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Gli irriducibili sentinelesi: inospitali, isolati e per questo preziosi

Le popolazioni che abitano le isole Andamane sono rimaste a lungo isolate dai contatti con il mondo esterno. Il loro stile di vita e il loro patrimonio genetico può fornire informazioni importanti allo studio dei nostri antenati che giunsero dall’Africa nel Paleolitico per colonizzare l’Eurasia.

L’isola di North Sentinel, nell’arcipelago delle Andamane, è popolata da quella che è considerata la popolazione più isolata al mondo. Crediti immagine: NASA

Il giorno di Santo Stefano del 2004 sarà per sempre ricordato come quello del grande tsunami che devastò le coste del Sud-Est asiatico, una delle più tremende calamità naturali dell’età moderna, capace di causare la morte di circa 250 000 persone in numerosi Paesi. Tra le popolazioni che rimasero coinvolte dal disastro, il caso più sorprendente fu quello dei sentinelesi, gli indigeni dell’isola di North Sentinel, appartenente all’arcipelago delle Andamane, situato nel mezzo del Golfo del Bengala, e nel pieno del tragitto compiuto dallo tsunami.

Sopravvissuti alla natura, schiacciati dalla civiltà

La scossa sismica all’origine del fenomeno ebbe una magnitudo di 9.1, una delle più intense mai registrate, con una durata di 8 minuti, la più lunga di cui si è a conoscenza. L’onda anomala raggiunse un’altezza di oltre dieci metri, e creò danni di grande portata su tutte le aree costiere raggiunte.

La piccola isola di North Sentinel, estesa appena 59 km2 e con un’altezza massima di 122 metri sul livello del mare, si trovava molto vicino all’epicentro, e i suoi abitanti erano considerati totalmente indifesi e del tutto spacciati. Eppure quando vennero mandati gli elicotteri per valutare la situazione, i piloti furono sorpresi dall’arrivo di alcuni guerrieri armati di arco e frecce, pronti a difendere il loro piccolo mondo, rifiutando ogni aiuto. I sentinelesi, contrariamente a ogni pronostico, erano sopravvissuti.

Fu l’indigena Boa Sr, qualche tempo dopo, a spiegare agli occidentali come molti indigeni delle isole Andamane furono in grado di salvarsi ed evitare la morte. La donna, famosa per essere l’ultima sopravvissuta in grado di parlare la lingua Bo, raccontò che qualche giorno prima dell’infausto evento gli anziani avevano avvertito oscuri presagi provenienti dagli spiriti del mare, invitando gli abitanti a proteggere gli insediamenti con carapaci di tartaruga e a non sostare nei pressi della costa.

Il giorno dello tsunami fecero caso all’agitazione degli animali, e si ripararono prontamente all’interno dell’isola.

Boa Sr sopravvisse allo tsunami come la maggior parte degli andamanesi, salvati dalle credenze tradizionali, ma morì di vecchiaia nel 2010, all’età di 85 anni, e la lingua Bo si estinse insieme a lei. La perdita per il patrimonio linguistico fu considerevole. La lingua Bo era infatti unica all’interno dell’arcipelago e un “pezzo vitale del puzzle” necessario per ricostruire la storia evolutiva delle lingue della regione, come raccontò la professoressa Anvita Abbi dell’Università di Nuova Delhi alla BBC.

Come spesso accade, anche gli abitanti delle Andamane furono in grado di resistere alle calamità naturali nel corso di migliaia di anni, ma non alla prepotenza della civiltà occidentale. Da quando arrivarono gli inglesi nel XIX secolo, la tribù dei Bo iniziò a crollare a colpi di epidemie, calo delle risorse e dello spazio vitale e abuso di alcol, fino al tracollo definitivo.

