Classificare i colori, un gioco da bambini
Fin dai primi mesi di età i bambini tendono a classificare le diverse sfumature di colori in categorie, che sembrano coincidere con le suddivisioni presenti in varie culture del mondo.
SCOPERTE – Se avete mai speso più di mezz’ora a discutere se quella maglia fosse color melanzana, prugna o bordeaux, sarete probabilmente d’accordo con l’idea che il modo in cui classifichiamo i colori è tutt’altro che assoluto. Eppure su alcune più ampie categorie sembra esserci un certo accordo, persino tra chi è meno sensibile alle sfumature: anche se lo spettro del visibile è continuo, normalmente le persone distinguono con termini diversi alcuni colori di base, come il rosso, il verde e il blu. L’origine di questa categorizzazione è stata a lungo dibattuta dagli scienziati: si tratta di un limite biologico o di un’influenza linguistica e culturale?
Una ricerca, pubblicata sulla rivista PNAS, suggerisce che la distinzione tra alcuni colori abbia almeno in parte una radice biologica, e non dipenda quindi interamente dalla cultura in cui cresciamo. Un gruppo di scienziati, guidati da psicologi della University of Sussex, nel Regno Unito, ha studiato il riconoscimento dei colori in bambini dai 4 ai 6 mesi, osservando che già a questa età tendono a separare i colori nelle categorie di rosso, giallo, verde, blu e viola.
I ricercatori hanno utilizzato un campione di diverse sfumature, già impiegato in precedenza nel World Color Survey, che aveva coinvolto partecipanti da 110 culture non industrializzate nella classificazione di 320 colori. Questi studi precedenti avevano mostrato che i diversi linguaggi suddividono i colori in varie categorie, che tendono a essere centrate su particolari sfumature.
Per capire come bambini così piccoli distinguano i colori, i ricercatori hanno utilizzato un approccio comune negli studi di psicologia dello sviluppo, sfruttando l’effetto sorpresa suscitato nei bambini dagli oggetti poco familiari. Gli scienziati hanno quindi mostrato ripetutamente ai piccoli partecipanti una stessa sfumatura di colore, per poi cambiarla con un’altra proveniente da una diversa regione dello spettro del visibile. Se i bambini reagivano al cambiamento fissando più a lungo il nuovo colore, sostengono i ricercatori, probabilmente erano in grado di distinguere le due sfumature in categorie diverse.
In modo in cui i bambini distinguevano le categorie sembra coincidere con le suddivisioni presenti in varie culture, che corrispondono ai termini utilizzati per chiamare i colori di base. L’origine della nostra suddivisione dei colori in classi definite, secondo i ricercatori, sembrerebbe quindi essere in parte biologica, e non dipendere soltanto dall’influenza del linguaggio, dal momento che i bambini di pochi mesi difficilmente potrebbero associare alle diverse sfumature i nomi attribuiti ai colori di base. Questo tipo di distinzione in categorie potrebbe dipendere piuttosto dal modo in cui il cervello elabora i primi livelli di rappresentazione dei colori.
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