie di fortunati eventi

Ci vogliono delle particolari condizioni ambientali e del suolo perché un animale si fossilizzi. Il sedimento, la temperatura e la pressione devono essere quelli giusti e combinati in maniera ideale affinché il tessuto osseo si tramuti in roccia e quindi giunga a noi come fossile. Inutile sottolineare quanto questo processo sia raro in natura, ma se l’animale prescelto dal caso per questo processo presenta patologie ossee al momento della sua morte, queste si preservano e viaggiano nel tempo fino a noi. Il fossile, però, può rimanere sepolto negli strati di sedimento senza mai venire scoperto. Ci vuole così un ulteriore evento fortunato, cioè che un paleontologo, grazie alle sue conoscenze e alla sua dedizione, incappi durante uno scavo nei preziosi reperti fossili. È una serie di eventi casuali davvero incredibile, quasi quanto quella che ha portato Filippo Bertozzo ad ammirare da vicino uno dei suoi dinosauri preferiti fin dall’infanzia.

Filippo Bertozzo ci racconta di essersi appassionato ai dinosauri già da piccolo ma “al contrario di altri bambini, questa passione non si è mai spenta”. Partito dalla triennale in Scienze Naturali all’Università di Bologna (con tesi sull’Ouranosaurus nigeriensis esposto al Museo di Storia Naturale di Venezia), intraprende un cammino che lo porta a un pellegrinaggio scientifico per l’Europa. Prima in Germania con il master in paleobiologia sull’istologia delle ossa pneumatiche nei sauropodi, poi Bruxelles e infine Belfast “completamente inaspettato, visto che era una delle dieci proposte di dottorato che avevo provato”. Ora sta gestendo una ricerca triennale in un ambito che finora aveva considerato assai poco: la paleopatologia dei dinosauri ornitopodi.

Come per i fossili, tutto questo non sarebbe bastato senza un ulteriore colpo di fortuna: Filippo in Canada conosce Darren H. Tanke, paleontologo di caratura internazionale che cerca da tempo uno studente con un dottorato che si occupi di studiare la sua collezione di reperti con patologie. “Appena ho saputo di aver vinto il dottorato di ricerca, la prima persona a cui ho scritto non è stata mia madre ma Darren”. L’ultimo evento fortunato avviene all’incirca un anno dopo “mi recai al Royal Ontario Museum di Toronto nell’estate del 2018, seguendo il consiglio di Darren, per chiedere se potessi inserire nel mio studio anche il loro famoso fossile di Parasaurolophus (forse il mio dinosauro preferito fin da piccolo) e quando il curatore del museo, David C. Evans, rispose di sì ecco…pensavo che mi sarei messo a piangere” ricorda ancora con emozione Filippo.

La paleopatologia

“Trovare le tracce di una patologia in un fossile significa che l’animale è sopravvissuto abbastanza a lungo da permettere al proprio organismo di riparare il danno, ad esempio, un callo osseo che copre e salda una frattura”. Bertozzo mi illustra il paradosso osteologico: “mettiamo caso che un uomo che stia camminando in montagna, ad un certo punto scivola e si rompe l’osso del collo. L’uomo si fossilizza e viene scoperto milioni di anni dopo da un paleontologo alieno. L’alieno nota la frattura al collo ma gli è impossibile dire se sia di natura traumatica oppure dovuta al movimento dei sedimenti e quindi se sia stata fatale oppure post mortem”.

Ora “torniamo all’uomo di prima, questa volta si rompe una gamba, viene soccorso e sopravvive per un certo periodo di tempo finché, sfortunatamente, muore per cause scollegate, forse un infarto. Quando milioni di anni dopo viene rinvenuto dal solito alieno, questo può affermare con sicurezza che la frattura alla gamba è avvenuta durante la vita perché si è formato un callo osseo, testimonianza che quell’uomo è sopravvissuto alla frattura. Una frattura risaldata in un dinosauro non è, perciò, la causa diretta della sua morte ma può rappresentare un impedimento nella fuga o nella caccia e quindi causare indirettamente la morte dell’individuo”.

Un paleopatologo è perciò in grado di individuare i segni di malattie e traumi avvenuti durante la vita dell’animale. “L’osso patologico è molto più vascolarizzato di uno sano, questo perché il corpo fa affluire più sangue nella zona da riparare, così come i tumori hanno una conformazione ossea a spicole tipica”. Ma preparati istologici da osservare al microscopio, così come TAC e confronti tra ossa, sono spesso limitati da un basso numero di reperti fossili. “Vorrei che i musei tenessero molte più ossa patologiche, in modo da permettere una più ampia comparazione e conoscenza”, ma spesso non accade: i perché i reperti patologici sono frammentari, incompleti o semplicemente percepiti non importanti. “Ecco perché vorrei realizzare un atlante con le centinaia di ossa patologiche che ho analizzato”.

Di quali malattie soffrivano animali estinti come i dinosauri? C’era un’incidenza di una malattia in particolare in un determinato clade? Queste sono le domande alla quale la paleopatologia cerca di rispondere. Questa branca della paleontologia classica è solo agli inizi e nel prossimo futuro regalerà sicuramente importanti soddisfazioni scientifiche.

