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Una ricerca studia il gigante salino del Mediterraneo

A differenza di altri giganti di sale che si trovano nell'Atlantico, quello del Mar Mediterraneo offre la possibilità di studiare il deposito in uno stato primordiale.

Sul fondale del Mar Mediterraneo si estende un gigante di sale: un deposito di salgemma, gesso e altri minerali che ha uno spessore di alcuni chilometri. Crediti immagine: Marco, Flickr

SPECIALE MAGGIO – Ci sono dei giganti di sale che riposano sui fondali marini del pianeta. Il più giovane tra questi giganti si estende sotto i fondali del Mar Mediterraneo: si tratta di uno strato di salgemma, gesso e altri sali che raggiunge uno spessore di alcuni chilometri per un volume stimato di oltre un milione di chilometri cubi. Studiare l’origine di queste rocce, il loro impatto sull’evoluzione della geografia del Mediterraneo, la biosfera profonda associata e le implicazioni per la pericolosità in ambiente sottomarino sono gli obiettivi scientifici del network europeo MedSalt, coordinato dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS).

“Gli altri giganti di sale sono ubicati nell’Atlantico (nel Golfo del Messico e sui margini continentali di Brasile e Canada, Angola, Marocco ) che si sono formati nel Mesozoico (circa 120 milioni di anni fa) durante le prime fasi dell’apertura dell’Oceano Atlantico, e poi altri, ancora più vecchi (Paleozoico), ormai inglobati nei cratoni continentali di Nord America e Asia. Questi depositi di sale, essendo vecchi, sono estremamente deformati dai movimenti tettonici (il sale si deforma molto facilmente all’interno della crosta terrestre). Il gigante salino Mediterraneo invece, offre la possibilità di studiare il deposito in uno stato primordiale”, spiega Angelo Camerlenghi, direttore della sezione di Geofisica di OGS e coordinatore del progetto.

Il progetto è finanziato dalla Cost, associazione che riunisce i ricercatori di 26 Paesi che si coordineranno nei prossimi 4 anni per studiare i fondali mediterranei, attraverso attività di ricerca e di formazione, per ampliare la conoscenza di base delle interazioni tra dinamica terrestre e clima, della microbiologia nel sottosuolo, con un occhio di riguardo alla pericolosità sottomarina e alle risorse naturali. “La finalità ultima della rete è la promozione della perforazione scientifica dei fondali del mediterraneo finalizzata al gigante salino. Questa perforazione è in fase di proposta all’International Ocean Discovery Program (IODP), a cui partecipa anche l’Italia, che è il più grande e longevo progetto di cooperazione scientifica internazionale nel campo delle scienze della Terra. Al momento, se tutte le fasi di approvazione della ricerca e rilascio dei permessi verranno superate, la perforazione potrà avvenire nell’anno 2021”, continua Camerlenghi.

Nel progetto non sono impegnati solo geologi: i laureati in scienze della Terra sono i principali attori della ricerca, ma servono anche competenze geofisiche e biologiche. “Quelle biologiche sono legate allo studio della cosiddetta ‘biosfera profonda’, che è composta da microorganismi (batteri, archea e virus) che ormai sappiamo essere presenti nel sottosuolo dei fondali oceanici fino a una profondità di 2 km. L’ipotesi che vuole verificare il progetto è che tale biosfera sia particolarmente attiva e diversificata all’interno dei depositi salini nel sottosuolo”, spiega Camerlenghi.

Per la ricerca vengono utilizzate due tecnologie principali: la prospezione geofisica a mare, che si realizza con navi da ricerca e serve a identificare le aree del sottosuolo marino dove ci sono le migliori condizioni per raggiungere l’intera serie di depositi del gigante salino con la perforazione. “Questa fase è la più importante in quanto per ragioni di sicurezza bisogna assicurare l’assenza di idrocarburi o di qualsiasi altro elemento di pericolosità per l’impianto e per l’ambiente. La seconda è la perforazione scientifica, che utilizza la nave Joides Resolution, impiegata dal 1985 dal progetto Integrated Ocean Drilling Program (IODP) per le perforazioni (sono stati perforati migliaia di pozzi a fini scientifici in tutti gli oceani della Terra). Se possibile, si impiegherà anche la nave Chikyu operata dai giapponesi”, conclude Camerlenghi.

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Sara Moraca
Dopo una prima laurea in comunicazione e una seconda in biologia, ho frequentato il Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste. Da oltre dieci anni mi occupo di scrittura: prima come autore per Treccani e De Agostini, ora come giornalista per testate come Wired, National Geographic, Oggi Scienza, La Stampa.