La rete neurale dei legami di coppia
I ricercatori della Emory University hanno fatto passi avanti nella comprensione del codice neurale che regola l’accoppiamento
RICERCA – Le vie che portano all’amore sembrano non essere infinite. È quello che emerge da uno studio condotto da un team di neuroscienziati della Emory University e pubblicato sulla rivista Nature, grazie al quale è stato scoperto un collegamento chiave tra due aree del cervello coinvolte nella formazione dei legami di coppia. Se può essere facile per gli esseri umani riconoscere le sensazioni associate alla vista del partner, non lo è altrettanto descrivere e conoscere quei meccanismi cerebrali che portano a tali sensazioni.
“Il modello animale utilizzato, cioè le femmine di arvicole delle praterie (Microtus ochrogaster), ha avuto un ruolo cruciale” racconta Elisabeth Amadei, co-autrice della ricerca “perché studiare le interazioni cerebrali che stimolano l’accoppiamento negli esseri umani è molto complicato”. In particolare, questi roditori sono monogami e tendono a mantenere per tutta la vita il legame con il loro partner. Studiandone i comportamenti e analizzando l’attivazione cerebrale, la ricerca ha dimostrato che la connessione fra due aree del cervello appartenenti al sistema cerebrale di ricompensa, la corteccia prefrontale e il nucleo accumbens, si attiva durante la formazione dei legami di coppia.
Inoltre, per capire se la comunicazione tra la corteccia prefrontale e il nucleo accumbens, oltre a manifestarsi durante l’accoppiamento, ne fosse anche una causa, i ricercatori sono ricorsi alla tecnica dell’optogenetica: aumentando con la luce la comunicazione tra le due aree cerebrali interessate, hanno dimostrato che le femmine di arvicola delle praterie mostravano più propensione all’accoppiamento con il proprio partner che con un altro maschio. “È davvero emozionante pensare che sia possibile influenzare i legami sociali” commenta Zack Johnson, co-autore della ricerca, “stimolando determinati circuiti cerebrali con un sistema controllabile da remoto”.
Sulla base di questi risultati, il team di neuroscienziati cercherà di capire se, in questi circuiti cerebrali, intervengono ormoni o neurotrasmettitori e in quale modalità: “il lavoro del nostro gruppo – conclude Robert Liu, professore associato al Dipartimento di Biologia della Emory University – si focalizza sulla comprensione dei meccanismi cerebrali che si attivano durante i comportamenti sociali, con l’obiettivo di intervenire in quei circuiti nervosi compromessi nelle malattie come l’autismo”.
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