Misuratori cosmici della storia dell’universo
Luca Izzo, dello IAA-CSIC di Granada, racconta il suo lavoro: studiare diversi tipi di candele standard come strumenti per misurare l’evoluzione dell’universo a tutti i redshift.
RICERCANDO ALL’ESTERO – Un metodo per misurare le distanze cosmologiche è affidarsi alle cosiddette candele standard, oggetti astronomici di luminosità assoluta conosciuta. Osservando la loro luminosità apparente, e sapendo che questa dipende dalla distanza, possiamo calcolare con buona approssimazione la loro distanza effettiva e usarle per calibrare altri indicatori di distanza.
Per distanze molto grandi si deve ricorrere a oggetti molto luminosi, come i transienti: si tratta di fenomeni esplosivi molto veloci come i gamma-ray burst (GRB) o le fasi finali della vita una stella, come le nove e supernove.
Luca Izzo lavora allo IAA-CSIC di Granada e studia diversi tipi di candele standard come strumenti per misurare l’evoluzione dell’universo a tutti i redshift.
Cosa sono i gamma-ray burst?
Sono rapide esplosioni di raggi gamma che durano da frazioni di secondo a decine di secondi e provengono da sorgenti cosmologiche ad altissima distanza. Poiché l’energia che emettono corrisponde a tutta l’energia che il Sole produrrebbe nella sua vita, si pensa che derivino da avvenimenti catastrofici. In particolare, i loro progenitori più papabili sono due: possono originarsi dal collasso di una stella molto massiccia (20-30 volte la massa del Sole) nelle sue fasi finali oppure dall’unione di due oggetti molto compatti come le stelle di neutroni.
Per studiarli, usiamo strumenti molto recenti e avanzati come gli spettrografi a campo integrale (o IFS, Integral Field Spectrograph) tra cui MUSE, che opera per VLT in Cile, o OSIRIS per il GranTeCan alle Canarie. Quest’ultimo è, attualmente, il più grande osservatorio del mondo per monitorare e seguire l’evoluzione di GRB e supernove.
Essendo tra gli eventi più luminosi che avvengono nell’universo, i GRB possono essere osservati fino a redshift molto alti, cioè a grandissime distanze: il più lontano visto finora è a una distanza che corrisponde all’età dell’universo quando aveva 600 milioni di anni. Proprio per questa caratteristica, i GRB sono delle utili candele standard per misurare distanze cosmologiche, usando come metodo di calibrazione le Supernove di tipo Ia. Lo svantaggio è che più si va lontano più sono difficili da osservare perché, sebbene siano oggetti molto luminosi, sono comunque deboli da monitorare e la loro luminosità varia molto velocemente.
Che tipo di informazione possono fornire?
Una volta scoperto un GRB, alcuni satelliti (tra cui SWIFT) inviano un segnale sulla sua posizione. Poiché non è molto precisa dato che i raggi gamma non possono essere focalizzati con esattezza, inizia una vera e propria corsa contro il tempo per cercare di scoprire un’eventuale controparte ottica, capirne la posizione, misurare le quantità osservabili, individuare una potenziale galassia ospite nelle vicinanze e, soprattutto, prenderne lo spettro. Si cerca anche di distinguere se si tratta di un GRB lungo o corto: quelli lunghi hanno una durata maggiore di 2 secondi, sono associati generalmente al collasso di stelle molto massicce e si trovano in galassie con una popolazione di stelle molto giovani e quindi con un’attiva formazione stellare. I GRB corti durano meno di 2 secondi e sono molto energetici; tra i modelli teorici usati per spiegare la loro origine quello più in voga prevede la fusione di due stelle di neutroni. Questo fenomeno di merging è anche uno dei possibili candidati per l’emissione di onde gravitazionali; con gli attuali rilevatori, tuttavia, non si è ancora riusciti a osservare un’onda gravitazionale corrispondente ai GRB corti.
Per quanto riguarda gli spettri, dalla loro analisi possiamo avere una stima sull’energia emessa da questi oggetti, sul redshift e sugli elementi chimici presenti nei dintorni del GRB.
Infine, se c’è una galassia nelle vicinanze è probabile che questa ospiti il progenitore dei GRB e, studiando le sue proprietà, possiamo vedere se, per esempio, c’è una supernova associata.