Quando isolamento è sinonimo di salvezza

L’interesse nei confronti degli indigeni delle Andamane è particolarmente elevato per via del loro grande isolamento, che si ritiene duri da molti millenni.
I sentinelesi, addirittura, sono considerati in assoluto la popolazione più isolata al mondo, al punto che nessuno può avvicinarsi alla loro isola, se non vuole ricevere l’accoglienza di una pioggia di frecce.

Già Marco Polo era entrato indirettamente in contatto con la popolazione, descrivendola nel 1296 come una delle tribù più violente e selvagge dell’Asia, capace di uccidere e mangiare qualsiasi intruso che si trovasse nel loro territorio. Le loro presunte abitudini cannibali non sono mai state dimostrate, ma certo è che la loro accoglienza verso ogni altro essere umano è talmente ostile da spingere il governo indiano a chiudere del tutto ogni accesso all’isola.

La loro aggressività è però la loro assicurazione sulla vita, che ha permesso loro di salvarsi dal triste destino della maggioranza delle altre popolazioni delle Andamane, in buona parte decimate e ridotte a vivere in riserve in spazi minuscoli e totalmente dipendenti dalle autorità indiane per il mantenimento. Tristemente noto è il caso della tribù dei Jarawa, tuttora sottoposta alla pratica indegna dei “safari umani”: turisti a bordo di veicoli percorrono una strada illegale per avvistarli e fotografarli adescandoli con cibo e doni, spesso obbligandoli anche a danzare davanti a loro. Pur essendo illegale, è ancora ampiamente diffusa e poco controllata dalle autorità.

Preziosi ‘fossili’ viventi

La conservazione delle popolazioni andamanesi è di grande importanza. Per gli antropologi rappresentano un tesoro inestimabile di diversità genetica e una delle più valide testimonianze attualmente viventi di stili di vita ancora molto simili a quelli dei nostri antenati che giunsero dall’Africa nel Paleolitico per colonizzare l’Eurasia.

Si ritiene da tempo che la loro origine risalga all’epoca dell’arrivo dei nostri antenati africani, tra 50 000 e 60 000 anni fa. Uno studio recente, pubblicato lo scorso maggio su Human genetics, dà una conferma a queste stime, facendo risalire l’epoca della separazione degli andamanesi dall’antenato comune con le popolazioni dell’Asia orientale a circa 53 000 anni fa.

Un altro studio, pubblicato su Nature l’anno scorso, individua la presenza nel genoma degli andamanesi di una percentuale del 2-3% di DNA di origine sconosciuta, che testimonia uno scambio genetico avvenuto con una possibile specie di ominide ancora ignota, che probabilmente abitò l’Asia meridionale fino a circa 50 000 anni fa.

Le abitudini di vita degli andamanesi rispecchiano fedelmente le loro origini antiche che hanno subito cambiamenti minimi e limitate influenze esterne. Tra di loro, i sentinelesi conducono uno stile di vita praticamente ‘vergine’ nella loro isola, al punto da poter essere considerati come una delle popolazioni più isolate e antiche del mondo, con costumi e pratiche ancora molto simili a quelle dei nostri antenati paleolitici. Per quanto abbiano oggi introdotto il metallo nella produzione dei loro artefatti, estraendolo dalle imbarcazioni affondate vicino all’isola, non sono in grado di accendere il fuoco e vivono di caccia e pesca.

Il loro totale isolamento ha impedito anche lo sviluppo di molti anticorpi, rendendoli suscettibili alle più comuni malattie del mondo occidentale, al punto che anche un semplice raffreddore potrebbe ucciderli.

I sentinelesi hanno saputo resistere alle intemperie dei millenni, non sono stati intaccati dall’arrivo nell’arcipelago degli inglesi prima, dei giapponesi poi e della spinta globalizzatrice del governo indiano. Il tremendo tsunami del 2004 li ha colpiti ma non affondati. North Sentinel è la vera isola del tesoro, antropologicamente parlando. E per una volta c’è da rendere merito all’aggressività. Se serve a difendere legittimamente un territorio e un’identità mantenendo la ricchezza e la diversità, sia benvenuta.

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