Storia di un Parasaurolophus unico

Parasaurolophus walkerii era un adrosauro, che pascolava (forse) in grandi branchi in quella che ora è l’Alberta canadese. 75 milioni di anni fa la regione era interessata da numerosi corsi d’acqua ed il clima subtropicale faceva di questa zona “un vero e proprio paradiso dinosauriano, con adrosauridi, ceratopsidi, tirannosauridi così come anche anchilosauri, struziomimi, coccodrilli e tartarughe”, dice Bertozzo. Il tratto forse più distintivo di Parasaurolophus era “la lunga cresta cava, prolungamento delle vie nasali, che si estendeva all’indietro, utilizzata forse anche per la comunicazione a basse frequenze”.

L’esemplare di questa specie che stava per far piangere dalla gioia Bertozzo ha qualcosa che lo rende veramente unico, “oltre ad una possibile malattia parodontale nella mascella e un’ossificazione secondaria nel cinto pelvico, forse di origine traumatica, questo esemplare ha una sella tra le vertebre dorsali 7 e 8 che non si è mai vista in nessun altro dinosauro conosciuto”. Questa sella ha una forma a V dovuta all’inclinazione in avanti della spina della vertebra 7 e all’inclinazione all’indietro della spina della vertebra 8. “Inoltre, le costole che partono da queste vertebre presentano calli ossei dovuti a delle fratture risaldate, inoltre anche le vertebre 9, 10 e 11 non hanno un aspetto troppo normale”.

Questa peculiarità, che ha lasciato perplessi gli scienziati fin dagli anni 20, secondo Bertozzo e i suoi collaboratori ha una sola spiegazione. “Un impatto traumatico, proprio tra la settima e ottava vertebra, che ha causato una contrazione della maglia di tendini ossificati che caratterizza la parte posteriore di questi animali” una contrazione tanto potente da fare in modo che “questa maglia tendinea ha tirato verso di se le vertebre 8, 9, 10 e 11 durante l’impatto, inclinando le spine all’indietro”. Ma cosa ha inclinato la vertebra 7 in avanti? Sopra alla sua spina neurale si trova uno strano disco d’osso, di chiara natura patologica ma mai riscontrato prima in dinosauri simili. Lo sguardo di Bertozzo si illumina: “non appena Fabio Manucci, uno dei miei collaboratori, mi ha ricordato che quella era la posizione ipotizzata in passato per una certa struttura, ci siamo scambiati uno sguardo ed eureka! Abbiamo realizzato che si trattava di un legamento nucale”.

Il legamento nucale solitamente collega la protuberanza occipitale (o la prima vertebra cervicale, dipende dalle specie considerate) con le vertebre dorsali e potrebbe essere stata proprio questa struttura fibrosa a concorrere nel creare la famosa sella e lo strano disco rappresenta una ossificazione della sua base. “Pensavamo di fare un semplice studio paleopatologico, invece è emersa la possibilità che Parasaurolophus, così come altri adrosauri, potesse avere un potente legamento nucale”. Grazie all’analisi paleopatologica dei ricercatori, pubblicata sul Journal of Anatomy, l’aspetto di Parasaurolophus potrebbe essere cambiato per sempre. “Abbiamo cominciato a rivestire il nostro scheletro con muscoli, tendini e naturalmente il legamento nucale, ma non sapendo con certezza il suo posizionamento (il disco patologico è ‘condiviso’ tra la vertebra 6 e 7, quindi il legamento poteva partire da una delle due) abbiamo provato diverse combinazioni del collo dell’animale”.

Un ulteriore colpo di fortuna quindi, “questo animale ha ricevuto un trauma nel punto perfetto per farci scoprire l’esistenza di questo legamento in Parasaurolophus”. Questo esemplare è andato incontro a un trauma devastante, “secondo noi la caduta di un grosso oggetto, come un albero durante una tempesta o un incendio. Si tratta dell’evento che spiegherebbe meglio la patologia, ma potrebbe essere anche stato un masso caduto per una frana”. Nonostante l’evento che ha lasciato una cicatrice indelebile impressa lungo la linea dorsale l’animale, incredibilmente, è sopravvissuto. L’incontro casuale e quasi impossibile tra uno sfortunato Parasaurolophus walkerii, vissuto e morto 75 milioni di anni fa, e un fortunato paleopatologo Homo sapiens, ha rivoluzionato l’aspetto di questo animale iconico “ora riteniamo che il collo di questo animale fosse molto più robusto di come ce lo eravamo sempre immaginati”.


Leggi anche: “Storie di dinosauri che ce l’hanno fatta”, di Leo Ortolani

Articolo pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   

Immagine: ricostruzione artistica del parasaurolofo, per gentile concessione di Marzio Mereggia

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Simone Rebuffi
Sono Simone Rebuffi, laureato in Biologia Evoluzionistica presso l'Università degli studi di Padova. La mia passione: la divulgazione scientifica in ogni sua forma. Collaboro con il giornale scientifico Pikaia. Sono autore di "Just a Story", podcast di divulgazione scientifica.