Anche i transienti come le nove possono fornire informazioni simili?
Nel 2010 un satellite ha scoperto un segnale di raggi gamma proveniente non da un GRB ma da una nova, cosa che ha suscitato notevole interesse nella comunità scientifica. Si è pensato che anche questo tipo di oggetti potrebbe diventare un indicatore di distanza ma l’ipotesi sta ricevendo diverse critiche. Nei progetti futuri c’è lo studio dei resti di nove, cioè di ciò che resta dopo l’esplosione della stella, per vedere come sono distribuiti, se sono sferici o hanno qualche asimmetria nell’emissione e ottenere qualsiasi dettaglio utile per migliorare i modelli che usano le nove come possibili indicatori di distanza. Il problema comunque è che le nove non sono luminose come i GRB e possono essere osservate solo nell’universo locale, fino a 4-5 megaparsec con gli strumenti a disposizione.
Iniziando a monitorare le nove, però, abbiamo fatto una scoperta che ha avuto un forte impatto mediatico: quattro anni fa si è osservato lo scoppio di una nova molto luminosa nella costellazione del Centauro. Analizzando gli spettri, abbiamo trovato traccia di litio, un elemento molto fragile che fonde a una temperatura relativamente bassa (circa 2 milioni di gradi) e quindi viene distrutto praticamente da ogni processo astrofisico. È un elemento molto particolare perché è presente in moltissimi oggetti di uso comune, come gli smartphone e i computer, ma la sua origine non è ancora ben chiara.
Negli anni Ottanta si è visto che le stelle più giovani della nostra galassia hanno un eccesso di litio rispetto a quello che ci si aspettava, cioè a quel poco che si è formato alla nascita dell’universo, e quindi si è ipotizzata la presenza di sorgenti di litio diverse dal Big Bang.
Quali sono le ipotesi sulle possibili fonti di litio?
Tra le varie sorgenti proposte dai ricercatori ci sono proprio le reazioni termonucleari che avvengono quando esplode una nova, durante le quali si ha la formazione di berillio, elemento molto instabile che decade in litio dopo circa 56 giorni. Questa ipotesi non aveva ricevuto molti consensi perché non era mai stato osservato litio in una nova. Questo fino all’esplosione della nova V1369 Cen, nel cui spettro abbiamo individuato la riga di assorbimento della transizione di risonanza del litio. Misurando la massa espulsa dalla nova abbiamo trovato che se tutte le nove emettessero la stessa quantità di litio di V1369 Cen, riusciremmo a spiegare l’abbondanza di questo elemento nelle stelle giovani della nostra galassia.
Successivamente abbiamo trovato tracce di berillio anche in altre nove, il che rafforza la nostra precedente conclusione ma pone qualche domanda sul meccanismo di produzione di queste stelle.
Il nostro obiettivo è perfezionare la misura della massa totale di litio generata dalle nove per capire quanto viene prodotto in questa maniera e quanto proviene da altre sorgenti.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
In questi giorni abbiamo osservato ben tre GRBs e misurato il loro redshift. Ora si tratta di raccogliere più dati possibili per riuscire a migliorare i modelli per calcolare la loro precisa distanza.
Inoltre, sto studiando le galassie che ospitano GRB attraverso gli spettrografi a campo integrale. Dai primi dati è emerso che alcune proprietà di queste galassie sono diverse se le vediamo a basso o ad alto redshift: ciò significa che c’è una evoluzione, soprattutto per quanto riguarda il tasso di formazione stellare.
Nome: Luca Izzo
Età: 36 anni
Nato a: Napoli
Vivo a: Granada (Spagna)
Dottorato in: astrofisica (Roma)
Ricerca: Utilizzo dei transienti astrofisici ad alta energia come possibili indicatori di distanza
Istituto: HETH group, Instituto de Astrofísica de Andalucía, CSIC (Granada, Spagna)
Interessi: suonare il basso, leggere e tenermi aggiornato, giocare a calcio
Di Granada mi piace: il clima, è una città piccola e non caotica, c’è un via vai di gente da tutto il mondo
Di Granada non mi piace: il cibo
Pensiero: Let me show you the world in my eyes. (Depeche Mode)
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