Gnu e migrazioni, come il cerchio della vita si chiude nel Serengeti
Oltre un milione di gnu viaggia ogni anno verso la riserva di Maasai Mara, ma per seimila animali il viaggio terminerà tra le correnti impetuose del fiume Mara. Dove i corpi in decomposizione saranno il "carburante" dell'intero ecosistema
AMBIENTE – Enormi corpi spiaggiati, gonfi, pronti a esplodere da un momento all’altro a causa del gas accumulatosi nello stomaco e nelle viscere. Così molti hanno imparato a conoscere le balene morte, a riva. Ma quando uno di questi giganti muore negli oceani raggiunge il fondale pressoché intatto e, nel corso dei decenni, diventa una sorta di buffet sottomarino. Al punto che la loro vita dopo la morte ha un ruolo ecologico importante quanto il tempo trascorso in vita.
Ora uno studio coordinato dall’Università di Yale, finanziato dalla Robert and Patricia Switzer Foundation e dalla National Geographic Society, ha trovato un altro patrimonio “cadaverico”: gli gnu del Serengeti.
Ogni anno verso maggio-giugno, tra il Kenya e la Tanzania, oltre un milione di gnu dà spettacolo in quella che è la più grande migrazione del mondo animale. Al termine della stagione delle piogge africana, dal Parco Nazionale del Serengeti, in Tanzania, viaggiano fino a Maasai Mara, la riserva kenyota, alla ricerca di fonti d’acqua e pascoli verdi in cui nutrirsi.
Il picco della loro presenza si ha generalmente tra luglio e settembre; quando a novembre le piogge ritornano, gli gnu riprendono il tragitto al contrario, in una marcia serrata anti-predatore (gli gnu possono raggiungere gli 80 chilometri orari) alla quale si uniscono anche gli altri ungulati della savana come zebre, gazzelle e impala, a decine di migliaia.
Ora il cerchio della vita sembra ancora più completo: di quel milione abbondante di animali circa 6 000 esemplari trovano la morte attraversando il fiume Mara, affogati o schiacciati nelle impetuose acque del fiume in piena dopo la stagione delle piogge, diventando in biomassa “l’equivalente di dieci balenottere azzurre che si decompongono nell’acqua, spiega David Post, autore senior dello studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences. Ovvero nella fonte d’acqua cruciale dell’ecosistema tra Kenya e Tanzania, che va a svuotarsi nel lago Victoria.
Secondo gli autori abbiamo un’ulteriore prova del ruolo ecologico degli annegamenti di massa, che potrebbe essersi verificato, in passato, anche in altri grandi fiumi attraversati dalle migrazioni più numerose.
Ma in questo caso nel Mara, a nutrirsi delle carcasse, non ci sono squali abissali e missine, bensì coccodrilli, avvoltoi – che percorrono decine di chilometri per partecipare al banchetto- , i pesci che vivono nel fiume, manguste (che prediligono i vermi che infestano le carcasse) e molte altre specie.
Il tessuto molle del corpo degli gnu, che si decompone nel corso di svariate settimane dopo che gli animali sono morti, rappresenta fino alla metà delle fonti di cibo dei pesci di Mara. E il cerchio della vita, alla Re Leone, non finisce qui: di anno in anno anche le ossa si decompongono e riforniscono il fiume di fosforo nutrendo non solo i pesci ma le alghe e gli insetti. Gli animali “spazzini”, come gli avvoltoi, gli sciacalli e le iene, contribuiranno a trasportare molti dei nutrienti controcorrente, svolgendo il loro ruolo nel portare i benefici del buffet in tutto il bacino del fiume.
Inevitabile trovarsi a pensare che “quando noi moriamo, i nostri corpi diventano erba, e le antilopi mangiano l’erba, e così, siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita”.
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