Come creare sensori autoassemblanti e funzionanti da un batterio
Batteri bioingegnerizzati con un circuito genetico artificiale sono in grado di costruire strutture tridimensionali grazie al proprio stesso programma di auto organizzazione.
RICERCA – In uno studio pubblicato su Nature Biotechnology, un team della Duke University ha descritto la struttura tridimensionale creata da una colonia batterica lasciata crescere spontaneamente in condizioni controllate artificialmente. Tramite una catena di sintesi biochimiche, indotta da un circuito genetico inserito artificialmente, il genoma dei procarioti ha codificato per una proteina in grado di legarsi a molecole inorganiche da usare come mattoncini fondamentali per la sintesi di strutture in tre dimensioni.
Si tratta del primo esempio documentato in cui una colonia batterica è in grado di creare in modo spontaneo una struttura in tre dimensioni, giacché in precedenza sono stati ottenuti solo materiali bidimensionali, e le uniche forme tridimensionali derivavano da un controllo artificiale dello sviluppo dei batteri.
Per indurre la creazione del reticolo tridimensionale da parte della colonia batterica, i ricercatori hanno indotto le cellule batteriche a una cascata di sintesi proteiche. Il primo messaggero molecolare prodotto dai batteri era la proteina RNA polimerasi T7 (T7RNAP), che a sua volta stimolava la sintesi di un secondo messaggero molecolare in grado di disperdersi nell’ambiente, una piccola molecola chiamata AHL. Non appena la molecola AHL raggiungeva una soglia critica nel mezzo grazie alla proliferazione della colonia batterica, avveniva la stimolazione della sintesi di altre due proteine, chiamate lisozima T7 e curli: la prima inibiva ulteriore sintesi di RNA polimerasi T7, mentre la seconda agiva come un velcro, capace di attrarre piccoli composti organici. L’intera sequenza portava le colonie batteriche ad assumere una struttura tridimensionale a duomo, con lo strato batterico più esterno rivestito dalla proteina in grado di attrarre le minute nanoparticelle d’oro rilasciate dai ricercatori nel mezzo e utilizzate come mattoncini da costruzione nel processo di sintesi.
Il risultato dell’esperimento ha anche risvolti pratici. I ricercatori hanno infatti mostrato che la struttura tridimensionale prodotta dai batteri può essere utilizzata come sensore di pressione, grazie alle proprietà delle nanoparticelle d’oro. E si tratta di una prova concreta che apre alla possibilità di “realizzare dispositivi funzionali a partire da un’unica cellula”, come spiega Lingchong You, professore di ingegneria alla Duke University.
La natura è ricca di esempi di materiali biologici realizzati grazie alla combinazione tra sostanze organiche e inorganiche, quali i gusci dei molluschi o le nostre stesse ossa. Ma poter fare affidamento sulle capacità costruttive dei procarioti può avere dei considerevoli vantaggi rispetto ai processi di manifattura tradizionale. In particolare, il controllo delle forme finali da ottenere è teoricamente molto più economico e rapido se si manipolano i procarioti piuttosto che producendo nuovi calchi artificiali tradizionali.
E per quanto le architetture naturali create spontaneamente dai processi biologici siano di per sé sofisticate e ingegneristiche, prima d’ora non eravamo mai stati realmente capaci di programmare gli organismi viventi al fine di ottenere strutture auto organizzate. Questo lavoro, come afferma You, “è una prova pratica che riuscire a farlo è difficile ma non impossibile”.
Leggi anche: Un “salto nel buio” per curare le infezioni batteriche
Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.