Esopianeti nella Via Lattea: due classi e due misure
Gli astronomi del Caltech hanno creato un nuovo albero genealogico per le migliaia di esopianeti scoperti dalla missione Kepler della NASA, dividendoli in due rami: i rocciosi simili alla Terra e i gassosi mini-Nettuno.
SCOPERTE – Quando una nuova specie animale viene scoperta i biologi creano nuovi rami nel suo albero genealogico. A prendere ispirazione da questa classificazione stavolta sono stati gli astronomi del Caltech, in California, che hanno ideato un nuovo sistema per definire in due categorie gli oltre 3500 pianeti che sono stati scoperti dagli anni Novanta ad oggi nella nostra galassia, la Via Lattea, anche grazie alla missione Kepler della NASA. Gli scienziati hanno osservato che la maggior parte degli esopianeti possono essere raggruppati in due diverse classi in funzione delle loro dimensioni. Da un lato ci sono i pianeti rocciosi, con dimensioni fino a 1,75 volte quelle della Terra, dall’altro ci sono i pianeti gassosi come Nettuno, ma le cui dimensioni vanno da 2 a 3,5 volte quelle del nostro pianeta.
Lo studio si è avvalso dei dati raccolti da Kepler e li ha confrontati con quelli dei telescopi del Keck Observatory, situato alle Hawaii, e i risultati sono stati pubblicati sulla rivista The Astronomical Journal. Andrew Howard, professore di astronomia al Caltech e uno degli autori, ha spiegato che proprio come mammiferi e rettili fanno parte di due rami diversi dell’albero della vita, anche i pianeti possono essere divisi in rami di uno stesso albero genealogico. Benjamin Fulton, del gruppo di Howard, ha sottolineato che gli astronomi amano classificare gli oggetti scoperti e le due nuove categorie hanno permesso di individuare le due classi in cui inserirli.
Gli esopianeti scoperti dalla missione Kepler, che è stata lanciata nel 2009, sono al momento 2300 e si tratta di oggetti celesti con orbite molto vicine al loro sole, come per il pianeta Mercurio nel nostro sistema solare. Questi pianeti dunque orbitano a distanze che sono pari a un terzo di quella che c’è tra il Sole e la Terra e hanno dimensioni inferiori a quella di Nettuno, che è grande circa 4 volte il nostro pianeta.
I risultati della classificazione hanno però sollevato un problema che ha incuriosito i ricercatori: nel nostro Sistema Solare non ci sono pianeti con dimensioni intermedie tra la Terra e Nettuno, come spiega Erik Petigura, co-autore dello studio: “Una delle grandi sorprese dai dati di Kepler è che ogni stella ha almeno un pianeta più grande della Terra, ma più piccolo di Nettuno. Quello che vogliamo scoprire è la composizione di questi misteriosi pianeti e comprendere come mai non esistano nel nostro Sistema Solare”.
I dati raccolti da Kepler sono stati ottenuti con il metodo del transito, che rivela l’esistenza dell’esopianeta osservando “l’ombra” prodotta al suo passaggio sulla loro stella. Un metodo che dice poco sulle loro dimensioni e per questo gli scienziati del Caltech, insieme ai colleghi della UC Berkeley, l’università delle Hawaii, Harvard, Princeton e quella di Montreal, hanno usato i dati spettrali ottenuti dal Keck Observatory per definire nel dettaglio le dimensioni delle stelle e dunque anche quelle dei pianeti che vi orbitano intorno con una precisione 4 volte superiore, come ha spiegato Fulton:
“Usare solo i dati di Kepler per classificare i pianeti secondo le loro dimensioni era come cercare di classificare granelli di sabbia a occhio nudo. Lo studio dello spettro per noi è stato come avere una lente d’ingrandimento e poter vedere tutti i dettagli dei granelli che altrimenti non avremmo potuto osservare”.
Inoltre analizzando la distribuzione delle dimensioni dei 2300 esopianeti gli scienziati hanno osservato un “buco”: non vi sono pianeti che hanno una dimensione tra 1,75 e 2 volte quella della Terra. Gli astronomi hanno dato due possibili interpretazioni per l’esistenza di questa assenza. La prima è che la natura, per ragioni ancora sconosciute, preferisce creare pianeti che siano più simili alla Terra o ai mini Nettuno. Una condizione che potrebbe dipendere dalla quantità di gas che costituisce l’involucro di questi oggetti celesti, come spiega Howard: “Per riempire il buco osservato è sufficiente che un pianeta acquisisca un po’ di gas di idrogeno ed elio. Perché questo accada basta anche solo che l’1 percento della massa del pianeta sia costituita dal gas, che va a costituire un involucro per il pianeta roccioso. Il gas d’altronde non contribuisce a rendere gli oggetti più massivi, ma ne aumenta notevolmente il volume e dunque la dimensione, facendoli diventare molto più grandi”.
Un’altra spiegazione potrebbe essere legata alla perdita dell’involucro gassoso accumulato dovuta alle radiazioni della stella vicina. Se un pianeta dunque ha dimensioni tali da rientrare nell’intervallo osservato, è molto improbabile per gli astronomi che vi rimanga a lungo, dato che la sottile atmosfera può velocemente svanire, lasciando così un mondo roccioso più piccolo.
Ora che la classificazione è stata stabilita, i ricercatori hanno compiuto un nuovo importante passo nello studio degli esopianeti nella Via Lattea. Il prossimo obiettivo degli astronomi è quello di studiare e comprendere la composizione dei mini-Nettuno gassosi in modo da poter rispondere alla domanda sul perché questi oggetti si siano formati negli altri sistemi stellari piuttosto che intorno al nostro Sole. L’epoca dorata dell’astronomia planetaria è appena iniziata.
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